
È disponibile da qualche settimana in libreria la biografia di Baudelaire, scritta dall’amico e letterato Asselineau nel 1869 (Charles Asselineau, Charles Baudelaire. La vita, l’opera, il genio, a cura di Massimo Carloni, Edizioni Bietti, Milano 2016, pp. 180, € 15,00). L’opera si qualifica come tassello fondamentale nel panorama delle pubblicazioni sul poeta francese. Il testo, edito per la prima volta in Italia, scaturisce dalla sincera amicizia che legava queste due figure.
Al profondo bisogno di comprensione di Baudelaire Asselineau risponde con autentica ammirazione. Così li descrive il comune amico Théodore de Banville: «Si vede il dolce Asselineau / Accanto allo scontroso Baudelaire / Come un Moscovita in slitta / Si vede il dolce Asselineau. / Più agro di un gheriglio acerbo, / l’altro è come un Goethe in collera. / Si vede il dolce Asselineau / Accanto allo scontroso Baudelaire».
Sensibile al bello, estimatore della buona poesia e dotato di quell’empatia che è da sempre alla base delle più significative amicizie virili, il letterato parigino comprende e “spiega” l’uomo Baudelaire, offrendo una prospettiva umana e artistica lontana dai rigidi – e un po’ freddi, diciamolo – schematismi accademici.
Dalle righe dell’opera traspare in modo chiaro l’apparente iato tra il carattere del biografo e quello del poeta. Ne risulta un incontro armonico e bilanciato: da una parte la teatralità e la stravaganza ragionata di Baudelaire, dall’altra la concretezza e l’amore per la cultura di Asselineau, folgorato e attratto dalla genialità artistica, così viva e prepotente nella Parigi bohémienne di metà Ottocento. Elemento di consonanza e comunione intellettuale tra i due è senza dubbio la bibliofilia, l’amore per il libro che è pane quotidiano per la mente, fonte di ispirazione ma anche, con alti e bassi, di sussistenza. Si veda, in proposito, l’introduzione del curatore, Massimo Carloni, ove si traccia un interessante profilo dell’autore, le cui vicende si presentano intrecciate alle estenuanti ricerche di volumi in edizioni rare e pregevoli.
L’arte è dunque la dimensione in cui entrambi volano leggeri, liberi nel proprio elemento. Il Baudelaire che ci mostra Asselineau non è un intellettuale nel senso moderno del termine, ma un uomo dominato dalla passione per la perfezione artistica in senso universale, che, nonostante la consapevolezza del proprio valore, non esita a guardare con rispetto e ammirazione ciò che i suoi pari hanno da offrire e – considerando come caso emblematico l’opera di Edgar Allan Poe, di cui fu divulgatore e fine traduttore – ad adoperarsi per il loro riconoscimento. In altre parole, il Baudelaire che vive nelle pagine di questo libro non fugge dal mondo, ma in esso si muove, cercando di trarne il meglio, senza spocchia ma con stile ineffabile. Parla da sola la moltitudine di legami che seppe intessere con una nutrita schiera di artisti e poeti, dai quali non pretendeva adulazione, ma confronto sincero e, se v’erano i presupposti, amicizia.
Ma lo scritto di Asselineau è anche un’appassionata difesa del verbo baudelairiano di fronte al processo del 1851, che gli costò la mutilazione dei Fleurs du mal. È una voce fuori dal coro, che rifugge le facili “santificazioni” postume. Lontana da qualsiasi proposito “agiografico” e dalla tendenza alla creazione di una mitografia – quella cui il poeta sarà destinato negli anni successivi alla dipartita –, la penna del biografo verga l’arringa difensiva di cui l’amico non ha beneficiato e che avrebbe potuto farlo assolvere: l’affermazione decisa dell’impossibilità di un giudizio equo da parte di una commissione incompetente. Come l’albatro dell’omonima poesia, Baudelaire viene giudicato inadeguato a librarsi nel cielo dei poeti perché incastrato in un sistema che pare non accorgersi della dignità dell’arte in sé, valutandola con gli stessi strumenti che userebbe in luogo di una comune controversia giudiziaria. Il processo diviene simbolo dell’ottusità del pensiero borghese più istituzionale, entità meccanica e meccanicistica che trae il proprio sostentamento dal politicamente corretto e dal pensiero allineato, privo di contenuti che potrebbero alimentare la sensibilità, la fantasia e il buon gusto. Sia mai che qualcuno, fruendo tali finezze, cominci a pensare seguendo binari poco consoni al potere costituito e alla morale imperante, che ne è invisibile strumento di controllo e censura.
Questi e altri fatti sono inquadrati con la consueta cura caratteristica dei libri della collana l’Archeometro. Segnaliamo in particolare la ricca appendice contenente gli aneddoti baudelairiani narrati dallo stesso Asselineau e una selezione di epistole tra l’autore, il poeta e altre figure di spicco della scena letteraria francese di quegli anni. Tali elementi vanno a completare un volume la cui importanza tra gli studi dedicati al poeta parigino è già di per sé tutt’altro che compendiaria, costituendo una testimonianza umana, il cui intimo significato si riverbera nelle parole che Victor Hugo destinò a Baudelaire: «L’arte, come l’azzurro, è un campo infinito: voi lo avete appena provato. Le vostre Fleurs du mal illuminano e affascinano come stelle. Continuate. Grido con tutte le mie forze al vostro spirito vigoroso. […] Una delle rare onorificenze che l’attuale regime può accordare, voi l’avete appena ricevuta. Ciò che chiama la sua giustizia vi ha condannato in nome di ciò che chiama la sua morale: è una corona in più. Vi stringo la mano, poeta».
(Giuseppe Aguanno & Maria Ceraso, «La Confederazione Italiana», 2 novembre 2016)