Una vita nella follia (del Cinema). "Festival", "La cena per farli conoscere" e "Un ragazzo d’oro"

Marco Compiani
Pupi Avati n. 10/2019
Una vita nella follia (del Cinema).

«Cioè, io cammino in Piazza del Popolo, a un certo punto mi sento chiamare, mi giro, e vedo Pietro Germi. E sai chi era Pietro Germi?».
«Il famoso regista».
«Il grande regista. Mi chiama e dice: “Proprio te cercavo”; “Come me…”; “Sì, perché è un mese che non mi do pace. Hai presente il mio film Divorzio all’Italiana?”; “Ma come maestro, un capolavoro”; “E invece no, non mi è venuto bene, voglio rifarlo. E per rifarlo ho bisogno di un grande attore, di carisma, e solo con te lo posso rifare. Solo con Sandro Lanza sarà il vero grande Divorzio all’italiana indimenticabile, sempre che tu sia libero e accetti il progetto”; “Ci mancherebbe…”. E poi si gira e va via. E si rigira e mi chiama e dice: “Ohi mi raccomando, telefonami. Ciao Sandrone!”»

Diego Abatantuono/Sandro Lanza in La cena per farli conoscere

Un sogno, un Maestro del passato che ti saluta chiamandoti per nome. Poi, il duro risveglio.
C’è un profondo rimpianto negli occhi di Sandro Lanza, la dolorosa nostalgia di chi forse il vero Cinema non l’ha mai vissuto, rimanendo confinato nella mediocrità del suo personaggio televisivo Ernest De Coso, in qualche film di “serie B” e nelle nevrosi, invidie, disfunzionalità di un settore tanto becero quanto autoreferenziale.
Lo stesso baraccone che illude il povero Franco Melis, attore di pellicole trash che si ritrova catapultato nel Festival italiano per eccellenza e vede sfumare all’ultimo momento la possibilità di aggiudicarsi la Coppa Volpi, un riconoscimento per dare un senso alla propria carriera.
Ma dov’è il Cinema, nella sua forma più candida? È forse la memoria in bianco e nero del bambino Bias, probabilmente mai cresciuto, che ricorda l’unico momento di gioia con il padre odiato per un’intera vita?
Pietro, Sandro e Davide galleggiano nella frustrazione dovuta a qualcosa che manca, incapaci di esprimere realmente una parte di sé. Melis, seguìto dall’affettuoso agente, dopo le commedie dei tempi d’oro e il successo si arrangia con qualche serata di cabaret in locali periferici; Sandro, che avrebbe voluto lavorare con i Maestri, perde l’unico ruolo televisivo rimastogli ed entra in una crisi identitaria; Davide lavora nella pubblicità, perennemente sedato dagli psicofarmaci, e tenta invano una pubblicazione dei suoi racconti.
Festival (1996), La cena per farli conoscere (2006) e Un ragazzo d’oro (2014) attraversano un ventennio, ma sembrano cristallizzati in un sentire emotivo più che storico, ritraggono personaggi alla perenne ricerca di un’identità artistica, in balìa di desideri e rivincite. E Avati, pur spernacchiando l’industria dello spettacolo, guarda con tenerezza questi illusi così fragili, che sognano un posto nella cultura che conta, quella riconosciuta e che potrebbe riscattarli dai numerosi fallimenti.
Il regista si rivolge al passato, lo ammanta di un’aura mitica e piena di amara nostalgia, quasi si trattasse ormai di qualcosa non più raggiungibile. Allo stesso tempo, però, è questa certezza che rende la sua “trilogia sul cinema” un atto di amore per quella parte più pura, infantile della Settima arte, che diventa il tramite per cauterizzare le ferite della propria vita.
In fin dei conti è la vita stessa una complicata rappresentazione. Basti pensare alle prime sequenze di La cena per farli conoscere, quando sono introdotte le figlie del protagonista. Tre lingue, tre ritratti problematici che sembrano usciti da una delle tante soap-opera del piccolo schermo. Siamo già nella finzione, in brevi segmenti narrativi che Avati interrompe bruscamente con l’uso del montaggio, lasciando la sensazione che quei tagli impediscano al sentimento, e a un briciolo di verità, di uscire spontaneamente.
Come le numerose stanze in cui Davide Bias cerca di identificarsi nel padre, i luoghi isolati della sua mente, o le camere chiuse, con poca luce, dove Pietro Melis convive con il tramonto della carriera.
Siamo quindi vittime di questo netto meccanismo che ci nega una qualche forma risolutiva, ribadisce la totale difficoltà dei personaggi a orientarsi nel caos dello spettacolo che mescola privato e pubblico.
Perché tutto è fagocitato dalla spettacolarizzazione dell’intimità, che sia la nascita di un figlio o un finto suicidio, e in questa totale irresponsabilità a scontarla sono proprio le relazioni.
La vita, quindi, non può fare a meno di trovare un appiglio nel cinema, una maschera che però condanna alla solitudine delle ossessioni, anche se poi questo benedetto riconoscimento arriva, come nel caso del giovane Bias che vince il Premio Strega dopo aver fatto il ghostwriter per il padre defunto.
Ma al di là di un manicomio, di una morte improvvisa o di un’occasione perduta, a contare veramente è come questo folle mondo di finzione riesca comunque a dare una seconda possibilità, indipendentemente dalle ambizioni personali, e permetta di ristabilire un contatto con chi è/era accanto, di risolvere legami spezzati, vecchi rancori, di guardare con altri occhi ciò che sta intorno.
E poco importa se dalla sceneggiatura del padre nasce un «film di merda», non è necessariamente il sistema a dover comprendere tutto quel bagaglio emotivo che accompagna la riscoperta di un figlio. Il tradimento del presente è comunque un punto di partenza per ricollegarsi a quel passato tanto ambito e spesso incompreso, a quei frammenti di memoria perduti, ma pronti a essere integrati nuovamente e indicarci che una scheggia di verità può emergere da quanto è più lontano dall’ideale che rincorriamo.
Puoi anche stare dentro uno spot, vendere divani – o narghilè, come faceva Ugo Bondi (Gianni Cavina) nelle televendite di Regalo di Natale (1986) – ma non sarà mai un tubo catodico a bloccare quel sogno ricorrente. Non importa se si tratta di un’occasione mancata, perché ci ricorda che, in questa confusione di apparenze continue, c’è ancora una breccia in cui infilarsi per essere realmente noi stessi.

 

CAST & CREDITS

FESTIVAL

Regia: Pupi Avati; soggetto: Pupi Avati, Antonio Avati, Doriano Fasoli, Giorgio Gosetti, Nino Marino; sceneggiatura: Pupi Avati, Antonio Avati, Doriano Fasoli, Giorgio Gosetti, Nino Marino; fotografia: Chicca Ungaro; montaggio: Amedeo Salfa; musiche: Pino Donaggio; interpreti: Massimo Boldi, Gianni Cavina, Massimo Bonetti, Paola Quattrini, Cinzia Monreale; produzione: DueA Film, FilmAuro; origine: Italia, 1996; durata: 93’; home video: inedito; colonna sonora: inedita.

LA CENA PER FARLI CONOSCERE

Regia: Pupi Avati; soggetto: Pupi Avati; sceneggiatura: Pupi Avati; fotografia: Pasquale Rachini; montaggio: Amedeo Salfa; musiche: Riz Ortolani; interpreti: Diego Abatantuono, Vanessa Incontrada, Violante Placido, Inés Sastre, Francesca Neri; produzione: DueA Film, Medusa Film, Sky; origine: Italia, 2006; durata: 99’; home video: dvd Medusa; colonna sonora: inedita.

UN RAGAZZO D’ORO

Regia: Pupi Avati; soggetto: Pupi Avati; sceneggiatura: Pupi Avati; fotografia: Blasco Giurato; montaggio: Luigi Capalbo; musiche: Raphael Gualazzi; interpreti: Riccardo Scamarcio, Sharon Stone, Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli; produzione: DueA Film, Combo Produzioni, Rai Cinema; origine: Italia, 2014; durata: 102’; home video: Blu-ray 01 Distribution, dvd 01 Distribution; colonna sonora: inedita.

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