
Cinema dell’assurdo
è il primo studio in lingua italiana dedicato interamente alla filmografia di Martin McDonagh, l’autore anglo-irlandese più noto nel panorama teatrale e filmico contemporaneo. I suoi lungometraggi, come Tre manifesti a Ebbing, Missouri, In Bruges e Gli spiriti dell’isola propongono una particolarissima miscela di black humor, ironia spiazzante e tematiche profonde, capace di farci riflettere sulla tragicità che si annida nell’esistenza di ognuno di noi. McDonagh riesce a produrre un peculiare effetto di assurdità e nonsense e, al tempo stesso, è in grado di congegnare situazioni e dialoghi che, in virtù della loro componente assurda, riescono a farci ridere con il loro caratteristico tono british.
L’autore di questa preziosa monografia è Francesco Cianciarelli, critico cinematografico e saggista, nonché fedele collaboratore di Cinemany e di altre riviste, tra cui La Rivista del Cinematografo, FataMorganaWeb.it, SpecchioScuro.it e Ondacinema.it, di cui è anche redattore. Il suo Cinema dell’assurdo affronta e delinea l’intera filmografia del regista, partendo dal cortometraggio d’esordio, vincitore dell’Oscar nel 2006, e terminando con l’ultimo film da lui realizzato e un accenno a quello in lavorazione, Wild Horse Nine. Abbiamo coinvolto Francesco in una chiacchierata per conoscere meglio la pubblicazione.
Prima di addentrarci nelle specificità del tuo libro, vorrei chiederti: come sei arrivato a Martin McDonagh?
McDonagh è un autore che ho scoperto quando ha esordito nelle sale nel lontano 2008 con In Bruges. La coscienza dell’assassino. Dopodiché ho seguito il regista nel corso degli anni e recentemente ho avvertito il desiderio di approfondire la sua poetica cinematografica perché ho sempre trovato affascinanto il suo modo di raccontare e di interpellare lo spettatore.
Il tuo libro si intitola Cinema dell’assurdo. In che senso dell’assurdo? C’è un qualche rapporto con il teatro dell’assurdo, o utilizzi il termine in un’altra accezione.
McDonagh ha forti connessioni con il teatro dell’assurdo e in particolare con Samuel Beckett, come è evidente nella sua produzione teatrale e nel suo ultimo film, Gli spiriti dell’isola che, non a caso, è tratto da una pièce scritta decenni prima e mai messa in scena o pubblicata. Io utilizzo il termine assurdo per indicare la particolare manipolazione della visione spettatoriale da parte del regista, in grado di innescare nel pubblico una serie di aspettative che poi verranno disattese, generando piccoli shock cognitivi tali da lambire la sospensione dell’incredulità narrativa. Assurde sono quindi le piccole ma continue mancanze di senso, come le improvvise e inattese svolte di genere e relative alla trama, gli scoppi di violenza ingiustificati e il loro contrario, oppure, infine, l’uso estensivo del black humor e del grottesco in contesti inappropriati.
Che tipo di regista è dunque Martin McDonagh? Si può parlare di un’opera cinematografica che, nell’insieme, è attraversata da alcune caratteristiche salienti che si ritrovano un po’ in tutti i film?
Sì, esattamente: tanto la sua produzione filmica quanto quella teatrale sono caratterizzate da costanti ben definite, tali da renderlo un autore nel senso classico del termine, cioè un individuo capace di delineare ed edificare un universo finzionale con caratteristiche omogenee e peculiari, in grado anche di veicolare una precisa concezione del mondo, una Weltanschauung vera e propria. Questo è un fatto sempre più raro al giorno d’oggi, dato che è molto difficile accordare la definizione di autore cinematografico a molti registi contemporanei.
Quali film consiglieresti di vedere a chi non conosce ancora Martin McDonagh ma avesse voglia di scoprirlo?
Essendo un corpus filmico molto omogeneo e caratterizzato da aspetti ricorrenti, direi che qualsiasi film è adatto all’ingresso nel suo universo finzionale. Però posso consigliare quello che a mio parere è, sino ad ora, il suo film migliore: Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Come spiego nel libro, si tratta del lungometraggio più maturo perché in questo è stato in grado di coniugare la sua poetica filmica a tematiche di grande importanza, come la tragicità dell’esistenza e il problema della giustizia sulla Terra.
E a coloro che volessero approfondire l’opera del regista nelle pagine del tuo libro, consiglieresti di vedere prima alcuni suoi film, o il libro può fungere da introduzione a essi?
Penso che il mio libro si presti a entrambe le prospettive: il capitolo iniziale si focalizza sulla poetica cinematografica di McDonagh e, dunque, può essere letto come introduzione al film. La visione di questi ultimi, invece, può essere accompagnata dalla lettura dei singoli capitoli a essi dedicati. Dipende tutto dal desiderio e dall’aspettativa del lettore. In fin dei conti, l’importante è che il libro faciliti l’apprezzamento di questo interessante e brillante regista.
Sebastiano Caroni ©Cinemany giugno 2025