
La musica, il cinema, il teatro. Tre espressioni artistiche strettamente collegate, al centro di brillanti riflessioni che hanno attraversato le epoche. Marzia Gandolfi riesce a sintetizzare questi tre elementi con lo stesso numero di parole, creando una simmetria anche concettuale, e dà vita a un saggio appassionante, che si legge con la stessa emozione di un romanzo. Il titolo del suo nuovo libro (edito da Bietti e ottavo progetto della collana digitale Fotogrammi, diretta e curata da Ilaria Floreano) è Kind of Blue, come il famoso album di Miles Davis del 1959, un capolavoro jazz senza tempo. Al blue di Davis si unisce quello del drammaturgo Tarell Alvin McCraney, da cui il regista Barry Jenkins ha tratto il suo Moonlight. “In moonlight black boys look blue” (i corpi dei ragazzi di colore sotto la luce della luna sono blu). Lo dice l’attore Mahershala Ali sulla spiaggia al giovane protagonista Chiron nel primo atto del film. Marzia Gandolfi parte dalle variazioni del blu per ragionare sul black. Non è un’impresa temeraria, ma un’intuizione stilistica illuminante.
La chiave di lettuera dell’autrice è la poetica di Jenkins, controcorrente nel mostrare gli afroamericani non in lotta, ma alla ricerca di un’armonia tra quotidianità e sentimento. Il corpo si fa immagine, percezione. La ricerca delle cromature si mescola con il tema della quiete. Non è un caso che lo studio di Gandolfi si apra con le parole di Miles Davis: “La vera musica è il silenzio. Le note non fanno che incorniciare il silenzio”. Kind of Blue usa il grande schermo per inquadrare lo scorrere dei decenni, i mutamenti culturali, gli incontri/scontri alla Casa Bianca, le aspettative tradite di un popolo sempre in contrasto con le proprie radici.
Come scriveva Ta-Nehisi Coates nel suo bestseller Tra me e il mondo: “Noi eravamo qualcosa, eravamo una tribù: da una parte inventata, dall’altra non per questo meno reale”. Ed è proprio quesato che coglie con grande acume Marzia Gandolfi: la necessità di concentrarsi su una nuova narrazione, “onirica” per provocazione, in cui “Jenkins si distingue per il suo silenzio in anni di clamore”.
Bisogna abbandonare le convenzioni per sviluppare una rinnovata inventiva. Anche il pubblico di riferimento deve cambiare. L’essere umano recupera la sua centralità, le vicende si fanno universali, indipendentemente dal colore della pelle.
Sarà così anche nella serie di Jenkins in arrivo su Amazon, Underground Railroad? Gandolfi non ha dubbi: “Qualunque cosa Jenkins voglia raccontarci, quei costumi rappresentano una sorpresa che interrompe il flusso del racconto dominante, la violenza fondatrice del Paese, e rimandano all’umanità dell’essere in tutta la sua ampiezza”. La visione di Jenkins coincide con quella di Colson Whitehead, autore del romanzo Premio Pulitzer Underground Railroad (da noi La ferrovia sotterranea), dove leggiamo: “Il mondo può anche essere cattivo, ma le persone non devono esserlo per forza, possono rifiutarsi”. La maestria di Kind of Blue è quella di riproporre un affresco che rifiuta i canoni prestabiliti e fornisce una chiara fotografia del contemporaneo.
Prima di arrivare a Jenkins, viene tratteggiato il quadro storico che ha determinato l’evoluzione del genere, iniziando con un particolare che forse non tutti conoscono, ovvero che i personaggi di Nascita di una nazione sono attori bianchi truccati. Si prosegue con La figlia del vento di Wyler, i film (ormai quasi introvabili) di Oscar Micheaux, la presa di coscienza degli anni Sessanta, Cassavetes, Sidney Poitier, la Blaxpoitation, Reagan, Fa’ la cosa giusta…. La strada impervia per la conquista dei diritti civili viene descritta da Marzia Gandolfi con un ritmo serrato, che cattura il lettore in un vortice di avvenimenti che si accendono con fervore. Perfetto il collegamento tra Moonlight e la serie di culto The Wire, lucidissimo il confronto tra lo Spike Lee “espansivo, spettacolare, chiassoso” e “lo sguardo inaspettatoa che abbiamo improvvisamente sulla dimensione interiore” di Jenkins. In Kind of Blue si va oltre la chiave politica per recuperare quella intimista, l’amore e la passione che veicolano le storie del regista di Miami, arrivando fino a Se la strada potesse parlare. “Se Moonlight lascia agire il contrasto razziale fuoricampo, mostrando come lo spazio sociale costringa i corpi e induca strategie di evitamento, Se la strada potesse parlare è spalancato sul mondo fuori”, spiega Marzia Gandolfi. E quel “mondo fuori” è proprio quello a cui si riferisce James Baldwin nel romanzo che ha ispirato il film. “Beale Street è una strada di New Orleans, dove sono nati mio padre, Louis Armstrong e il jazz. Ogni afroamericano nato negli Stati Uniti è nato in Beale Street, è nato nel quartiere nero di qualche città americana, sia esso a Jackson, in Mississippi, o Harlem, a New York. Beale Street è la nostra eredità”. Marzia Gandolfi fa specchiare il cinema in quella eredità a cui si riferisce Baldwin, e in poco più di 80 pagine illumina il passato, il presente e il futuro di un tema che in Jenkins trova una delle sue voci più autorevoli. Il costo di Kind of Blue è di 1,99 euro in formato ePub sul sito Bietti.it, e 2,69 euro in formato Kindle su Amazon, dal quale è possibile acquistare anche la versione cartacea a 4,99 tramite l’opzione Print on Demand.
Gian Luca Pisacane ©Cinematografo aprile 2021