Totalità: «Le interviste di Ray Bradbury»

Ray Bradbury
2015-05-22 09:13:27
Totalità: «Le interviste di Ray Bradbury»

Ray Bradbury è stato, senza alcun dubbio, uno dei grandi nomi della letteratura fantastica e fantascientifica del Novecento. I suoi racconti e romanzi, tradotti in tutto il mondo, si pensi tra gli altri a Cronache marziane e a Fahrenheit 451, sono stati letti ed apprezzati da migliaia di lettori appassionati ed hanno conosciuto riduzioni cinematografiche. Al fine di comprendere a fondo la “visione del mondo” che ha sostenuto dall’interno la lunga attività intellettuale dello scrittore, sono ora a disposizione del lettore italiano dodici interviste, scelte tra le centinaia che egli rilasciò nel corso della vita. Ci riferiamo al volume Siamo noi i marziani. Interviste (1948-2010), edito da Bietti per la cura di Gianfranco de Turris e Tania Di Bernardo (per ordini: 02/29528929, euro 20,00).

Incalzato dalle domande degli intervistatori Bradbury dà il meglio di sé. Mette in luce, innanzitutto, il tratto argutamente polemico ed anticonformista della propria intelligenza, che si manifesta in battute sferzanti, capaci di demolire le resistenze psicologiche ed ideali dei sostenitori del senso comune contemporaneo. I contenuti della raccolta sono i più vari: dalla letteratura alla politica, dalla scienza all’urbanistica, dal problema ambientale alla conquista dello spazio, con qualche significativa concessione al privato. In questo senso, come viene ricordato nell’intervista che chiude il volume, l’obiettivo esistenziale che egli perseguì fino all’ultimo giorno fu di “Vivere al massimo”. Lo fece dedicandosi appassionatamente alla scrittura fin da adolescente. La grande importanza attribuita all’attività letteraria, gli permise di superare la crisi prodottasi in lui a seguito dell’ictus che lo colpì nel 1999 e quella, ancor più pervasiva, sorta per la morte dell’amata moglie Maggie nel 2003. Questo “narratore dell’Immaginario”, così nell’esaustiva Introduzione lo definisce Gianfranco de Turris, era un solitario, attento, molto più di tanti intellettuali “impegnati”, ai problemi e ai bisogni della comunità, degli uomini del suo tempo.  Aveva compreso, proprio lui scrittore di fantascienza, i rischi impliciti nella tecnica e il ruolo devastante delle automobili nelle nostre città, di cui profetizzò la scomparsa o la riduzione, ahimè non verificatasi.

Amava passeggiare di notte ed andare in bicicletta per sottrarsi al traffico caotico, come si evince da un racconto del 1951, Il pedone. Allo scopo collaborò alla ideazione delle malls “strade commerciali ben diverse dai nostri alienanti centri…ma dotati di boulevard lunghi, ampi, spaziosi, alberati” (p. 10). Insomma, considerò il “ben vivere” conseguenza del rapporto armonico con la natura, capace di infondere sicurezza ed entusiasmo, di rendere gratificanti le attività quotidiane.    Polemizzò con i mezzi di comunicazione di massa, pervicacemente protesi a diffondere l’orrido e lo sgomento sociale di fronte ai più turpi atti di violenza, oltre che a realizzare una manipolazione delle coscienze di tipo politico. Sulla scorta di tali posizioni, nelle interviste, sostenne l’età dell’oro della vita essere l’infanzia. Intorno ai dieci anni, gli occhi del bambino percepiscono, pieni di meraviglia, l’effettivo senso e valore delle cose che ci circondano, il tratto mitopoietico del reale. Per questo la fantascienza appartiene di diritto alla grande letteratura, essendo latrice e del momento dell’incanto della natura, come di tutti gli altri aspetti della vita. Non è una forma minore di espressività letteraria, è letteratura di idee, simbolica, narrazione del possibile. Il fantastico fa sognare: “…di conseguenza il compito degli scrittori che praticano questo genere dovrebbe essere di “offrire delle speranze”, identificando un problema ed offrendo una soluzione” (p. 11).

Senso ultimo della fantascienza è dunque quello di essere costituita da “idee in azione”, aliena   dal verboso intellettualismo tipico dei contestatori sessantottini e distante anni luce dall’atteggiamento superbo dei vari Mailer, Vidal e Warhol, veri e propri sacerdoti intoccabili della religione progressista che, il fuori-casta Bradbury, non ebbe timore, nei suoi giudizi, di buttar giù dal piedistallo. Ciò non consente di etichettare lo scrittore come reazionario: fu semplicemente uomo libero. Forse, come suggerisce de Turris, lo si potrebbe considerare come un rivoluzionario conservatore, in quanto in una intervista del 1964 scrisse: “Un uomo non può parlare veramente del futuro se non ha un forte senso del passato” (p. 14). Il passato ha il suo luogo d’elezione nelle biblioteche, nei libri, custodi del sapere dei Padri, come egli scrisse magistralmente in Fahrenheit 451. Custodire la tradizione, implica la tutela della libertà individuale e comunitaria. Anche dal punto di vista propriamente politico, la fantascienza può quindi svolgere un ruolo significativo. Infatti, scrutando il futuro, in realtà le sue pagine spostano l’attenzione su un riflesso di quel che già vive attorno a noi. Ciò lo si evince, in particolare, da L’arte del possibile del 2010, l’intervista che chiude la raccolta. In tal senso, il fantastico è latore in sé della cultura del sospetto: mette in guardia dal politicamente corretto, da ogni forma di dittatura, tanto da quella esercitata dalla maggioranza, quanto da quella delle minoranze. Alcune femministe, durante una conferenza universitaria, gli chiesero con arroganza di inserire personaggi femminili nella sua narrativa, ma egli aveva un senso troppo nobile del valore della scrittura per acconsentire a tale richiesta: lo scrivere, a suo dire, è terapia dell’anima per cui lo “stile è verità”. Ad esso si giunge in modo autonomo, attraverso il duro e costante esercizio quotidiano. Al contrario, le scuole di scrittura “creativa” sono inutili, nella migliore delle ipotesi insegnano ad adeguarsi alle richieste del mercato, abituano al conformismo intellettuale.

Ma per quale ragione, ci siamo chiesti, Bradbury, ha ambientato su Marte e, più in generale, nello spazio, i suoi lavori più riusciti? La risposta è rintracciabile nella sua idea di uomo. Come gli ermetisti del Rinascimento o al pari degli antichi gnostici, era convinto che la nostra natura sia per metà umana e per metà divina. Il senso del nostro essere va colto nel tentativo complesso di trasmutare l’umano nel divino. Ma il divino si è manifestato nello spazio cosmico, pertanto da esso siamo attratti come il ferro dalla calamita. Bradbury, al cui nome la NASA ha consacrato il luogo di sbarco del rover Curiosity su Marte, sul pianeta rosso ci sarebbe andato anche in bicicletta…

 

(Giovanni Sessa, «Totalità», 19 maggio 2015)

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