Greta Gerwig, Noah Baumbach

Cecilia Strazza & Emanuele Rauco
2022-01-16 15:21:20
Greta Gerwig, Noah Baumbach
Il grande pubblico si è forse accorto di Noah Baumbach e Greta Gerwig solo recentemente, con i successi di Storia di un matrimonio per lui, la candidatura all’Oscar per la regia di Lady Bird e per la sceneggiatura di Piccole donne per lei.
Qualche incursione nel cinema delle grandi produzioni l’avevano fatta entrambi: Baumbach ha firmato insieme a Wes Anderson le sceneggiature di Le avventure acquatiche di Steve Zissou e di Fantastic Mr Fox, e, sorprendentemente è anche coautore di quella di Madagascar 3; Gerwig è apparsa in To Rome With Love di Woody Allen e in Jackie di Pablo Larraìn.
Solo tra i cultori del cinema indie statunitense però i nomi di Baumbach e Gerwig erano ben noti, per tutta una serie di film gioiellini, fatti di aspirazioni artistiche spesso frustrate e di microcosmi familiari e affettivi un po’ caotici e disfunzionali. Il loro sodalizio artistico e personale comincia nel 2010 con Lo stravagante mondo di Greenberg, un film in cui Gerwig interprete ruba la scena al protagonista Ben Stiller. Poi scriveranno insieme Frances Ha, nel 2012: un film incantevole sulla difficoltà del passaggio dalla prima giovinezza all’età adulta, sul trovare forma e posto nel mondo, nella vita professionale, nelle relazioni. Acclamato dalla critica e amato dai cinefili Frances Ha segna l’inizio di un periodo di grande fertilità nelle carriere di entrambi, ancora insieme in Mistress America nel 2015 e poi ognuno per conto proprio. Dopo i successi individuali di cui già si è detto, la coppia torna a lavorare insieme a due progetti ambiziosi che sono in fase di lavorazione mentre scriviamo: l’adattamento di Rumore bianco di Don DeLillo, diretto da Baumbach e interpretato da Gerwig e Barbie, scritto insieme e diretto da Gerwig. È in questo momento luminoso e carico di aspettative che Bietti edizioni, nella sua collana I Fotogrammi, dedica ai due cineasti una coppia di monografie sorelle, anzi spose dati i soggetti. Due manualetti agili e riuscitissimi che molto si prestano a una lettura parallela: Emanuele Rauco racconta Noah Baumbach, Cecilia Strazza racconta Greta Gerwig.
Quello tra Noah Baumbach e Greta Gerwig è un sodalizio artistico che per come lo raccontate entrambi supera il modello musa-artista e, nonostante la differenza d’età e il legame sentimentale, va oltre i ruoli di genere e si struttura fin da subito come un coautorato, un influenzarsi reciproco in cui forse è soprattutto Baumbach a imparare da Gerwig, ad acquisire profondità grazie alla sua prospettiva. Quanto è importante questa collaborazione nelle carriere di entrambi?

Strazza: Venivano tutti e due da un’impostazione di regia e di scrittura abbastanza circoscritta nei limiti e nei paradigmi dell’indie un po’ radicale. Da quando hanno cominciato a lavorare insieme ho visto ammorbidirsi lo sguardo, il modo di scrivere, di guardare al mondo, ai personaggi: molta più tenerezza e molta più cura, molto più amore. Se si pensa aStoria di un matrimonio questo discorso è lampante per quanto riguarda B. Per quanto riguarda G, anche nelle interviste non ha mai nascosto il fatto che essere cresciuta grazie a B. Dieci-quindici anni di carriera da attrice, diretta da registi molto bravi, sono stati la sua scuola di cinema, la sua palestra per quello che sarebbe arrivato dopo. Si sono incrociati benissimo e sarà curioso vedere, adesso che tornano a lavorare insieme come sceneggiatori con Barbie, se è cambiato qualcosa rispetto alla prima stagione della loro collaborazione.

Rauco: Quello che forse mancava ai film e allo sguardo di ciascuno l’hanno trovato insieme. G era soprattutto attrice prima di collaborare con B, aveva però anche scritto alcuni dei film in cui lavorava come interprete e dava una forma ai film a cui partecipava, che erano scelti secondo un preciso percorso già da cineasta. Il suo essere cineasta poi si è concretizzato nel momento in cui ha potuto coprodurre e scrivere lavorando con B. Come diceva Cecilia, B ha acquistato profondità grazie al rapporto con G, non solo nella cura e nella descrizione dei personaggi, ma anche in profondità di sguardo perché i film di B dal momento in cui c’è stata G hanno avuto un passo diverso. Greenberg, il primo film in cui collaborano, sembra semplicemente una collaborazione regista-attrice, eppure comincia ad avere una complessità filmica diversa, che poi in Frances Ha e in Mistress America diventa evidente e che B si porta appresso nei film successivi anche senza G. Allo stesso tempo mi sembra che G nei suoi primi due film da regista abbia un occhio e una professionalità cinematografici già completi e complessi. Se Lady Bird ha già una sua forma rispetto al percorso compiuto fino a quel momento come attrice, Piccole donne a prescindere da un discorso di superficie autoriale è il film di un’artista e di una regista americana, non solo hollywoodiana, che sa mettere la sua personalità anche in cose che a prima vista non le apparterrebbero. E questo potrebbe essere dovuto anche al lavoro fatto con B.

Leggendovi mi è sembrato che il punto d’incontro focale tra Gerwig e Baumbach sia il fascino, la tendenza all’irrisolto. Emanuele nel suo libro racconta la carriera di Baumbach come un susseguirsi di crisi, Cecilia scrive che i personaggi di Gerwig si costruiscono sulle loro mancanze, sulla loro incompiutezza. Siete d’accordo che questa poetica del provarci, possibilmente fallendo, sia il grande punto di forza che accomuna questi due cineasti?

Strazza: Nel libro ne faccio un discorso generazionale: non soltanto G, ma un po’ tutti gli autori che sono emersi negli ultimi cinque-dieci anni, trentenni e dintorni, vivono con questo senso di felice incompiutezza e sono sempre a un passo dal raggiungere l’obiettivo ma, come dici tu, poi non lo raggiungono mai. È una cosa che ha in comune con B e questo forse è il motivo per cui questo sodalizio è stato così meravigliosamente riuscito. Trovo il cinema di Greta Gerwig estremamente generoso nei confronti del pubblico, non credo che restituisca verità assolute, quindi questa incompiutezza sta anche nel compito che dà allo spettatore di completare le storie, i percorsi, gli sguardi dei personaggi con il proprio vissuto. La generosità fa rima con una grande umiltà: credo che G sia consapevole che è all’inizio di un percorso come autrice e come storyteller. Anche lei come i suoi personaggi è in viaggio, è ancora incompiuto, però è partita.

Rauco: Tra G e B ci sono quattordici anni di differenza, però appartengono alla stessa generazione cinematografica: vengono entrambi dall’indie, e per di più dall’indie molto spinto, quello definibile come mumblecore, [1] nel caso di B ancora prima che diventasse una corrente più o meno riconosciuta e da cui sono usciti anche dei personaggi che producono e creano serie per Netflix – penso ai fratelli Duplass. Si tratta di una scena indie che ha saputo accreditarsi verso un pubblico più ampio. Ancora prima, anche le generazioni del cinema indipendente americano fine anni Settanta inizio anni Ottanta – la No Wave, Amos Poe, oppure Jarmusch – facevano dell’irresolutezza uno strumento per contrastare lo stile di vita nordamericano. Nel cinema classico statunitense, facendo eco all’ideologia statunitense, i nodi dovevano venire al pettine, il protagonista irrisolto o la situazione dovevano compiere un percorso per poi risolversi, nel bene o nel male, a seconda dei registi, dei periodi della storia. Con la New Hollywood emerge una generazione di artisti e di registi che può permettersi di sfidare quel tipo di ideologia anche cinematografica, ed ecco che vengono raccontate storie di personaggi che girano a vuoto e che vogliono girare a vuoto, che rivendicano quel non risolversi come il loro modo di essere al mondo. Il non dover necessariamente sottostare a un percorso compiuto segna un passaggio politico, economico, culturale, sociale che trova il suo centro in quel vagabondaggio esistenziale. Questo vagare può assumere la forma delle chiacchiere infinite dei film di Kevin Smith, oppure del road movie senza meta di Jim Jarmush oppure, nel caso di GG e NB del piccolo ritratto, anche a suo modo completo, di personaggi che non sanno dove andare, che cercano il loro posto del mondo, non lo rifiutano, quindi tornano ad avere un dialogo, una dialettica con la società in cui vivono, ma che poi capiscono che forse trovarsi fuori posto è qualcosa che li fa stare bene. Penso a Frances Ha: una ragazza che si muove negli spazi alla ricerca del suo posto e quando pensa di trovarlo ne ha occupato troppo, infatti il suo nome non entra per intero nella mascherina sulla cassetta della posta.

Frances Ha è un successo, forse un punto di svolta nelle carriere di entrambi. Mentre il primo film che avevano fatto insieme, Il mondo di Greenberg, non aveva avuto riscontro, né di critica né al botteghino. Che significato ha Frances Ha nel percorso artistico di Baumbach e Gerwig, sia singolarmente sia insieme?

Strazza: Parlo dal punto di vista di G, facciamo i due avvocati come in Marriage Story: io sarò la Laura Dern di GG. Il mondo di Greenberg è importantissimo nella filmografia di GG perché è un film filtrato dallo sguardo di due uomini, il regista e il protagonista, ma alla fine lo sguardo che prevale, probabilmente su entrambi, è quello della protagonista femminile. Siamo a un punto della carriera di G in cui comincia veramente a fare proprio quello sguardo, che prima per una serie di vicissitudini non aveva mai conquistato. Se Frances Ha ha riscosso maggiore successo, credo che sia perché ha degli elementi legati alla sfera sentimentale ed emotiva molto più pronunciati.

Rauco: Come dice Cecilia Il mondo di Greenberg è il primo passo: in quella fase della sua carriera GG capisce di avere una sorta di potere, anche verso se stessa, una responsabilità rispetto alle scelte che fa e quindi anche rispetto al costruire il personaggio in modo che dica qualcosa rispetto alla storia che sta raccontando. B in quel momento sta ancora elaborando il successo di Il calamaro e la balena (2005), sta cercando di trovare una sua dimensione. I due capiscono che c’è una sinergia e quindi realizzano Frances Ha. È un’opera compiuta, sia nei rispettivi percorsi, sia in quello che riescono a dare al pubblico, per quanto il film riesce a comunicare, emozionare, divertire; e permette a entrambi un salto, un passaggio che non succede spessissimo, però nel cinema statunitense può succedere: quando la completezza artistica dà anche un immediato riscontro. Si parla di successo relativo, per film a budget così ridotto se si incassano più di 10-15 milioni nel mondo ci si può dire soddisfatti. È Frances Ha che fa fare un viaggio a tutti e due, che li accredita: G viene scoperta anche dagli spettatori non necessariamente cinefili e non appassionati di indie radicale e B si conferma dopo un paio di tentativi come un regista non solo di belle sceneggiature e di bei personaggi, ma che sa anche fare cinema.

Baumbach ha firmato più flop che successi al botteghino, eppure ha sempre trovato i finanziamenti per continuare a fare film e per di più film come li voleva lui, con una grande libertà autoriale, la stessa che poi ha contraddistinto i primi due film da regista di Gerwig. Questa libertà è un grande privilegio e non è così comune, quanto è importante nel definire questi due percorsi artistici, e quanto ne determina l’unicità?

Rauco: L’indipendenza è una risorsa in questo, perché non essere sottoposti agli interessi economici di una major permette di avere a che fare con produzioni il cui interesse è che il film sia bello, possa comunicare, che tu come artista riesca a dire ciò che vuoi dire. All’interno dell’industria quando vengono percepiti come autori d’interesse culturale, la casa di produzione (di solito medio-piccola e che investe un budget limitato) è quasi più interessata a far sì che il film sia una sorta di fiore all’occhiello che all’incasso: lo scopo è avere nel proprio portfolio film che vincono dei premi, che hanno un riscontro positivo ai festival e dalla critica. È una certa dose di furbizia che a un certo punto porta Baumbach a legarsi a Netflix, che gli mette a disposizione budget se non superiori, quantomeno più sicuri rispetto a produzioni che invece potrebbero ritirare all’ultimo momento il loro sostegno, come gli è successo a inizio carriera. Paradossalmente legarsi a una major – perché Netflix ormai di fatto lo è, però non ha un interesse economico così stringente – permette a Baumbach di avere ancora più libertà e di fare i film più complessi della sua carriera.

Strazza: La loro libertà è legata al privilegio di essere due artisti che per varie vicissitudini si sono sempre ritrovati a lavorare sui film che volevano, sulle storie che volevano raccontare: sono bianchi e di una certa estrazione, quindi hanno accesso un tipo di materiale diverso. Sarebbe molto interessante, vista anche la predisposizione che ha GG verso lo storytelling popolare, vederla in futuro affrontare un tipo di produzione in cui si ritrova a dirigere sceneggiature di altri con grandi produzioni. Finora ha avuto il privilegio di fare i film che voleva, di farli a modo suo, senza alcun tipo di limitazione, anche per Piccole donne nonostante la produzione sia la Sony, è stata Amy Pascal ad andare da G e a proporle di fare Piccole donne e di farlo a modo suo.

Consigliatemi l’uno la monografia dell’altra. Cecilia, perché leggere un libro su Baumbach? Emanuele, perché leggerne uno su Gerwig?

Strazza: Il primo motivo è perché non c’è nient’altro. Pregiatevi dell’onore di leggere la prima monografia italiana su Noah Baumbach. Il secondo motivo è che credo che Emanuele abbia una capacità di analisi che è la sintesi perfetta tra un modo di fare critica tradizionale, di stampo accademico, e un modo molto contemporaneo. Non trascura affatto la parte legata all’empatia e al sentimento. Lo consiglierei come lettura propedeutica per cominciare ad approfondire un cineasta su cui si è scritto poco e anche abbastanza male, per dei preconcetti quali per esempio il paragone molto banale con Woody Allen: finora l’attenzione è stata rivolta su quali siano i modelli cinematografici di B, sul trovare somiglianze e riferimenti, trascurando invece quello che rende B unico e indipendente a tutto tondo, non solo nel senso di indie.

Rauco: Nel panorama della saggistica e della critica cinematografica ci si concentra quasi esclusivamente sul lavoro del regista, e il lavoro dell’attore è sempre raccontato in relazione al lavoro che il regista fa sull’attore. I libri dedicati agli attori hanno sempre una dimensione biografica. Cecilia invece nel suo libro fa un lavoro su GG che restituisce dignità al mestiere dell’attrice, non semplicemente come mezzo per comunicare le emozioni della sceneggiatura o le idee del regista, ma come lavoro creativo autonomo: qualcosa che si fa pochissimo con l’attore. Si tratta in questo caso di un’attrice che, proprio per il tipo di scelte artistiche che fa, è anche una coautrice, a volte in maniera letterale, a volte per le capacità e idee creative che mette all’interno del progetto dei film. G mi sembra catalizzare alcuni dei temi più importanti dell’evoluzione del cinema contemporaneo, o quantomeno del discorso culturale che si fa intorno all’audiovisivo contemporaneo soprattutto statunitense: in particolare per quanto riguarda la costruzione di una figura di donna che ha un potere creativo e produttivo, e che lo usa in modo diverso da come lo userebbe un attore maschio. Fare un lavoro critico su un’attrice e farlo nel momento in cui questa attrice condensa intorno a sé tanti discorsi aperti nella contemporaneità mi sembra un ottimo motivo per leggere il libro e mi sembra anche coerente con il percorso critico che Cecilia porta avanti anche altrove nella sua produzione scritta – penso a Just Like Honey, il libro che ha scritto insieme a Martina Ponziani su Sofia Coppola.

Lasciamoci con uno sguardo al futuro: che cosa vi aspettate dai nuovi progetti in cantiere, da Rumore bianco e da Barbie con Margot Robbie?

Strazza: Di Rumore bianco ho appena acquistato il libro, non so che cosa aspettarmi, da quanto so sulle atmosfere di DeLillo ho un po’ paura. Per Barbie c’è grande entusiasmo da parte mia perché si sono combinati una serie di piani astrali: ci sono B e G, che scrivono insieme, lei dirige, Margot Robbie che recita e produce. Mi sembra una roba veramente detonante e non vedo l’ora. È stato descritto come un progetto assurdo, qualcosa per cui “reggetevi perché se pensate che sarete sopresi lo sarete di più”. La cosa che mi incuriosisce di più è il tono che useranno, perché sono artisti che hanno all’interno del loro arsenale tutte le armi possibili: commedia, dramma… Lo aspetto per Venezia 2022 o 2023.

RaucoRumore bianco potrebbe essere il salto dello squalo di B. DeLillo è uno scrittore infilmabile per antonomasia, ha cercato di sottrarre quella natura iconica che la narrativa statunitense ha e ha sempre avuto, che l’ha resa popolare in tutto il mondo, per restituire il peso della pura parola. Penso a DeLillo come a un Herman Melville del XX secolo e l’idea di mettere in scena un film da DeLillo richiede un lavoro sull’immagine e sulla negazione stessa dell’immagine che non mi immagino da uno come B. Tuttavia nel momento in cui un regista è arrivato a più di vent’anni di carriera, anzi quasi trenta, e ha una sua credibilità presso lo star system, presso l’industria e presso la critica (che ha già il proiettile in canna perché si va a toccare De Lillo), immagino che perlomeno un’idea di come uscirne vivo ce l’abbia, poi magari non gli riesce però non mi pare il progetto di uno che si butta a corpo morto. È talmente ambiziosa come idea che forse la sfanga anche.
Per Barbie mi aspetto l’esaltazione di tutto ciò che racchiudono i cultural studies, tutto quello che abbiamo predicato per anni: che la cultura pop e il giocattolone – a partire dal giocattolo fisico la Barbie fino ai film giocattolo – potessero dire qualcosa sul mondo e sul cinema stesso; e questo vale anche per la musica e per le serie tv. Tutto questo potrebbe trovare in Barbie il sugello perfetto.

Ultimi post dal blog

Lo psicopatico Alex De Large (Arancia meccanica, 1971), i compositori Franz Liszt (Lisztomania, 1975) e Wolfgang Amadeus Mozart (Amadeus, 1984), l’attore Wilbur (Fitzcarraldo, 1982), Iago nell’Otello (mai realizzato) di Roman Polański e persino Lucifero stesso (Lucifer Rising, 1972). Sono alcuni dei ruoli che Mick Jagger avrebbe voluto o dovuto interpretare sul grande schermo. Occasioni perdute che, nel saggio di Alberto Pallotta Le labbra sulla celluloide. MickJagger e il cinema (Fotogrammi Bietti, 106 pp., € 4,99), contano tanto quanto le parti effettivamente recitate per raccontare il bizzarro rapporto fra la Settima arte e il leader dei Rolling Stones, tanto influente nell’immaginario cinefilo quanto [...]
Quali sono le idee o le tesi principali che sostieni nel libro? Prendendo in considerazione oltre 200 film e 85 opere letterarie, e accumulando trame, battute di sceneggiatura, stralci di romanzi o verbali della polizia, resoconti psicanalitici, dichiarazioni di giudici e commissari (veri e finzionali) ho assemblato un tomo definitivo e caleidoscopico sulla Storia del nostro Paese, così come si è originato da una “scena primaria” felice e insidiosa: il boom del benessere ha creato mostri che ancora imperversano. Il cinema criminale consente libero accesso al subconscio della realtà, dà visibilità alla Storia mediata dal filtro della rappresentazione e rilegge modelli [...]
Fabrizio Fogliato è un esperto di cinema e in particolare del cinema dei generi. Da anni pubblica regolarmente saggi e analisi che diventano punti di riferimento per il mondo del cinema. Lo scorso anno ha mandato in stampa un nuovo importante volume intitolato Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare di che cosa si tratta e in che modo ha analizzato il cinema criminale della Penisola. Partiamo dal titolo. Come mai ha scelto Con la rabbia agli occhi, che è anche il titolo di un film degli anni 70? Con la rabbia [...]

Ultime uscite

François Ozon

François Ozon

Inland n. 2/2016
Il secondo numero di INLAND è il primo volume dedicato in Italia a François Ozon. Regista tra i generi, firma sfuggente all’etichetta d’autore, nei suoi film Ozon fa riverberare echi [...]
Fiume Diciannove - Il Fuoco sacro della Città di Vita
1919-2019. Un secolo fa Gabriele d’Annunzio entrava in Fiume d’Italia, dando vita a quella che sarebbe stata una rivoluzione durata cinquecento giorni. Un’atmosfera febbricitante e festosa, ma anzitutto sacra, qui [...]
Aldo Lado

Aldo Lado

Inland n. 9/2019
Quello che stringete tra le mani è il numero più complesso, stratificato, polisemantico del nostro – vostro – INLAND. Quaderni di cinema. Lo è innanzitutto grazie al parco autori, mai [...]
Dylan Dog - Nostro orrore quotidiano
Detective dell’Occulto, Indagatore dell’Incubo, Esploratore di Pluriversi: come definire altrimenti Dylan Dog, dal 1986 residente al n. 7 della londinese Craven Road? Le sue avventure – che affrontano tutti gli [...]
Dino Buzzati - Nostro fantastico quotidiano
Vi sono autori, come disse una volta Conan Doyle, che «hanno varcato una porta magica». Tra questi spicca Dino Buzzati, che ha condotto il fantastico nel cuore pulsante della materia. [...]
William Lustig

William Lustig

Inland n. 13/2020
Gennaio 2015, riunone di redazione: si discute a proposito della nascita di INLAND. Quaderni di cinema. A chi dedicare i primi tre numeri? Idee tante, unanimità poca. Restano quattro progetti, [...]
Jorge Luis Borges - Il Bibliotecario di Babele
Jorge Luis Borges è un autore oceanico, un crocevia di esperienze, storie, civiltà e piani dell’essere, un caleido­scopio nel quale il passato si fa futuro e il futuro si rispecchia [...]
Rote Armee Fraktion

Rote Armee Fraktion

Inland n. 18/2024
GRATUITO PER I NOSTRI LETTORI UN ESTRATTO DELLA COPIA DIGITALE DI QUESTO NUOVO INLAND E ALCUNI TESTI DA LEGGERE ONLINE Due anni fa, nel concepire il nuovo corso di INLAND, con [...]
Antonio Bido

Antonio Bido

Inland n. 11/2019
Girata la boa del decimo numero, INLAND. Quaderni di cinema compie altri due significativi passi in avanti. Innanzitutto ottiene il passaporto. A rilasciarlo è stato il Paradies Film Festival di Jena [...]
Carlo & Enrico Vanzina

Carlo & Enrico Vanzina

Inland n. 7/2018
INLAND. Quaderni di cinema numero #7 nasce nell’ormai lontano dicembre 2017, in un bar di Milano dove, di fronte al sottoscritto, siede Rocco Moccagatta, firma di punta di tutto quel [...]
Lav Diaz

Lav Diaz

Inland n. 3/2017
È da tempo che noi di INLAND pensiamo a una monografia dedicata a Lav Diaz. Doveva essere il numero #1, l’avevamo poi annunciato come #2, l’abbiamo rimandato in entrambe le [...]
Mike Flanagan

Mike Flanagan

Inland n. 16/2023
Lo specchio è un simbolo polisemantico. Investe la sfera delle apparenze, ma anche quella dei significa(n)ti. Chiama in causa l’estetica, la filosofia e, insieme, la psichiatria. È l’uno che contiene [...]
Manetti Bros.

Manetti Bros.

Inland n. 14/2022
Febbraio 2020. Inland. Quaderni di cinema numero #13 va in stampa con una nuova veste. Brossura, dorso rigido, grammatura della copertina aumentata. Il numero è dedicato a William Lustig, alfiere [...]
Lune d'Acciaio - I miti della fantascienza
Considerata da un punto di vista non solo letterario, la fantascienza può assumere oggi la funzione un tempo ricoperta dai miti. I viaggi nello spazio profondo, le avventure in galassie [...]
Rob Zombie

Rob Zombie

Inland n. 1/2015
Con la parola inland si intende letteralmente ciò che è all’interno. Nel suo capolavoro INLAND EMPIRE, David Lynch ha esteso la semantica terminologica a una dimensione più concettuale, espansa e [...]
Pupi Avati

Pupi Avati

Inland n. 10/2019
Numero #10. Stiamo diventando grandi. Era da tempo che pensavamo a come festeggiare adeguatamente questa ricorrenza tonda, questo traguardo tagliato in un crescendo di sperimentazioni editoriali, collaborazioni, pubblicazioni sempre più [...]
Philip K. Dick - Lui è vivo, noi siamo morti
Celebrato in film, fumetti e serie tv, Philip K. Dick ha stregato gli ultimi decenni del XX secolo. Ma il suo immaginario era talmente prodigioso che, a furia di sondare [...]
Sergio Martino

Sergio Martino

Inland n. 5/2017
Giunto al quinto numero, INLAND. Quaderni di cinema affronta uno snodo cruciale, fatto di significative ed emblematiche svolte che segnano uno scarto, un’apertura rispetto alla precedente linea editoriale. Innanzitutto la scelta del [...]
Carlo Verdone

Carlo Verdone

Inland n. 12/2019
"Vi ho chiesto di mettere la mia moto Honda Nighthawk in copertina perché su quella moto c'è passato il cinema italiano. Su quella moto io sono andato e tornato da [...]
Rob Zombie Reloaded

Rob Zombie Reloaded

Inland n. 8/2019
Giunto all’ottavo fascicolo, INLAND. Quaderni di cinema riavvolge per un attimo la pellicola della sua breve ma significativa storia, tornando a percorrere i passi compiuti nel 2015 quando aveva aperto [...]
America! America? - Sguardi sull'Impero antimoderno
L’impero statunitense ha sempre generato nella cultura italiana reazioni contrastanti, che spaziano da un’esaltazione semi-isterica a una condanna a priori, altrettanto paranoica. Sembra sia pressoché impossibile, per chi si confronta [...]
Dario Argento

Dario Argento

Inland n. 15/2022
Tutto è nato da Occhiali neri (2022). Dalla sua visione, certo, ma anche dal dibattito che il film ha riaperto a proposito di Dario Argento e di tutto ciò che [...]
Walt Disney - Il mago di Hollywood
«Credo che dopo una tempesta venga l’arcobaleno: che la tempesta sia il prezzo dell’arcobaleno. La gente ha bisogno dell’arcobaleno e ne ho bisogno anch’io, e perciò glielo do». Solo un [...]
4-4-2 - Calciatori, tifosi, uomini
Nel calcio s’intrecciano oggi le linee di forza del nostro tempo; talvolta vi si palesano le sue fratture, i suoi non-detti. Ecco perché il quattordicesimo fascicolo di «Antarès» è dedicato [...]
Nicolas Winding Refn

Nicolas Winding Refn

Inland n. 4/2017
Perché Nicolas Winding Refn? La risposta è semplice: perché, piaccia o no, è un autore che, più di altri, oggi ha qualcosa da dire. Sebbene sempre più distante dalle logiche [...]
Michele Soavi

Michele Soavi

Inland n. 6/2018
Il nuovo corso di INLAND. Quaderni di cinema, inaugurato dal numero #5, dedicato a Sergio Martino, è contraddistinto da aperture al cinema italiano, al passato, a trattazioni che possano anche [...]

Best seller

Autobiografia involontaria
Maurizio Nichetti è famoso come regista di Ratataplan, Ho fatto splash, Ladri di saponette, Volere volare, che sono stati visti [...]

Articoli piu' letti