Valhalla Rising - Regno di sangue. Viaggio mitologico e metafisico

Andrea Fornasiero
Nicolas Winding Refn n. 4/2017

Ambientato tra la Scozia e il Nuovo Mondo in un imprecisato momento storico, comunque successivo alla Prima crociata, Valhalla Rising (2009) segna, rispetto al precedente Bronson (2008), un’evoluzione nel cinema di Nicolas Winding Refn, e apre nella filmografia del regista la fase tuttora in corso che, passando per Solo Dio perdona. Only God Forgives (2013), nel 2016 arriva a The Neon Demon (Drive [2011] fa storia a sé in quanto prodotto su commissione). Non si tratta però di una netta cesura, tanto che sia Bronson sia Valhalla Rising guardano come modello a Stanley Kubrick, rispettivamente ad Arancia meccanica (1971) e a 2001: Odissea nello spazio (1968). Refn ha in effetti più volte dichiarato – per esempio al magazine «Filmmaker» – che c’è molto di 2001 in Valhalla Rising, probabilmente non senza un pizzico di gusto per la provocazione. L’affermazione non è peregrina: entrambi i film sono infatti costruiti attorno al motivo del viaggio che sfocia nella metafisica, mostrano un personaggio che percepisce il tempo in modo allucinato e si chiudono con il lascito di un bambino. Naturalmente Kubrick è assai più lucido di Refn e il finale del suo film – che prelude all’avvento di una sorta di superuomo – per quanto misterioso costituisce un’annunciazione molto più significativa rispetto a quella veicolata dall’immagine di un ragazzo vichingo che dal Nuovo Mondo progetta di tornare in Scozia, da solo. Alla conclusione di Valhalla Rising va però attribuito un valore simbolico, perché con la scomparsa del guerriero One Eye si entra definitivamente in un’era non tanto cristiana (il cristianesimo per i Vichinghi rappresenta soltanto un pretesto per giustificare guerra o razzie e, per questo, il ragazzo non è mai solidale con loro) quanto post-pagana, per cui il giovane incarna l’uomo nuovo di là da venire. One Eye, del resto, non è un semplice guerriero, bensì una figura caricata dei connotati mitici di Odino. Il primo e più evidente tra questi è l’occhio che, nella mitologia scandinava, il dio sacrifica in cambio di quella saggezza che a suo modo anche One Eye sembra possedere: quando non è coinvolto in una battaglia, infatti, egli è estremamente calmo, paziente, tanto da aver sopportato imprecisati lustri di prigionia e aver pescato con serenità quasi zen la punta di freccia da usare per liberarsi dai suoi carcerieri e non essere venduto ai cristiani. La sua conoscenza sfocia poi nel sovrannaturale, sia attraverso le visioni del futuro – che gli predicono anche la sua morte – sia attraverso la capacità di penetrare l’anima delle persona circostanti con i propri pensieri. L’altra qualità che accomuna le due figure è la prodezza guerriera. In Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum Adamo di Brema descrive Odino come puro furore, mentre nella Heimskringla si legge che il dio non ha mai perso una battaglia: lo stesso dicono i Vichinghi a proposito di One Eye, invincibile in quanto guidato dall’odio. Per questo la sua morte nel finale di Valhalla Rising è dunque quella di una mitologia e di una cultura: il guerriero sacrifica il proprio corpo perché i nativi americani risparmino il ragazzo e, contemporaneamente, il suo spirito scompare immergendosi nell’acqua, dove poco prima aveva eretto un tumulo. Il giovane è l’erede di questa cultura e allo stesso tempo colui che la dovrà superare.

Un’altra fascinazione dichiarata dal regista danese ai tempi di Valhalla Rising è quella per il cinema di Kenneth Anger, evocato già nel titolo, che richiama Scorpio Rising (1963) e Lucifer Rising (1972). È soprattutto con quest’ultimo che Valhalla Rising manifesta un’affinità relativamente al contenuto visionario intriso di mito, seppure nel caso di Anger si guardi soprattutto all’esoterismo. Nel film di Refn la preveggenza del guerriero è descritta in sequenze lisergiche nelle quali il dialogo viene completamente abbandonato, in favore di uno straniante accostamento di immagini a volte impossibili (l’acqua che prende il posto del cielo), a volte virate su colori antinaturalistici (il volto di One Eye frequentemente acceso di rosso). Il cinema di Anger, che accosta immagini e suoni ma non parole, funge dunque da modello per le lunghe parti più astratte, prosciugate della narrazione classica, di Valhalla Rising. Tra queste, merita di essere ricordata quella in cui i Vichinghi, già arrivati nel Nuovo Mondo, bevono un liquido dalle proprietà allucinogene, che scatena comportamenti spiazzanti e violenti fino alla barbarie o al delirio mistico. Più in generale, è però il clima dell’intero film a essere antinaturalistico: fin dal principio i combattimenti brutali di One Eye, tendono a uno stato simile alla trance, così come le sue visioni; il viaggio per mare avvolto in una nebbia impenetrabile è descritto in modo da simboleggiare l’atto di varcare una soglia; il Nuovo Mondo, definito un inferno, è caratterizzato da un’inspiegabile e palpabile oppressione psicologica. Uno dei Vichinghi infatti abbandona i compagni senza ragione, come se sentisse una “chiamata”, per fare ritorno, verso la fine del film, coperto di terra rossa come i selvaggi, ma con l’azzurro degli occhi più vivo che mai, in un allucinato contrasto con il resto del corpo.

Due elementi sono in particolar modo cruciali per l’efficacia di Valhalla Rising: la musica, che magnifica il senso di incombenza delle immagini attraverso suoni minacciosi, e la violenza – sebbene purtroppo Refn si affidi saltuariamente a schizzi di sangue digitale, senza peraltro ricavarne esiti figurativamente interessanti, anzi con il risultato di smorzare la forza di alcune scene. L’estrema cruenza e il muto stoicismo con cui la violenza viene subita o inflitta esprimono una brutalità viscerale, primordiale persino, che esula dalla nostra prospettiva morale e appartiene a un mondo a noi alieno, governato da logiche diverse dalle nostre, per cui il valore della vita passa dalla morte. One Eye non è crudele nell’uccidere i suoi avversari. Al contrario concede loro quella morte in battaglia che il suo popolo ritiene la più nobile possibile. È come se, abbattendo i suoi avversari, One Eye, novello Odino, li accogliesse nel Valhalla.

Questo rapporto con la violenza torna anche nei film successivi di Refn e in particolare in Solo Dio perdona, nel quale ancora una volta il protagonista è caricato di un alone mitico. Il poliziotto Chang, infatti, mette in pratica una giustizia che non risponde tanto alla legge degli uomini quanto, piuttosto, a principi primigeni basati sui legami di sangue. Egli dà la morte ai propri avversari come se stesse compiendo un rituale, senza alcuna gioia sadica e per senso del dovere, con la stessa ineluttabilità di One Eye. E, come lui, è imbattibile. Non a caso il film è dedicato allo psicomago Jodorowsky, maestro di un cinema attraversato da percorsi iniziatici. Più in generale, però, il rapporto tra Valhalla Rising e i film successivi di Refn è soprattutto di natura estetica: esso si basa sulla limitazione dei dialoghi e sulla ricerca di astrazione formale, agevolata dalla presenza di una musica sempre cupa e oppressiva che si farà ancora più straniante con l’elettronica di Cliff Martinez. In fondo, Valhalla Rising, Solo Dio perdona, The Neon Demon sono visioni tragicamente terrestri dell’inferno.

 

 

CAST & CREDITS

Titolo originale: Valhalla Rising; regia: Nicolas Winding Refn; sceneggiatura: Nicolas Winding Refn, Roy Jacobsen, Matthew Read; fotografia: Morten Søborg; scenografia: Laurel Wear; costumi: Gill Horn; montaggio: Mat Newman; musiche: Peter Kyed, Peterpeter; interpreti: Mads Mikkelsen (One Eye), Alexander Morton (Barde), Stewart Porter (Kenneth), Maarten Stevenson (il ragazzo), Mathew Zajac (Malkolm), Gordon Brown (Hagen), Gary McCormack (Hauk), Andrew Flanagan (Gudmond), James Ramsey (Gudmund), Gary Lewis (Kare), Jamie Sives (Gorm), Ewan Stewart (Eirik), Rony Bridges (Magnus), Robert Harrison (Roger); produzione: BBC Films, La Belle Allée Productios, NWR Film Productions, Nimbus Film Productions, One Eye Production, Savalas Audio Post-Production; origine: Danimarca, Gran Bretagna, 2009; durata: 93’; premi: Premio della giuria e menzione speciale della giuria al Festival Internazionale del Cinema di Porto 2010; home video: dvd BiM ; colonna sonora: inedita.

 

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