Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano
Fabrizio Fogliato
La macchina-mente del cinema criminale italiano
Con la rabbia agli occhi è un’opera che affronta il cinema criminale italiano non come un semplice genere, ma come un dispositivo psicologico e culturale. Fogliato si muove, pagina dopo pagina, con la precisione di un montatore che non si limita ad assemblare immagini, ma le disinnesca e le ricarica di senso. L’approccio è quello di un teorico che conosce profondamente la grammatica filmica e, allo stesso tempo, di uno storico capace di leggere nei fotogrammi il respiro di un Paese.
Fin dalle prime pagine, emerge un asse portante che ricorda i grandi studi sul cinema americano degli anni ’40 e ’50: l’idea che il noir e, nel caso italiano, il cinema criminale, sia la forma visiva privilegiata dell’inconscio collettivo. Fogliato fa dialogare Schopenhauer, Freud e Gadda con Germi, De Santis, Lenzi, Guerrieri e Dallamano, ricostruendo una genealogia che va oltre le categorie critiche canoniche.
Le immagini di questi film non sono, per lui, un riflesso del reale ma la sua distorsione verosimile, come un negativo fotografico che restituisce meglio del positivo ciò che nel Paese rimane invisibile. Uno dei contributi più rilevanti del volume riguarda la lettura della città come organismo drammaturgico: la metropoli, Milano, Roma, Torino, Genova, è una scena totale in cui corpi, oggetti e architetture diventano vettori psicologici. Fogliato insiste sulla natura “iatrogena” dello spazio urbano,
capace di generare la patologia che poi i film rappresentano. Da Milano odia a Roma violenta, ciò che si impone è un’Italia che vive nel cortocircuito tra desiderio di ordine e pulsione di disgregazione, una tensione che si incarna nella figura, quasi mitologica, del “superuomo di massa” evocato da Umberto Eco.
La struttura del volume, organizzata come un percorso a tappe, ricorda il viaggio iniziatico del cinema documentato da Deleuze: ogni capitolo è un blocco di immagini-concetto, un luogo in cui Fogliato smonta e ricompone i codici del genere, mostrando come la violenza sia, al cinema, più una grammatica che un contenuto. La lettura di sequenze chiave, l’incipit di Roma ore 11, la partitura orrorifica della macelleria in Riso amaro, l’accendino di Gioventù perduta, rivela un’attenzione scenografica e simbolica degna della migliore critica francese degli anni ’60.
Non meno notevole è il modo in cui l’autore restituisce il legame tra mito dell’ordine, deriva individualista e fallimento delle istituzioni: il cinema criminale, lungi dall’essere mero intrattenimento popolare, diventa il luogo in cui il Paese elabora le proprie paure, frustrazioni e desideri inconfessabili.
Fogliato legge questi film come sintomi: non spiegano l’Italia, ma la mostrano nella sua parte sommersa, nel suo “unheimlich” quotidiano. L’opera si chiude, con coerenza quasi musicale, sulle colonne sonore del genere: Micalizzi, Cipriani, i De Angelis, Morricone. È un gesto critico raffinato, perché riconosce che nel poliziesco italiano il
suono non accompagna l’immagine, la precede. È un ritmo emotivo che prepara lo spettatore a entrare in un universo dove la tensione è la vera protagonista.
Con la rabbia agli occhi è, in definitiva, un libro che unisce rigore teorico, profondità storica e sensibilità estetica. Un testo che non si limita a raccontare il cinema criminale italiano, ma lo interpreta come uno specchio frantumato della nostra identità collettiva. Un volume imprescindibile per chiunque voglia comprendere non solo un genere cinematografico, ma il modo in cui una nazione ha rappresentato sé stessa, i propri incubi e le proprie ossessioni.