Cosa lega i grandi classici della fantascienza scaturiti dalla penna di Philip Kindred Dick all’antico pensiero esoterico-religioso degli gnostici[1]? Per quanto possa sembrare assurdo, una delle maggiori fonti di ispirazione per romanzi quali Do Androids Dream of Electric Sheep?, Minority Report, Total Recall, The Man in the High Castle, Ubik e la trilogia di Valis proviene proprio dalle sabbie della Palestina e dell’Egitto, dove, nei primi tre secoli dopo Cristo, un variegato insieme di sette e movimenti iniziatici produsse decine di vangeli e altri scritti sacri, prontamente ripudiati dalla Chiesa cristiana delle origini e condannati come eretici. Gli storici delle religioni parlano in proposito di “gnosticismo”[2], da gnosis, una parola greca che veniva utilizzata per designare una conoscenza di natura non logico-razionale, bensì mistico-spirituale. La gnosis era una sorta di dono ultraterreno, che avrebbe conferito a pochi eletti la capacità di vedere oltre i confini del reame fisico della materia e liberarsi dalla prigionia del corpo materiale, per stabilire una diretta comunione con la divinità. Secondo i vangeli gnostici, a rivelare all’umanità questo segreto sapere ultraterreno sarebbe stato lo stesso Gesù di Nazareth, che avrebbe trasmesso ad alcuni prescelti tra i suoi discepoli un insegnamento iniziatico ben diverso da quello ecumenico professato dai primi cristiani.
Dopo quasi due millenni di oblio, durante i quali lo gnosticismo era rimasto confinato ai margini della cultura occidentale[3], nel 1945 a Nag Hammadi, in Egitto, venne scoperta una raccolta di cinquantadue scritti appartenenti a questo movimento, in larga parte inediti.
Una volta tradotti e resi accessibili al grande pubblico, i vangeli gnostici scossero profondamente la cultura occidentale: l’antico pensiero esoterico che contrapponeva il corpo allo Spirito – e il malvagio dio dell’Antico Testamento al Padre benigno descritto da Gesù – finì per influenzare profondamente non soltanto il settore della storia delle religioni, ma l’intera cultura pop, dalla musica al fumetto, dal cinema alla letteratura di fantascienza[4].
A risultare particolarmente attuale, se non addirittura avveniristico, è soprattutto il ruolo che l’essere umano si trova a rivestire all’interno di questa suggestiva “rivelazione cosmica” attribuita a Gesù stesso. Secondo gli gnostici, ogni uomo è un prigioniero inconsapevole, rinchiuso fin dalla nascita in un carcere oscuro da alcuni maligni guardiani invisibili. Le prigioni, per la verità, sono due: la prima è rappresentata dal soma-sema[5], il “corpo-tomba” dentro cui è sepolta l’identità profonda dell’individuo, mentre la seconda è la sinistra realtà virtuale che lo circonda, un mondo illusorio e fallace, dominato dal tirannico falso dio dell’Antico Testamento e dalla sua famelica corte di demoni-guardiani, gli Arconti.
Per i vangeli di Nag Hammadi, l’uomo è un allogenes, ossia un’entità aliena che proviene da un reame estraneo a quello terreno: la sua vera patria è il Regno della Luce, o Pleroma, e la sua coscienza è un frammento immateriale di puro Spirito, obliato e sepolto nei recessi di un corpo fragile e corrotto.
Come molti contemporanei, anche Dick fu profondamente suggestionato dai vangeli gnostici: come si può constatare dalla lettura dell’Esegesi, la mastodontica raccolta delle sue tormentate riflessioni personali, lo scrittore americano studiò a fondo i manoscritti di Nag Hammadi, che segnarono un autentico punto di svolta nel suo cammino spirituale.
A ben vedere, per utilizzare una definizione coniata da Stuart Douglas[6], lo scrittore americano fu uno “gnostico riluttante”: il suo non fu un mero omaggio letterario per testimoniare una passione nei confronti di queste antiche dottrine, quanto piuttosto una convinzione personale autentica, dolorosa e sofferta, che lo accompagnò nella lotta sua quotidiana contro la psicosi. L’esistenza di Dick, com’è risaputo, fu difficile e psicologicamente tormentata, e la sofferenza lo spinse a cercare rifugio nelle principali discipline esoteriche influenzate dallo gnosticismo: malgrado non avesse conseguito un’istruzione universitaria, studiò i vangeli di Nag Hammadi e sviluppò una buona conoscenza del cristianesimo, del neoplatonismo, dell’ermetismo, della Qabbalah, della pratica orientale dell’I-Ching, del taoismo, del buddismo e della moderna psicanalisi junghiana.
Per Dick, tuttavia, era proprio nelle pessimistiche concezioni dei vangeli gnostici che si celava una tragica verità universale, l’unica meritevole di essere raccontata dalla fantascienza: «La rivelazione gnostica» ammise in un documento privato, «si è fatta strada nella mia testa fino al mondo moderno. Credo che chiunque, versato nello gnosticismo, leggesse i miei appunti potrebbe dire: “Tu sei uno gnostico!”. Non ne sono affatto felice, ma è così»[7].
In seguito, Dick si trovò a riconoscere ancor più espressamente la sua sincera adesione all’antico pensiero esoterico dei vangeli apocrifi, per quanto a malincuore: «Sono troppo addentro allo gnosticismo per fare marcia indietro: l’idea di Gesù che apre gli occhi di Adamo e lo porta alla coscienza, la riconnessione con il perduto stato primordiale attraverso la Gnosi, il sapere affrontare senza esitazioni il male nel mondo, nella consapevolezza che non può essere venuto dal (Buon) Dio […]. Ho ritrovato me stesso, ho saputo chi e che cosa ero, ho ricordato la mia origine celeste, sono stato reso di nuovo ciò che ero prima della caduta. Ho visto la prigione in cui ci troviamo e ho capito che avevo fatto la cosa giusta. Salvezza… da che cosa? Dal mondo, che è una prigione di ferro: vedasi Schopenhauer»[8].
Più in generale, con la sua tormentata rielaborazione dello gnosticismo in chiave fantascientifica, Philip K. Dick fu il maggiore protagonista del processo di “traduzione culturale” che ha condotto gli antichi vangeli di Nag Hammadi a farsi strada nella cultura pop[9], anche attraverso le molte celebri trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi.
Tuttavia – è bene ricordarlo – Dick non raggiunse la fama letteraria e mediatica nel corso della vita: per una beffa del destino, fu solo nel 1982, pochi mesi dopo la sua morte, che nelle sale uscì Blade Runner di Ridley Scott, adattamento cinematografico del suo Do androids dream of electric sheeps? Il successo internazionale del film, per giunta, arrivò alcuni anni dopo, e rese il suo nome universalmente noto al grande pubblico, fino addirittura a trasformarlo in uno dei padri della fantascienza moderna[10].
Molti studiosi hanno rilevato come la produzione letteraria dello scrittore americano subisca una drastica svolta a partire dal 1974, anno in cui Dick sostiene di aver sperimentato in prima persona un’autentica rivelazione gnostica: il 2 marzo, dolorante per un’infiammazione al dente del giudizio e sotto l’effetto di un farmaco, avrebbe visto un raggio rosa di pura energia promanare dal ciondolo a forma di pesce[11] indossato da una ragazza con i capelli neri, giunta alla sua porta per consegnargli un antidolorifico. Da quel momento, Dick ritenne di aver ricevuto egli stesso una sorta di gnosis, che lo condusse a trasformare la propria produzione fantascientifica in un’oscura profezia sulle sorti del genere umano.
Dopo essere stato a contatto con il raggio rosa, affermò di aver sperimentato un’improvvisa ondata di ricordi non suoi, in latino e in greco (lingue che, fino a quel momento, non conosceva!), e sostenne di aver avuto la sensazione di apprendere – o, meglio, ricordare – tutta la verità sul funzionamento dell’universo: «Ho sperimentato» riferì in seguito a Charles Platt, «l’invasione della mia mente da parte di una mente razionale trascendente, come se fossi stato pazzo per tutta la vita e improvvisamente fossi diventato sano»[12]. La lucidità sarebbe poi venuta meno, ma sarebbe rimasto indelebile il ricordo della rivelazione ricevuta.
È figlia di questa seconda fase della sua vita, ad esempio, la trilogia di Valis, nella quale Dick fa esplicito riferimento ai vangeli gnostici – definendoli archivi di una conoscenza salvifica extraterrestre – e rielabora in forma sistematica la propria personale visione dell’universo, a partire dalle avventure di due personaggi di chiara ispirazione autobiografica: lo scrittore Phil Dick e lo spiantato perdigiorno Horselover Fat. Ebbene, Philip, risalendo all’etimologia greca, significa “amante dei cavalli, horse-lover”, e Dick in tedesco significa “grasso, fat”: anche a livello lessicale, Horselover Fat non è altri che lo stesso Philip Dick. Con un efficace rovesciamento metanarrativo, insomma, il personaggio Phil rivela questo gioco di parole nel corso dell’avventura, e si scopre che i due Phil e Horselover sono in realtà personalità multiple dello stesso individuo.
La trilogia di Valis fornisce una chiave di lettura unitaria per molte delle opere precedenti: nell’universo narrativo immaginato da Dick, l’umanità è prigioniera di una Black Iron Prison, una “Nera Prigione di Ferro” progettata e governata da un sinistro potere alieno, che tira le fila della storia dell’umanità fin dai tempi dell’antica Roma.
Proprio come nelle antiche concezioni gnostiche, esisterebbe una sola verità cosmica, che nel corso della trilogia viene ripetuta a più riprese, come un mantra: «L’Impero non è mai cessato». L’uomo vivrebbe ancora nel secondo secolo dopo Cristo, e sarebbe tuttora sottomesso alla crudele autorità dell’Impero romano – o, meglio, a quella dei malevoli tiranni alieni che gli si sono sostituiti fin dalla sua fondazione. A questo punto, gli ultimi duemila anni di storia altro non sarebbero che un’illusione psichica collettiva, indotta da un malevolo potere extraterrestre che controlla Roma, governa la Terra e mantiene l’umanità in condizioni di schiavitù.
L’obiettivo dei protagonisti è quello di entrare in comunione con V.A.L.I.S. (Vast Active Living Intelligence System), una benevola intelligenza collettiva situata al di fuori del sistema solare, da cui provengono Gesù di Nazareth e gli stessi vangeli di Nag Hammadi. Solo così potranno cercare di evadere una volta per tutte dalla prigione terrena, attualmente governata da Nixon e dall’establishment statunitense degli anni Settanta.
Un analogo carcere desolato – o forse una versione 2.0 della stessa Black Iron Prison – è il mondo post-apocalittico in cui si svolge il romanzo postumo Deus Irae, dove a tirare le fila della cospirazione è proprio il falso dio descritto dai vangeli gnostici, ossia il malvagio “dio dell’ira” dell’Antico Testamento.
A ben vedere, tuttavia, l’idea gnostica di una Black Iron Prison è già presente nell’immaginario dickiano molto prima del 1974: sono prigionieri in fuga da un mondo crudele anche i protagonisti di The Man in the High Castle[13], romanzo che immagina una realtà alternativa in cui i nazisti e i giapponesi hanno vinto la Seconda guerra mondiale e si sono spartiti gli Stati Uniti. È soltanto tramite l’assidua pratica della meditazione orientale contenuta nell’I-Ching che lo scrittore Hawtorne Abendsen riesce a entrare in contatto con la Verità cosmica: a quel punto scopre che, in realtà, le forze dell’Asse hanno perso la guerra e il mondo in cui tutti credono di vivere è frutto di pura illusione. Una realtà virtuale, costruita da un’oscura forza tirannica, antica e imperscrutabile.
Successivamente, in un sequel mai ultimato – poi trasformatosi nell’autonomo romanzo Radio Free Albemuth – Abendsen sarebbe stato fatto prigioniero dalla malevola forza cosmica che governa il pianeta, risvegliandosi così nella Nera Prigione di Ferro in compagnia di un agente provocatore. Con i suoi scritti, avrebbe infatti svelato all’umanità una scomoda verità che sarebbe dovuta rimanere sepolta…
L’idea di una “svolta mistica” di Dick a seguito dell’incontro con il raggio rosa deve quindi essere parzialmente ridimensionata – se non altro, contestualizzata in un percorso ben più ampio.
Anteriore al 1974, ad esempio, è anche Ubik[14], romanzo che vede Joe Chip e gli altri protagonisti intrappolati, a loro insaputa, in uno stato di “semi-vita”: un’esistenza illusoria dove, dietro un velo di apparente normalità, ogni cosa è corrotta e soggetta a un inesorabile deterioramento. In realtà Chip e i suoi compagni sono già morti qualche tempo prima in un attentato terroristico, e le loro coscienze sono state riattivate in un moratorium, fantascientifico ospedale che si occupa di prolungare indefinitamente l’esistenza degli individui in punto di morte.
Qualcosa, nel mondo che li circonda, non funziona: il cibo è avariato, i dispositivi tecnologici si trasformano all’improvviso, regredendo senza sosta al modello precedente, e i compagni di Joe iniziano a morire, orribilmente consumati da un male misterioso.
In questo caso a governare il mondo-prigione è Jory, un bambino deforme che – proprio come i protagonisti – è ospite del moratorium: pur essendo deceduto qualche tempo prima, manifesta un’enorme attività psichica e interferisce con quella degli altri ospiti della struttura, soffocandoli e nutrendosi avidamente della loro forza vitale.
Al tempo stesso, dall’esterno del carcere virtuale giunge un profluvio di messaggi “gnostici” che esortano Joe Chip e i suoi compagni a risvegliarsi dalla trappola di Jory e fuggire: a inviarli è Runciter, datore di lavoro e amico fraterno di Joe, che utilizza gli slogan pubblicitari del mondo virtuale per invitare i protagonisti ad acquistare lo spray “Ubik” e dissolvere le pareti della prigione illusoria che li circonda. Lo stesso nome “Ubik” deriva da “ubiquità”, caratteristica distintiva del Dio dello Spirito dei vangeli apocrifi, che dimorava all’interno di ogni cosa e si manifestava all’uomo sotto ogni forma. Anche – sembra suggerirci l’autore – in spot pubblicitari di bassa lega!
Nell’ultima pagina del libro, Dick sorprende il lettore rimuovendo la metafora fantascientifica e rendendo esplicito il proprio discorso; gli slogan commerciali che invitano ad acquistare lo spray svaniscono, e lasciano il posto a un inno solenne, nel quale viene rivelata la natura prettamente metafisica del Dio-Ubik: «Io sono Ubik. Prima che l’universo fosse, io ero. Ho creato i soli. Ho creato i mondi. Ho creato le forme di vita e i luoghi che esse abitano; io le muovo nel luogo che più mi aggrada. Vanno dove dico io, fanno ciò che io comando. Io sono il Verbo e il mio Nome non è mai pronunciato, il nome che nessuno conosce. Mi chiamano Ubik, ma non è il mio nome. Io sono e sarò in eterno»[15].
Dalla prigione virtuale alla pubblicità portatrice di rivelazioni cosmiche, il visionario scrittore americano utilizza l’antico pensiero gnostico per tracciare sentieri che verranno battuti a più riprese anche dal mondo del cinema: malgrado Valis e Ubik non siano ancora stati adattati sul grande schermo, è facile scorgere parallelismi con molta fantascienza cinematografica contemporanea, dalla saga di Matrix delle sorelle Lana e Lilly Wachowski a Essi vivono di John Carpenter, da Ready Player One di Steven Spielberg a Fight Club di David Fincher.
Più in generale, si può constatare come l’antica dottrina gnostica rappresenti un autentico passepartout, che consente di comprendere l’essenza della quasi totalità delle opere di Dick: anche laddove i protagonisti non si trovino imprigionati in un mondo-carcere devono comunque fare i conti con un soma-sema, ossia un “corpo-tomba”, e sono costretti a combattere contro la propria amnesia nel tentativo di recuperare il ricordo della loro identità più autentica. Identità che, puntualmente, si rivela essere del tutto estranea a quella del resto della collettività, proprio come nel caso dell’allogenes descritto dai vangeli apocrifi.
È il caso dei celebri replicanti di Blade Runner, androidi perfettamente indistinguibili dagli esseri umani che fuggono dalla schiavitù in cui sono costretti a vivere nelle colonie extraterrestri per trovare rifugio sulla Terra, dove vengono però braccati senza pietà dai cacciatori-Arconti. Anche in questo caso, tanto nel libro quanto nel film, un ruolo centrale è rappresentato dall’esperienza mistica delle visioni, che guidano il protagonista Rick Deckard nel corso della propria ricerca del Sé smarrito, fino a condurlo alla rivelazione finale.
Anche gli androidi fanno sogni gnostici? Parrebbe proprio di sì…
- L’articolo riprende temi trattati con maggiore dettaglio e dovizia di particolari in Paolo Riberi, Il serpente e la croce, Lindau, Torino 2021. Si rinvia pertanto a questo volume chi desiderasse approfondire l’argomento.
- Per approfondire l’antico pensiero religioso, iniziatico e filosofico degli gnostici, si rimanda a Julien Ries, Gli Gnostici: storia e dottrina. Gnosi e manicheismo, Jaca Book, Milano 2010; Serge Hutin, Lo gnosticismo: culti, riti, misteri, Edizioni Mediterranee, Roma 2007; Ioan Petru Culianu, I miti dei dualismi occidentali. Dai sistemi gnostici al mondo moderno, Jaca Book, Milano 2018, pp. 77-173; Giancarlo Rinaldi, Testi e documenti per la storia dello gnosticismo, in Piero Vitellaro Zuccarello (a cura di), Gnosi. Nostalgia della luce, Mimesis, Milano-Udine 2012; Birger A. Pearson, Ancient Gnosticism: Traditions And Literature, Fortress Press, Minneapolis 2007; Gedaliahu A. Guy Stroumsa, Another Seed: Studies in Gnostic Mythology (Nag Hammadi Studies, n. 24), Brill, Leiden 1984; Cristoph Markschies, Gnosis: An Introduction, T & T Clark, London-New York, 2003; Ezio Albrile, Cos’è lo gnosticismo? Momenti di un’antica religione, Harmakis Edizioni, Montevarchi 2018; Id., Il labirinto di Ermete. Dilemmi gnostici sulla libertà e la salvezza, Ester Edizioni, Bussoleno 2018; Id., Sogni d’immortalità. Gnosticismo e alchimia, WriteUp, Roma 2019; Id., Misteri gnostici. Alle origini dei dualismi occidentali, WriteUp, Roma 2020; Id., Sogni d’immortalità. Gnosticismo e alchimia, WriteUp, Roma 2019; Giovanni Filoramo, L’attesa della fine. Storia della gnosi, Laterza, Roma-Bari 1983; John Douglas Turner, Sethian Gnosticism and the Platonic Tradition (Bibliothèque copte de Nag Hammadi, «Études» 6), Presses de l’Université Laval-Peeters, Québec-Louvain-Paris, 2001; Henri-Charles Puech, Sulle tracce della Gnosi, Milano 1985; Sean Martin, The Gnostics. The first Christian Heretics, Pocket Essentials, Harpenden 2010.
- Come ampiamente dimostrato in Il serpente e la croce (ed. cit.), non è corretto parlare di una completa scomparsa dello gnosticismo: il fenomeno sopravvisse sotto altre vesti (dal catarismo al neoplatonismo, dal manicheismo fino al mito tardo-rinascimentale di Faust), mantenendo intatta la propria identità di fondo.
- Sull’argomento cfr. anche Paolo Riberi, Pillola rossa o Loggia Nera? Messaggi gnostici nel cinema tra “Matrix”, “Westworld” e “Twin Peaks”, Lindau, Torino 2017.
- L’accostamento dei due termini greci, per la verità, è di origine platonica, così come del resto lo è l’idea del mondo-prigione. Sotto molti punti di vista, lo gnosticismo rappresenta un’evoluzione delle teorie di Platone in direzione inziatico-religiosa: si pensi al mito della caverna esposto nel settimo Libro della Repubblica e al dualismo che contrappone il mondo delle idee (iperuranio) a quello delle copie fenomeniche (il reame terreno).
- Cfr. Stuart Douglas, The Apocalypse of the reluctant Gnostics: Carl G. Jung and Philip K. Dick, London 2018.
- Philip K. Dick, L’esegesi 2-3-74, Fanucci, Roma 2015, p. 309 (V, 244).
- Ivi, pp. 407-408 (50, 11-12).
- Per approfondimenti cfr. Howard Canaan, Time and Gnosis in the Writings of Philip K. Dick, in «Hungarian Journal of English and American Studies», 14, 2, 2008.
- Un padre fondatore, per la verità, un po’ atipico: rispetto alle opere di Isaac Asimov, Arthur C. Clarke e Robert A. Heinlein, i mondi fantastici di Dick sono caratterizzati da ambientazioni cupe, oscure e decadenti, che anticipano piuttosto il filone cyberpunk.
- In greco antico, la parola ichtys (pesce) era utilizzata come acronimo di Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr, ossia “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”. Per questo motivo, il simbolo del pesce aveva conosciuto una profonda diffusione nell’iconografia dei primi secoli cristiani, per poi cadere relativamente in disuso.
- Charles Platt, Philip K. Dick, in Dream Makers: the Uncommon People who Write Science Fiction, Berkley Books, New York 1980.
- Dal romanzo è tratta l’omonima serie tv di Amazon Prime.
- Per una puntuale decodifica dei temi gnostici del romanzo si rinvia anche a Lee Braver, Coin-Operated Doors and God. A Gnostic Reading of Philip K. Dick’s Ubik, in «Extrapolation», 56, 1, 2015.
- Philip K. Dick, Ubik, Fanucci, Roma 2008, p. 230.