
Una delle presenze più forti di Profondo Giallo è un venerato maestro del cinema e del costume italiano, Enrico Vanzina: oggi pomeriggio alle 18 al Museo della Stampa di Libertà (via Benedettine 68), Vanzina presenterà il suo ultimo romanzo giallo, La sera a Roma (Mondadori) in un dialogo coordinato da Angela Marinetti, con il critico cinematografico Claudio Bartolini e con il giornalista e docente di Storia del cinema Rocco Moccagatta. Bartolini è autore di Il cinema giallo-thriller italiano (Gremese), completissima mappatura e analisi del cinema di genere italiano, mentre Moccagatta ha condotto una lunga, appassionante e interessantissima intervista ai Vanzina che, insieme a contributi di esperti su temi specifici della loro cinematografia, fa parte del volume Carlo & Enrico Vanzina. Artigiani del cinema popolare (Bietti). Allo Spazio Rotative di Libertà, alle ore 21, sempre in compagnia di Enrico Vanzina, sarà proiettato Sotto il vestito niente, grande successo di pubblico del 1985, famosa incursione dei fratelli in zona thriller, ambientato nel mondo della moda milanese. La sera a Roma è un libro molto ricco: la trama gialla è ambientata nel mondo del cinema, il protagonista è uno sceneggiatore, ma la maggior parte dell’azione è in una Roma raccontata nel pieno degrado strutturale e sociale visibile nel centro dei palazzi nobiliari. Una città osservata con un tono amaro che tradisce un grande affetto e qualche lieve speranza.
Roma e Milano. Un cinema, quello dei Vanzina, che è stato racconto di città e modelli culturali alti e bassi. A un certo punto nel libro-intervista, Moccagatta dice che per i Vanzina «Roma è la città del ricordo e Milano è la città del presente», ma adesso sembra Roma la città del presente cinematografico italiano, quello che va in tutto il mondo. A questo proposito cosa pensa della Roma dipinta da Sorrentino? E del mondo del cinema romano dell’ultimo Virzì?
Roma e Milano, un derby infinito. Calcio, modi di vivere, di parlare, di interpretare presente e passato. E di immaginare il futuro. Milano sembra più legate alle innovazioni, Roma sembra addormentata. Ma il suo passato è un presente infinito. Roma più buffa. Milano più attenta. Ma con Carlo abbiamo anche raccontato la Milano buffa che esiste eccome. Sorrentino ha scelto le immagini per scolpire un nuovo monumento della Roma iconica. Virzì gioca la carta del ricordo recente. Senza offesa ma, insieme a noi, l’unico che ha raccontato bene Roma è il mio amico Carlo Verdone.
Il nuovo cinema delle periferie romane è sempre drammatico, tra il modello Sollima e quello Caligari, con la piccola ma importante eccezione di Come un gatto in tangenziale che ambienta una commedia proprio in periferia ed è stato il campione di incassi dell’anno.
Mettere a confronto la Roma borghese con quella periferica lo avevamo già fatto molti anni fa. Ma il cinema è una declinazione continua degli stessi temi. E Milani ha declinato molto bene un tema antico. Soprattutto grazie alla stupefacente bravura di Paola Cortellesi.
Nel suo romanzo giallo Roma è la grande protagonista, raccontata con l’occhio analitico dell’osservatore, ma si parla di cinema, di giornalismo, del tempo che passa, ed è pieno di citazioni e battute folgoranti. Con tutto quel materiale, l’ambientazione, l’indagine, i dialoghi, i personaggi reali, i registi, i giornalisti, c’è l’intenzione di trasformarlo in una sceneggiatura?
Spero che il mio romanzo diventi un film. Ma è difficile visto che il cinema italiano è bloccato tra film d’autore e commedie. Il genere non viene più realizzatto. Un grave errore.
Cosa trova più interessante nel nuovo cinemae italiano e cosa pensa della nuova generazione di sceneggiatori, Mainetti, Guaglianone, la Rohrwacher, Sibilia?
Sono tutti artigiani di grande talento. Dico artigiani perché i veri autori di una volta latitano. Nessuno di loro è Monicelli, o Risi o Petri o Rosi. Mainetti è una risorsa, Guaglianone è intelligente, Rohrwacher è profonda, Sibilia è una speranza.
Gli incassi da record (con le dovute differenze) li fa solo Zalone, che molti chiamano l’erede dei Vanzina. In un Paese che guarda sempre con sospetto il successo commerciale, Zalone non piace alla critica perché anche lui è troppo vicino al cuore meno edificante del Paese?
Zalone è un genio. Non è affatto il nostro erede. Lui è unico. Ha preso in mano il testimone di Totò, quello del Re degli ignoranti. Lo adoro.
Esiste, tra i tanti che ha scritto, un personaggio al quale è rimasto più affezionato.
Voglio bene al Volonté di Tre colonne in cronaca. Era un gigante. Gli voglio bene perché il film andò male. E non lo meritava.
Per chiudere con una battuta, cosa consiglierebbe al solito giovane che sogna di lavorare nel mondo del cinema?
Studiare.
Enrico Vanzina al Museo di Libertà per il suo ultimo libro: “La sera a Roma”
Barbara Belzini ©Libertà, quotidiano di Piacenza, 17 novembre 2018