"Uncle Sam". Avvisaglie pre-11 settembre

Rudy Salvagnini
William Lustig n. 13/2020

Per quello che diventerà il suo ultimo (almeno per ora) film da regista, William Lustig cerca di nuovo la collaborazione di un grande del cinema horror (e non solo) come Larry Cohen, con cui aveva lavorato nei Maniac Cop. Non è un caso, quindi, che vi siano notevoli elementi di contatto tra Uncle Sam (1996) e quei film.

Risulta subito chiaro che ci si trova nel benemerito territorio dell’horror sociopolitico. È significativo il dialogo tra l’insegnante Crandall e la classe di cui fa parte Jody, mentre il ragazzino mostra con orgoglio ai compagni le medaglie dello zio. Quando un alunno chiede a Crandall se abbia fatto il soldato, questi, con un certo imbarazzo, risponde di no e cerca di spiegare d’essere stato giovane quando c’era il conflitto in Vietnam: lui, come altri coetanei, riteneva che fosse una guerra ingiusta. Con poche frasi è reso evidente come il sentiment statunitense sia cambiato nel corso degli anni e come sia difficile, in un momento di esaltazione militare post-Guerra del Golfo, rendere l’idea del pacifismo e della contestazione contro la campagna nel Vietnam alle giovani generazioni che quell’epoca non l’hanno vissuta.

Lo stesso punto viene sottolineato in un altro dialogo rivelatore, tra Jody e Jed Crowley, che conosceva Sam Harper e sottolinea a Jody la differenza tra un tempo – quando c’era da combattere Hitler e Mussolini e tutto era chiaro – e l’oggi, in cui invece tutto è confuso: è la differenza tra la guerra “giusta” e quella in cui non si sa perché, né chi si combatte.

L’incedere filmico è cadenzato e i primi 40 minuti sono utilizzati per presentare situazione e posizioni concettuali. Lustig e Cohen sembrano voler essere sicuri che il loro messaggio venga còlto, che gli aspetti politico-sociali dell’opera non vengano sottovalutati. Nel farlo, corrono il rischio della pedanteria e della sovraesposizione tematica. Il loro punto di vista, che sfiora – pur evitandoli – i pericoli del qualunquismo, riflette un’amara disillusione, soltanto mitigata da uno spirito iconoclasta e irriverente. Come già avvenuto nei capitoli di Maniac Cop, non fanno dello Zio Sam – simbolo, inutile dirlo, degli Stati Uniti – un mostro senza motivazione, e mostrano anche le responsabilità della società che lo ha prodotto e la corruzione di ciò che resta del sogno americano. In questo senso è significativa anche la figura (eccessivamente?) caricaturale del deputato interpretato con gusto da Robert Forster1: fatuo e corrotto, pensa solo all’apparenza («Glasses? No glasses?»). Anche il fatto che la vicenda sia ambientata nel giorno dell’orgoglio nazionale a stelle e strisce, la festa dell’Indipendenza, non è per nulla casuale. Di conseguenza, i tratti in cui emergono elementi in qualche modo positivi sono pochi, correlati in particolare al personaggio cui presta il volto Isaac Hayes.

La figura del ragazzino infatuato dell’eroe patriota archetipico è tratteggiata con cura anche nel suo percorso psicologico e caratteriale. La svolta avviene quando l’impalcatura del mito viene smantellata dall’imbarazzato e addolorato racconto della madre e della zia, che gli svelano come lo zio Sam fosse un essere violento, alcolizzato e pervertito, che aveva ridotto le loro vite a un inferno.

Premesse, contesto e concetti sono quindi interessanti e anche, per certi versi, originali, ma lo svolgimento è a tratti scontato e programmatico, come se all’intuizione geniale non avesse fatto seguito la capacità di articolarla in modo altrettanto brillante. La regia di Lustig è solida, ordinata, spesso arguta: riesce a tenere insieme il racconto con discreta coerenza, ma non sfoggia particolare inventiva se non in qualche dettaglio sardonico. Anche i delitti sono presentati in modo simpatico e divertito, ma figurativamente ordinario. La crudezza e la durezza tipiche di Lustig sono qui temperate, in misura ancora maggiore rispetto ai Maniac Cop, da quell’ironia che fa invece parte della cifra stilistica di Cohen. Il risultato è in genere gradevole e con punte di acutezza, ma alla lunga si avverte l’assenza di una tensione narrativa credibile, cui lo spirito caustico supplisce solo in parte.

Va comunque tenuto presente come il film sia stato realizzato ben prima dell’11 settembre e faccia riferimento ai postumi di una guerra che, come quelle citate da Jed, era al momento considerata dai più “giusta”, condotta contro una dittatura prevaricatrice. Lustig e Cohen anticipano quindi il disorientamento degli anni successivi e la confusione ideologica che ne sarebbe seguita.

Lo zio Sam è chiaramente un parente stretto del Matt Cordell dei Maniac Cop. È anch’egli una versione corrotta e demente di un simbolo dell’ordine costituito, ma non possiede la stessa forza drammatica del predecessore e il pathos che scaturisce dalla sua figura è molto meno intenso. Anche a livello iconico, non ha la presenza scenica imponente e indimenticabile di Robert Z’Dar. Resta un simulacro senza particolare spessore psicologico, caratterizzato solo dal suo passato poco lusinghiero. Come Cordell è in qualche modo vittima delle circostanze, del fuoco amico, ma senza che da questo tragga linfa vitale in quanto personaggio.

Il cast è scelto con cura e degno di nota. A parte Forster, si incontrano volti significativi in vari ruoli di supporto: la brava P. J. Soles brilla nel ruolo della mamma di un ragazzino reso cieco da un misterioso atto di bullismo; svettano Timothy Bottoms, Bo Hopkins e soprattutto il grande Isaac Hayes che funge da trait d’union con la blaxploitation, tra i territori elettivi di Cohen. L’inquadratura finale, come corroborato anche dall’immediatamente successiva dedica a Lucio (Fulci), è un chiaro omaggio all’analoga chiusa di Paura nella città dei morti viventi (1980), a testimoniare l’imperitura ammirazione che Lustig nutre per il nostro cinema di genere della golden age2.

Uncle Sam segnala la difficoltà di realizzare un horror politico in tempi poco ricettivi: sembra un film pieno di buone intenzioni e con il cuore dalla parte giusta, ma poco ispirato o, piuttosto, con un’ispirazione dal fiato corto, che si perde proprio nel momento in cui dovrebbe assumere corpo. Per Lustig è il segnale che i tempi sono cambiati. Da questo momento si ritaglierà una nuova posizione con la benemerita label Blue Underground.

 

Note

1 Attore ricorrente nel cinema di Lustig sin dai tempi di Vigilante (1983). Il regista ha raccontato – nell’intervista concessa a Charlie Swanson (su bohemian.com) – di avere presentato Forster a Tarantino, che poi l’avrebbe usato in Jackie Brown (1997) rivitalizzandogli la carriera.

2 Ha anche avuto l’occasione di collaborare brevemente con Dario Argento in Tenebre (1982), come ha ricordato nell’intervista William Lustig. The Italian Connection di Jason Slater e Harvey Fenton in «Diabolik» n. 1 (1997).

 

 

CAST & CREDITS

Titolo originale: Uncle Sam; regia: William Lustig; soggetto: Larry Cohen; sceneggiatura: Larry Cohen; fotografia: James A. Lebovitz (come James Lebovitz); scenografia: Charlotte Malmlöf; montaggio: Bob Muravski; musiche: Mark Governor; interpreti: William Smith (Maggiore), David “Shark” Fralick (Sergente Maggiore Sam Harper, come David Shark Fralick), Christopher Odgen (Jody Baker), Leslie Neale (Sally Baker), Bo Hopkins (Sergente Twining), Matthew Flint (deputato Phil Burke), Anne Tremko (Louise Harper), Isaac Hayes (Sergente Jed Crowley); produzione: A-Pix Entertainment; origine: Usa, 1996; durata: 89’; home video: Blu-ray Blue Underground (import Stati Uniti), dvd Blue Underground (import Stati Uniti); colonna sonora: inedita.

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