
“Non vendere i tuoi sogni, mai” è il romanzo di esordio di Umberto Lucarelli, recentemente ripubblicato e parte di una trilogia sugli anni Settanta
– Il ricordo, il passato come una tortura, sofferenza. Ora lo scacci, ora lo sogni, lo desideri, lo abbracci: ti culli nell’ombra nera e cupa del pensiero che t’insegue e ti morde, ti riempie gli occhi languidi di malinconia: lascia il passato! Lascialo!
– Perché? Il passato sono io, sono io il futuro, perché nascondere ciò che vive in me?
Far rivivere il passato, a distanza di dieci o di quarant’anni, per fare i conti con il proprio vissuto, scoprendo che i propri valori, desideri, sogni e la propria sensibilità sono rimasti i medesimi, sia pure con la maggiore lucidità dell’età adulta. Questo sembra essere l’intento di “Non vendere i tuoi sogni, mai”, il breve romanzo (una cinquantina di pagine in tutto) di Umberto Lucarelli, uscito in origine nel 1987 e recentemente ripubblicato – nel 2019 – da Bietti.
Il vissuto di Michele riflette le vicende autobiografiche di Lucarelli stesso: l’adolescenza trascorsa nel quartiere milanese della Barona, la militanza politica tra le fila del “Movimento”, il servizio militare e il relativo congedo, l’amore per una compagna, l’arresto per presunta costituzione di banda armata, le vessazioni subite dalla polizia.
Riportare alla luce esperienze vissute negli anni Settanta significa per l’autore ripensare all’accaduto con il necessario distacco e, nonostante tutto, ribadire le convinzioni di allora: il rifiuto dell’omologazione, dell’autoritarismo, rappresentato dalle istituzioni e dall’universo concentrazionario della “naja” e della prigione e, soprattutto, il diritto all’utopia, simboleggiato dal titolo stesso.
La prima edizione del volume vantava un’introduzione firmata da Primo Moroni, amico e mentore di Lucarelli: quest’ultimo, in gioventù, trascorse tanto tempo nella libreria di vicolo Calusca, punto di riferimento per la sinistra extraparlamentare ma anche di tutti coloro che ricercavano stimoli culturali nuovi, alternativi, antagonisti. E Moroni, insieme allo stesso Umberto – che qui si espone in prima persona – è il coprotagonista di “Vicolo Calusca”, altro viaggio à rebours nella memoria degli anni Settanta, pubblicato anch’esso da Bietti nel 2018.
In “Non vendere i tuoi sogni, mai” la dimensione onirica è una componente essenziale: il sogno è personale, individuale, attimo di evasione, realizzazione di un desiderio, o è un sogno collettivo che auspica l’uguaglianza e la giustizia sociale. Il protagonista si ritrova spesso a fantasticare e ciò gli consente di esplorare il proprio mondo interiore, di rivivere antiche emozioni e di viaggiare nei ricordi:
Eppure mi piace star qui a sognare, qualsiasi cosa accada vincerla col sogno. Mi affascina il pensiero che sogna, posso arrivare ovunque e fare qualsiasi cosa senza far danno se penso al male; gioendo del mio stesso sogno se penso bene … Con i sogni si raddrizzano i torti, si è corrisposti nell’amore, si trova il lavoro migliore e si viaggia, si passeggia nel mondo: si può anche volare, si può essere felici. Rivivere, si possono rivivere gli attimi più intensi anche se già vissuti.
La peculiarità del romanzo è, dunque, la soggettività del tempo, scandito non dall’orologio o dal calendario, ma dai moti dell’animo: la narrazione si sposta infatti dal presente al passato e da un’esperienza all’altra sull’onda dell’emotività e dell’urgenza espressiva. All’inizio del romanzo Michele si trova in prigione, dove riceve la visita della donna che ama, Laura. La figura femminile e la condizione della reclusione spostano il racconto a un momento precedente, quando il giovane parte per il servizio militare a Bolzano. Dopo che gli viene negata una licenza, il ragazzo dà in escandescenze e viene trasferito in un ospedale militare, da cui è dimesso e dichiarato inabile alla vita di caserma; il ricordo si specchia in quello di un episodio ancor più lontano in cui Michele, nottetempo, con motivazioni pretestuose, subisce violenza dalla polizia, viene strappato via dalla propria abitazione e condotto in prigione. Il protagonista torna poi ancora più indietro, al periodo di attività nei collettivi, tra riunioni e manifestazioni, dove la polizia e le istituzioni sono nemici dichiarati.
Anche gli affetti familiari suscitano reminiscenze appartenenti a diverse fasi della vita: significativo è il ricordo della cena in trattoria con il padre a Livorno, in cui il genitore, Werne, racconta a sua volta i propri trascorsi da militare e l’insofferenza all’autorità. E poi l’uscita di prigione, la citazione del volume “I dolori del giovane Werther” (“Werther della Barona” era il soprannome dello stesso Lucarelli da ragazzo), la tenerezza per la nipotina Sofia, figlia della sorella. Un altro rapporto affettivo fondamentale per Michele è poi quello con Fabio, compagno di lotte:
Due volte siamo stati imprigionati assieme e due volte siamo usciti insieme. E così, come giocavamo da bambini, abbiamo giocato anche da grandi: abbiamo sognato e pianto, lottato e protestato, gioito e sofferto. E così tu sei ancora là rinchiuso una terza volta, mentre io sto qui a per sognare, a pensarti libero. Posso forse liberarti con un sogno?
Amore e morte, vita e sogno, sonno e risveglio sono indissolubilmente legati, e i poeti lo sanno bene: La vida es sueño, We are such stuff as dreams are made on and our little life is rounded with a sleep… Il protagonista del romanzo di Lucarelli, nell’affrontare le contrarietà dell’esistenza, cerca a sua volta conforto nel sentimento, nell’oblio, nell’annullamento di sé che ha luogo con la fusione quasi simbiotica con la persona amata:
Sono passati tre anni ma ti amo. Tu sei la mia morte. L’amore è la morte: è bellissimo, è dolce, sublime, violento. È abbandono, annullamento, estasi. L’amore è la morte, il buio, il rifugio, la pace, l’orgasmo, l’oblio. Ecco la morte: non la fine di tutto, solo la morte che giunge e, dopo l’apice il riposo, dopo la vetta la caduta, dopo la caduta il sonno: scivola il sonno nel sogno della vita, sognando nella morte vivo e rinasco raccontando il mio sogno che non può finire. Nel sogno della vita mi addormento e sogno fino a morire per poi riaddormentarmi e sognare fino a vivere: la vita non è altro che un sogno…
La capacità di continuare a credere incessantemente nei propri sogni è tipica degli artisti, dei folli e di coloro che improntano tutta la propria esistenza nel perseguimento dei propri ideali. Tutti gli altri vivranno una continua altalena tra desideri realizzati e speranze crollate, ma ogni tanto, magari confortati dal calore delle parole di una persona amica, potranno rinnovare la fiducia in se stessi e nel futuro: «Verkaufe deine Träume nicht, nie», sussurrò Ana e la sua voce s’intrufolò dolcemente nelle mie orecchie, smisi di fissare le onde leggere e buie del mare e la guardai fisso nei suoi occhi scuri.
«No vendas tus sueños, nunca», disse ancora Ana e sorrise di fronte allo stupore disegnato sul mio viso. S’alzò e venne più vicino.
«Non vendere i tuoi sogni, mai», sussurrò.
Che calore aveva in sé quella frase. Tenera come la voce di Sofia. Morbida, come le labbra di Laura. Calda, come la mano di Fabio che stringe la mia con forza, violenza, amore.
“Non vendere i tuoi sogni, mai” è l’opera prima di un autore che, a più riprese, ha avvertito l’esigenza di percorrere a ritroso la propria esistenza e di tornare agli anni Settanta, un periodo estremamente complesso della propria – e della nostra – storia. Contiene spunti ed episodi che saranno indagati in romanzi successivi, come “Ser Akel va alla guerra” e il già citato “Vicolo Calusca”. Ma, soprattutto, sintetizza due elementi fondamentali per chi, come Lucarelli, ha vissuto in prima persona quegli anni: il senso di sconfitta, da una parte, e l’importanza di rimanere tenacemente attaccati alle proprie aspirazioni e ai propri valori, senza venderli mai.
Maria Macchia ©marynowhere.com novembre 2023