
Ascoltare una lezione di Storia del cinema allo Iulm di Milano, dove è prorettore; vederlo sullo schermo mentre racconta la settima arte su Sky Cinema; leggerlo su «8 1/2», periodico che ha ereditato i magici vent’anni del suo mensile «Duel»: questo e molto altro è Gianni Canova, che torna in libreria con un libro fondamentale dal titolo Divi duci guitti papi caimani. L’immaginario del potere da Rossellini a The Young Pope (Bietti, 140 pagine, 15 euro), arricchito da una scrittura perfetta che sembra di ascoltare dalla sua voce.
Non è stato un lavoro semplice, ma quest’opera era da farsi, come spiega Canova dal suo paese natale, Castione della Presolana: «L’Ho scritto in poche settimane ma c’è un lavoro di ricerca e riflessione che ha occupato decenni della mia vita». Per una vasta esplorazione di quello che secondo Canova è «il rapporto distorto con l’idea di potere, uno dei problemi centrali dell’Italia di oggi. Il cinema è un luogo privilegato per sondare il nostro immaginario sul potere». Per farlo, serviva un filtro di luce tersa, quella della della regina delle Orobie: «L’ho scritto a Castione guardando la Presolana, contemplando l’incredibile purezza dei monti per risollevare lo spirito nel confronto con la miserevole mediocrità degli uomini nei film di cui scrivo».
Il libro andrebbe studiato nella scuole superiori e letto attentamente in vista delle elezioni. Il potere e la politica, nella cultura popolare italiana, sono quasi sempre analizzati come qualcosa di alieno, come se si cercasse un’autoassoluzione. Ecco perché il libro è in fondo anche un’analisi del carattere italiano, la narrazione del rapporto tra il cittadino e la politica, che va quasi sempre a risolversi nell’invettiva o nello sberleffo. Tanto che Canova arriva a chiedersi: «E se fosse stato il cinema ad aver reso tollerabile l’intollerabile? Da noi nessun cineasta saprebbe raccontare la grandezza di un leader politico come il film L’ora più buia dedicato alla figura di Winston Churchill, in cui ti rendi conto di cosa puà significare essere un uomo che il potere lo usa per il bene del popolo, la libertà e la dignità. Sono uscito dal cinema commosso: nessun film italiano sul potere o su un uomo di potere mi aveva mai trasmesso emozioni così».
La rimozione dell’idea di un ruolo positivo della politica, fa dire a Canova che «in noi prevale l’idea che il potere sia fatto di congiure, complotti, corruzioni, macchinazioni segrete. L’uomo di potere si nasconde sempre dietro maschere: il Divo (Andreotti), il Caimano (Berlusconi), il Duce (Mussolini). Nell’immaginario italiano il potere ha sempre qualcosa di carnevalesco, è travestimento, inautentico. I film americani gli uomioni di potere li chiamano con nome e cognome, fin dal titolo: JFK, Nixon, Lincoln».
Il libro parte dalla fine, dedicando le prime pagine alla serie tv The Young Pope di Paolo Sorrentino, perché «più che una serie a me pare un grande film di 10 ore. Un film-flusso, un film-mondo che dice come la forma di potere della Chiesa romana, basata sul rituale, il cerimoniale, la liturgia, alla lunga è quella che si è dimostrata più duratura», trasformando la sua natura rituale nella propria visibilità, tema cardine della vita contemporanea.
Ma forse è questo che non fa più reagire il potere di fronte alle invettive del cinema: «Potenti e politici sono affamati di visibilità, ossessionati dal bisogno di essere sempre sotto i riflettori: anche i film che li dipingono in modo negativo li mettono al centro della scena mediatica». In queste ultime settimane della campagna elettorale, facciamo un esperimento: mettiamoci all’ascolto dopo aver letto questo libro, perché forse riusciremo a capire di noi stessi qualcosa di più. Che potrebbe non piacerci affatto.
Davide Sapienza ©Corriere della Sera – Bergamo