H.P. Lovecraft. Poeta dell'abisso
2025-10-14 07:39:43
Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco vanno annoverati tra i massimi esperti di letteratura fantastica e fantascientifica. E’ da poco nelle librerie, per i tipi di Bietti, un loro prezioso volume, H. P. Lovecraft, poeta dell’abisso (per ordini: 02/29528929). Il volume uscì, in prima edizione, nel 1979 per La Nuova Italia. Non si tratta però, si badi, di una ristampa. Nella nuova edizione, infatti, compare un’ampia Appendice che contiene una serie di saggi inerenti, tra le altre cose, ai rapporti tra la letteratura del “solitario di Providence” e l’esoterismo, alle traduzioni italiane dello sue opere e agli illustratori dei suoi libri. Inoltre, sono presenti due capitoli, espunti, all’epoca, dalla prima edizione. Essi riguardano le false leggende riguardanti Lovecraft e la sua eredità letteraria.
Al “fantastico-duo” De Turris-Fusco va attribuito il merito, come si evince dalla lettura del testo, di aver chiarito come le prime edizioni dei libri dello scrittore in Italia, fossero parziali, tanto per i tagli apportati ai testi, quanto per l’inaffidabilità delle traduzioni.
Lovecraft. Biografia esteriore ed interiore
L’incipit del narrato è dedicato a una minuziosa ricostruzione della biografia dello scrittore, mirata a cogliere non semplicemente i dati esteriori della vita dell’intellettuale, ma altresì a ricostruirne la biografia interiore, essenziale per la comprensione della produzione letteraria. Lovecraft (1890-1937) non poté contare su una famiglia “normale”: in tenera età perse il padre, mentre sua madre: «legò a se il figlio con una affetto possessivo […] Circondava Howard di attenzioni protettive soffocanti» (p. 39), che non consentirono al bambino di crescere, come di solito avviene, con i suoi coetanei. Grazie alla biblioteca di famiglia, il ragazzo presto acquisì conoscenze fuori dal comune per la sua giovane età e, durante l’adolescenza, si cimentò con una serie di saggi, che ne mostrarono la propensione per la creatività fantastica. Dormiva di giorno e scriveva di notte. Il sonno, la dimensione onirica, diventarono per Lovecraft valvola di sfogo e rifugio nei confronti della realtà storico-sociale degli USA degli anni Venti, avvertita come intollerabile.
Collaborò con riviste, procurandosi da vivere attraverso la revisione di testi di scrittori esordienti. Nel 1924 si trasferì da Providence a New York, in seguito al matrimonio con Sonia H. Greene, che naufragò già nel 1926: «Dopo il ritorno a Providence, la sua vita trascorse senza scosse né avvenimenti particolarmente significativi sino alla fine» (p. 47). La formazione di Lovecraft era di fatto materialista e meccanicista, ricordano i due autori. Egli ebbe, comunque, il coraggio intellettuale: «di riconoscere che esistono realtà diverse da quelle che appaiono ai nostri sensi; e […] la via che […] ci farà uscire dalle contraddizioni del nostro tempo è il sogno» (p. 27).
Del Tragico
Quella di Lovecraft fu, a parere di chi scrive, una gnoseologia originale e sui generis, sostanziata da una visione filosofica centrata su una rivalutazione del tragico. Lo si evince, in tutta evidenza, da alcune sue lettere pubblicate all’inizio del libro. In esse, tra l’altro, si può leggere: «Dato che l’intero piano della creazione è puro caos […] non vi è necessità di tracciare una linea fra realtà ed illusione. Tutto è mero effetto di prospettiva» (p. 22). Non esitono fatti, come seppe Nietzsche, ma interpretazioni degli stessi. Tale concezione è a-teleologica e, in tema, lo scrittore rileva: «Io non riesco a immaginare in altro modo lo schema della vita e delle forze cosmiche, se non come una massa di punti irregolari riuniti in spirali senza direzioni» (p. 22). Ancora più significativamente: «credo che il cosmo sia un insieme senza scopo e senza significato di cicli interminabili […] consistente soltanto di forze cieche che operano secondo schemi fissi ed eterni» (p. 23).
La materia cui guarda il “solitario di Providence” è lucreziana, animata, non è “materia” da intendersi in senso moderno. Egli ha contezza del fatto che la trascendenza vive solo nell’immanenza, nella physis e, in essa, sancisce la magica possibilità dell’impossibile. Un cosmo leopardiano, quello di Lovecraft, orrido e meravigliante in uno. Il suo sguardo di “osservatore distaccato”, la sua curiositas di indagatore, è avulsa dal qualsivoglia antropocentrismo, come nelle corde del grande recanatese (Dialogo di un islandese e della Natura). Il conservatorismo esistenziale e politico dello scrittore fantastico, va inteso, allora, quale risposta al caos, un tentativo di ordinare, di dar “forma”, sia pure momentanea, a ciò che ordinato non è. Lo sforzo letterario che lo contraddistinse è mirato a presentare: «un tipo di visione magnificata che conferisce strani colori all’universo, e che riveste le circostanze della vita d’un fascino mistico ed un significato occulto» (p. 25).
Simbolo e divino
De Turris e Fusco ricostruiscono e analizzano, in modalità convincente, informata e organica, l’opera omnia di questo creatore di mondi immaginari, alla luce di una bibliografia critica assai ampia. Ne analizzano gli esordi, si soffermano sui “miti di Cthulhu”, sulla visione fantascientifica che traligna dalle sue pagine, sui rapporti con l’occulto, sulle lettere e le poesie, sulla struttura linguistica della sua prosa coinvolgente, nonché sul messaggio finale che la connota. Chiariscono, inoltre, le sue ascendenze culturali, da Dunsany a Poe, per citare solo alcuni degli “autori” di Howard.
In particolare, notano che le figure simbolico-divine cui lo scrittore fa riferimento: «incarnano, il cieco terrore dell’individuo razionale posto di fronte ad un abisso cosmico» (p. 111), parallelo all’abisso che vive in interiore homine, nel foro interiore di ognuno di noi. L’uomo della ratio, attraverso gli universali e i concetti, staticizza l’essere sempre all’opera della vita, il carattere veicolare e metamorfico di ogni ente di natura, e richiude l’abisso. Lovecraft, di contro, tenta di ridare vigore alle potenze che abitano il cosmo e l’uomo, questa la funzione svolta dai “miti di Cthulhu”: «nella sua narrativa non trovano posto divinità benevole o malevole, ma soltanto manifestazioni cieche di forze indifferenti, che agiscono tanto a livello universale quanto individuale» (p. 118). Il lettore non sia tratto in inganno da questa affermazione: il tragico puro, quando venga vissuto in modalità autentica, concede, lo seppero gli Stoici, serenità. Ha tratto rasserenante di fronte all’orrido e al meravigliante della vita.
Per questa ragione, Lovecraft, poeta dell’abisso, è libro da leggere e meditare, soprattutto oggi, in quanto la dismisura messa in campo dalla Forma-Capitale ha colonizzato l’immaginario degli uomini In tal senso, la lettura di queste pagine ha effetto liberante nei confronti degli idola della post-modernità. Non è cosa di poco conto…
Gianfranco de Turris – Sebastiano Fusco, H. P. Lovecraft, poeta dell’abisso, Bietti, pp. 314, euro 24,00.
Giovanni Sessa ©Barbadillo.it