Arrivederci amore, ciao. Sparando sotto la pioggia

Fabrizio Fogliato
Michele Soavi n. 6/2018
Arrivederci amore, ciao. Sparando sotto la pioggia

«L’idea per questa storia è nata dalla necessità di raccontare la parte peggiore della mia generazione, quella che ha imboccato la strada della lotta armata e, una volta sconfitta, ha scelto di non pagare per le proprie colpe ed è riuscita a farla franca» ha dichiarato Massimo Carlotto a proposito della genesi del suo romanzo1. Arrivederci amore, ciao (2006) di Michele Soavi ha la giusta premessa nella sequenza della cena con Matthew a casa dei genitori di Theo e Isabelle di The Dreamers. I sognatori (2003) di Bernardo Bertolucci. I bambini viziati desiderosi di fare le comparse nel grande gioco della rivoluzione – all’alba del 1968 – sono investiti dall’impietosa sentenza del padre dei due fratelli: «Prima di poter cambiare il mondo devi renderti conto che tu, tu stesso fai parte del mondo. Non puoi restartene fuori a guardare dentro». Due citazioni, tesi di un sillogismo che si chiude con uno dei primi passaggi-confessione di Giorgio Pellegrini nel romanzo di Carlotto: «Io facevo parte di quella minoranza che aveva trovato nel Movimento spazi di socialità e libertà che la famiglia mi aveva sempre negato. Se avessi immaginato che il prezzo da pagare sarebbe stato beccarsi il carcere a vita e ammazzare un amico me ne sarei rimasto a casa, tranquillo»2. Bambini in fuga; immaturi, nocivi, velleitari e violenti, in balìa dell’insostenibile leggerezza della rivoluzione; comparse in una storia in cui possono solo recitare un ruolo di passaggio a causa della loro incompiutezza e presunzione. Il seme di una società corrotta e marcescente, prodotto avariato di uomini cresciuti male, deprivati della giovinezza, ai quali è stata pedagogicamente negata la conoscenza del bene.

Sulle acque limacciose che attraversano il film come un basso continuo, tra fango, cadaveri, sangue e illusioni, è tracciata la rotta della barca-Italia, temporaneamente abitata da persone che – rinunciando ai sentimenti o, meglio, piegandoli alle proprie esigenze – sopravvivono grazie al calcolo spregiudicato e illuminista delle opportunità. Giorgio Pellegrini, Ferruccio Anedda, Flora e Roberta sono parti di una rete di relazioni che sclerotizza il vincolo sentimentale per trasformarlo in un asettico e perverso, lucido e consapevole gioco di dominazione. La dinamica del dominio – come nel polanskiano Il coltello nell’acqua (1962), evocato da Soavi come fonte di ispirazione e omaggiato nelle immagini del dito con l’alligatore e della cattura al volo delle mosche – si manifesta attraverso lo scontro di volontà amorali che diventano concezioni esistenziali veicolate secondo direttrici diverse: fare il Male per giungere al Bene, egoistico e solipsistico, è il principio che guida l’azione di Giorgio; fare il Male per conservare, anzi per rafforzare – come nello Sciascia di Todo modo – il proprio potere e la propria intoccabilità è la strada maestra imboccata da Anedda; accettare il Male per salvaguardare la propria rispettabilità è il pegno pagato da Flora; giocare con il Male – sentendosi al sicuro, protetti da una fede ipocrita e devozionista – è la scelta di Roberta. Nelle acque, come nelle non-vite che attraversano il film (opportunamente Soavi parla di «vivi morenti»), c’è qualcosa di marcio e senz’anima che si espande con ambigua perfezione geometrica e contagia tutto il contesto: gli spazi sono contenitori, stretti e opprimenti, in cui dominano il nulla e il vuoto, elementi malinconici e ottundenti in una sinfonia nera nella quale il crescere della tensione drammatica centripeta si coniuga con la presenza di un paesaggio notturno, urbano e umano, che diviene fattore determinante nel definire l’atmosfera del film. Il contesto, in Arrivederci amore, ciao, ha un ruolo strutturale che va al di là della semplice rappresentazione scenografica per diventare vettore tragico fondamentale. La pioggia è personaggio terzo che alimenta la tensione e le nevrosi dei personaggi in una società in cui tutti sono colpevoli e nessuno è artefice del proprio destino, se non in termini matematici e anaffettivi. L’antipsicologismo con cui Soavi tratteggia i personaggi all’interno di una sceneggiatura ellittica, volutamente frammentaria, è il segno di una volontà di astrazione metafisica che ha un duplice obiettivo: rappresentare una società-mercato sprofondata nel baratro di un’amoralità totalizzante e ricondurre i personaggi allo stato inerme di cose/oggetti nel momento del loro utilizzo funzionale. Il paradigma di questo assunto è Flora, bambola di servizio necessaria per il gioco del “bambino” ma mai donna subalterna ai desideri dell’uomo: proprio lei, anzi, lo scarica nell’esatto momento in cui lui crede di averla conquistata. È lei stessa a denunciarlo al Vesuviano (l’ellissi musical-cinematografica di Soavi qui è magistrale) e a vendicarsi (ri)pagandolo con la sua stessa moneta: «Tieni il resto dei tuoi soldi!». Come a dire: mi hai usato come un paio di scarpe… e ora io ti saldo il conto. A suo modo anche Roberta, sacrificandosi come agnello immacolato (evento prefigurato dalla citazione di Shock di Mario Bava [1977]), assolve una sua funzione: rivelare a Giorgio l’impossibilità di occultare dentro di sé la pesante verità di cui egli è portatore. Lo fa, inconsapevolmente, nel modo più spietato e crudele, alimentando attraverso il suo omicidio l’indomita e ineludibile coerenza dell’agire dell’uomo, condannato a uccidere gli altri per salvare se stesso. Le donne che Giorgio crede di poter dominare sono quelle che in realtà ne smascherano tutta la fragilità psicologica e ne mettono a nudo la vera natura: quella di criminale sadico e prevaricatore accecato dal desiderio di appartenere a una società corrotta, mercificata e tentacolare in cui, però, egli può ricoprire, anche una volta ottenuta la riabilitazione, soltanto il ruolo di comparsa. Il sottobosco clientelare del Nord-est è il paradigma di un intero Paese in cui l’inestricabile matassa di affarismo e politica produce imprenditori nati dal niente, foraggiati con capitali di oscura provenienza, al servizio di avvocati compiacenti e dall’indole criminale come Sante Brianese (Carlo Cecchi). Giorgio sarà sempre sotto ricatto – illusoriamente libero – e, pertanto, non potrà mai interpretare il ruolo di protagonista in una società in cui il Male emerge in tutta la sua sconcertante banalità e ordinarietà. Esempio di questa condizione è la guardia giurata Ausonio (Michele Nani): uno che crede di avere diritto a un po’ della ricchezza che difende ogni giorno, per ottenere la quale è disposto a delinquere, tradire e sacrificare la propria famiglia (la fotografia estratta dal suo portafoglio da Giorgio, nel momento in cui viene ucciso). La “locomotiva” del Nord-est è, così, mostrata da Soavi per piccoli accenni e significative pennellate: un meccanismo in cui l’attività produttiva quotidiana è motore di un’economia legale e di una illegale, fuse in un impenetrabile sistema di potere nel quale non è importante sapere da dove provenga la ricchezza purché essa non puzzi di malavita ma profumi di lavoro e scaltrezza imprenditoriale. Così è anche per le relazioni personali e sentimentali: prima ci si sposa in chiesa, poi – con la sacra benedizione – si intraprende l’attività adulterina e ci si dedica al meretricio. Il sintomo della patologia che dal Nord-Est diffonde le sue metastasi all’Italia è il vice questore della Digos Anedda, «fedele servitore dello Stato» nel retorico commiato del Tg, versione acida, cafona e volgare dell’insospettabilità di petriana memoria. Abito elegante e tagliato su misura, baffetti curatissimi, marcato accento sardo e capelli tinti con il lucido da scarpe sempre a portata di mano, con il suo ossessivo masticare qualcosa (retaggio del Giacomo Bonavia di Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica di Damiano Damiani [1971]) è uno sbirro corrotto, violento e brutale, interessato esclusivamente a utilizzare la sua posizione di potere per fini di arricchimento personale. La sua filosofia, tagliata con l’accetta, è esemplare. Rivolto a Giorgio, sentenzia: «Tu sei cresciuto a libri, canne e rivoluzione… però l’eskimo te lo facevi comprare da papà; io ho allevato pecore – qualche volta ci ho dormito, anche – però adesso mi chiamano Dottore… un motivo ci sarà, no?». Anedda finisce morto ammazzato nel bagagliaio di una macchina; la pioggia battente scioglie in neri rigagnoli la tintura dei capelli, restituendo, post mortem, la dissoluzione della maschera grottesca (Dirk Bogarde nel finale di Morte a Venezia di Luchino Visconti [1971]) di un uomo che si ritiene al di sopra di ogni sospetto.

In Arrivederci amore, ciao c’è un’inquadratura duplicata (in apertura del film e al momento dell’arrivo notturno di Anedda) in cui il protagonista fissa uno spazio vuoto, nero e piovoso: il nulla. È un tempo emotivo, lo spazio dell’attesa, in cui convivono il buio della psiche di Roberta che, forse, ha intravisto l’orrore, subito rimosso, e il vuoto emotivo di Giorgio che ricorda l’orrore dell’omicidio di Luca per poi reiterarlo come gesto di autoaffermazione. Egli è un villain che ha trovato la sua identità con e attraverso la morte, ossessionato da un oggetto-valore chiamato riabilitazione; per questo è (pre)disposto sadicamente a torturare psicologicamente una donna-bambina che non ha nulla della vittima: salta e balla nella casa nuova, si esalta per il frigorifero a due ante e gioca a “giurin-giurello” per avere conferme, fittizie, di redenzione da parte del suo carnefice. Anche Giorgio, come detto, è un bambino cresciuto male e in fretta. Lo dimostra la richiesta a Flora dopo l’ennesimo amplesso al Blue Sky (un mondo a parte che esiste soltanto di notte e svanisce di giorno, come mostrato dalla sequenza didascalica sulle note di La notte di Salvatore Adamo): «Un aperitivo, un ristorante, un cinema, una serata normale. Che ne dici?», che fa il paio con l’epilogo della prima visita di Flora: «Ora io e te rimaniamo come due ragazzini al primo appuntamento, altrimenti l’accordo salta»; ma, soprattutto, lo dimostra l’amarezza infantile con cui Roberta gli ricorda: «Non ho mai conosciuto nessun tuo amico». “Bambino cattivo”, questo terrorista occasionale, attraverso il quale Carlotto e Soavi evidenziano i danni inflitti dalla lotta armata a un’intera generazione. Sempre piegato su se stesso, abbracciato al cuscino, stretto in posizione fetale, trova in Roberta il suo fantasma speculare. Una “bambina brava” priva di sguardo tanto sul futuro quanto sul passato, persa nel vuoto di un presente che è incapace di decifrare. L’ingenuità colpevole è già tutta nella frangetta alla moda, nelle camicette di cotone, nei twin-set di cachemire e nei castigatissimi pantaloni: stimolo auto-desiderante e invito alla punizione per la sua ipocrita pudicizia. Giorgio partecipa coriaceo alla fiction seduttiva che trasogna il reale in uno stillicidio di false promesse, casti ed estemporanei baci da teenager che fanno da sfondo allo sconcerto rassicurante quando il colpo di pistola sparato a Luca a sangue freddo lascia il posto al botto del tappo dello champagne. Baci, carezze, scambi di sguardo diventano metonimia di una relazione perversa che sfregia la purezza cattolica del matrimonio perché coniuga il cinico opportunismo di lui con il bigotto sacrificio di lei. Giorgio è una belva ferita, colpita a morte dalle sue stesse bugie giustificazioniste che, in un crescendo parossistico, mirano a una sistematica distruzione della donna: una volta sciupata e umiliata, deve essere schiacciata come una mosca fastidiosa. Il “corridoio della morte” in cui striscia l’esanime Roberta, calpestata come un insetto dalla scarpa di Giorgio (non va dimenticata la mosca schiacciata dal martello del giudice al momento della sentenza), è la cavità uterina da cui origina la vita (la posizione fetale in cui giace il cadavere della donna) ed è luogo di reiterato ritorno a un oscuro destino pulsionale (la condanna dell’uomo). Roberta, sempre ai margini dell’inquadratura (segno della sua presenza-assenza con nulla da dire), nella sua immagine radiosa e fanciullesca è simulacro di se stessa finalmente realizzata con l’ornamento di tutte le sue protesi (la casa, il frigorifero e la croce). Il suo è un lucore che si stacca solo esteticamente dal décor tetro e plumbeo del contesto e per questo è destinato a essere spento da un uomo che ha come unici obiettivi l’anonimato e la mimesi.

«Arrivederci amore, ciao» ha scritto Giorgio sulla corona che depone sulla bara: non gli è venuto in mente altro. Parole che sono il marchio inestinguibile e lo stigma della sua indole forgiata nel piombo e nel sangue di un desiderio di appartenenza a una società camaleontica che si stringe attorno a una bara di cui non frega assolutamente nulla a nessuno, in un cimitero spazzato dalla pioggia. Mentre il dolly di Soavi si alza e mostra in plongée i neri ombrelli che si allontanano, Giorgio chiosa: «Quello stesso giorno Brianese mi consegnò la lettera del tribunale che mi concedeva la riabilitazione. Ormai ero libero, una persona onesta… come tutte». La rotta della barca-Italia è giunta al suo approdo: quello dove coesistono la legalità burocratica degli articoli del codice penale che aprono il film e la legalità immorale, patrimonio genetico – senza distinzione di classe – del rispettabile cittadino italiano.

 

 

Note

1 Esposito Rosa, Boni in noir, in cinematografo.it, 20 febbraio 2006, www.cinematografo.it/news/boni-in-noir.

2 Carlotto Massimo, Arrivederci amore, ciao, Edizioni E/O, Roma 2001.

 

 

CAST & CREDITS

Regia: Michele Soavi; soggetto: Lorenzo Favella, Michele Soavi, Massimo Carlotto (romanzo Arrivederci amore, ciao); sceneggiatura: Marco Colli, Michele Soavi, Heidrun Schleef, Luigi Ventriglia (come Gino Ventriglia); fotografia: Giovanni Mammolotti (come Gianni Mammolotti); scenografie: Andrea Crisanti; costumi: Maurizio Millenotti; montaggio: Anna Rosa Napoli (come Anna Napoli); musiche: Andrea Guerra; interpreti: Alessio Boni (Giorgio Pellegrini), Michele Placido (vice-questore Ferruccio Anedda), Isabella Ferrari (Flora), Alina Nedelea (Roberta), Carlo Cecchi (avvocato Sante Briatese), Antonello Fassari (Sergio Cosimato), Max Mazzotta (Ciccio Formaggio), Riccardo Zinna (Pasquale “Vesuviano”); produzione: StudioUrania, Rai Cinema, Wild Bunch; origine: Italia, 2006; durata: 105’; home video: dvd Mikado, Blu-ray inedito; colonna sonora: Sugarmusic.

 

[Vai all'indice]

Scarica il pdf

Ultime uscite

François Ozon

François Ozon

Inland n. 2/2016
Il secondo numero di INLAND è il primo volume dedicato in Italia a François Ozon. Regista tra i generi, firma sfuggente all’etichetta d’autore, nei suoi film Ozon fa riverberare echi [...]
Fiume Diciannove - Il Fuoco sacro della Città di Vita
1919-2019. Un secolo fa Gabriele d’Annunzio entrava in Fiume d’Italia, dando vita a quella che sarebbe stata una rivoluzione durata cinquecento giorni. Un’atmosfera febbricitante e festosa, ma anzitutto sacra, qui [...]
Aldo Lado

Aldo Lado

Inland n. 9/2019
Quello che stringete tra le mani è il numero più complesso, stratificato, polisemantico del nostro – vostro – INLAND. Quaderni di cinema. Lo è innanzitutto grazie al parco autori, mai [...]
Dylan Dog - Nostro orrore quotidiano
Detective dell’Occulto, Indagatore dell’Incubo, Esploratore di Pluriversi: come definire altrimenti Dylan Dog, dal 1986 residente al n. 7 della londinese Craven Road? Le sue avventure – che affrontano tutti gli [...]
Dino Buzzati - Nostro fantastico quotidiano
Vi sono autori, come disse una volta Conan Doyle, che «hanno varcato una porta magica». Tra questi spicca Dino Buzzati, che ha condotto il fantastico nel cuore pulsante della materia. [...]
William Lustig

William Lustig

Inland n. 13/2020
Gennaio 2015, riunone di redazione: si discute a proposito della nascita di INLAND. Quaderni di cinema. A chi dedicare i primi tre numeri? Idee tante, unanimità poca. Restano quattro progetti, [...]
Jorge Luis Borges - Il Bibliotecario di Babele
Jorge Luis Borges è un autore oceanico, un crocevia di esperienze, storie, civiltà e piani dell’essere, un caleido­scopio nel quale il passato si fa futuro e il futuro si rispecchia [...]
Antonio Bido

Antonio Bido

Inland n. 11/2019
Girata la boa del decimo numero, INLAND. Quaderni di cinema compie altri due significativi passi in avanti. Innanzitutto ottiene il passaporto. A rilasciarlo è stato il Paradies Film Festival di Jena [...]
Carlo & Enrico Vanzina

Carlo & Enrico Vanzina

Inland n. 7/2018
INLAND. Quaderni di cinema numero #7 nasce nell’ormai lontano dicembre 2017, in un bar di Milano dove, di fronte al sottoscritto, siede Rocco Moccagatta, firma di punta di tutto quel [...]
Lav Diaz

Lav Diaz

Inland n. 3/2017
È da tempo che noi di INLAND pensiamo a una monografia dedicata a Lav Diaz. Doveva essere il numero #1, l’avevamo poi annunciato come #2, l’abbiamo rimandato in entrambe le [...]
Mike Flanagan

Mike Flanagan

Inland n. 16/2023
Lo specchio è un simbolo polisemantico. Investe la sfera delle apparenze, ma anche quella dei significa(n)ti. Chiama in causa l’estetica, la filosofia e, insieme, la psichiatria. È l’uno che contiene [...]
Manetti Bros.

Manetti Bros.

Inland n. 14/2022
Febbraio 2020. Inland. Quaderni di cinema numero #13 va in stampa con una nuova veste. Brossura, dorso rigido, grammatura della copertina aumentata. Il numero è dedicato a William Lustig, alfiere [...]
Lune d'Acciaio - I miti della fantascienza
Considerata da un punto di vista non solo letterario, la fantascienza può assumere oggi la funzione un tempo ricoperta dai miti. I viaggi nello spazio profondo, le avventure in galassie [...]
Rob Zombie

Rob Zombie

Inland n. 1/2015
Con la parola inland si intende letteralmente ciò che è all’interno. Nel suo capolavoro INLAND EMPIRE, David Lynch ha esteso la semantica terminologica a una dimensione più concettuale, espansa e [...]
Pupi Avati

Pupi Avati

Inland n. 10/2019
Numero #10. Stiamo diventando grandi. Era da tempo che pensavamo a come festeggiare adeguatamente questa ricorrenza tonda, questo traguardo tagliato in un crescendo di sperimentazioni editoriali, collaborazioni, pubblicazioni sempre più [...]
Philip K. Dick - Lui è vivo, noi siamo morti
Celebrato in film, fumetti e serie tv, Philip K. Dick ha stregato gli ultimi decenni del XX secolo. Ma il suo immaginario era talmente prodigioso che, a furia di sondare [...]
Sergio Martino

Sergio Martino

Inland n. 5/2017
Giunto al quinto numero, INLAND. Quaderni di cinema affronta uno snodo cruciale, fatto di significative ed emblematiche svolte che segnano uno scarto, un’apertura rispetto alla precedente linea editoriale. Innanzitutto la scelta del [...]
Carlo Verdone

Carlo Verdone

Inland n. 12/2019
"Vi ho chiesto di mettere la mia moto Honda Nighthawk in copertina perché su quella moto c'è passato il cinema italiano. Su quella moto io sono andato e tornato da [...]
Rob Zombie Reloaded

Rob Zombie Reloaded

Inland n. 8/2019
Giunto all’ottavo fascicolo, INLAND. Quaderni di cinema riavvolge per un attimo la pellicola della sua breve ma significativa storia, tornando a percorrere i passi compiuti nel 2015 quando aveva aperto [...]
America! America? - Sguardi sull'Impero antimoderno
L’impero statunitense ha sempre generato nella cultura italiana reazioni contrastanti, che spaziano da un’esaltazione semi-isterica a una condanna a priori, altrettanto paranoica. Sembra sia pressoché impossibile, per chi si confronta [...]
Dario Argento

Dario Argento

Inland n. 15/2022
Tutto è nato da Occhiali neri (2022). Dalla sua visione, certo, ma anche dal dibattito che il film ha riaperto a proposito di Dario Argento e di tutto ciò che [...]
Walt Disney - Il mago di Hollywood
«Credo che dopo una tempesta venga l’arcobaleno: che la tempesta sia il prezzo dell’arcobaleno. La gente ha bisogno dell’arcobaleno e ne ho bisogno anch’io, e perciò glielo do». Solo un [...]
4-4-2 - Calciatori, tifosi, uomini
Nel calcio s’intrecciano oggi le linee di forza del nostro tempo; talvolta vi si palesano le sue fratture, i suoi non-detti. Ecco perché il quattordicesimo fascicolo di «Antarès» è dedicato [...]
Nicolas Winding Refn

Nicolas Winding Refn

Inland n. 4/2017
Perché Nicolas Winding Refn? La risposta è semplice: perché, piaccia o no, è un autore che, più di altri, oggi ha qualcosa da dire. Sebbene sempre più distante dalle logiche [...]
Michele Soavi

Michele Soavi

Inland n. 6/2018
Il nuovo corso di INLAND. Quaderni di cinema, inaugurato dal numero #5, dedicato a Sergio Martino, è contraddistinto da aperture al cinema italiano, al passato, a trattazioni che possano anche [...]

Ultimi post dal blog

Fabrizio Fogliato è un esperto di cinema e in particolare del cinema dei generi. Da anni pubblica regolarmente saggi e analisi che diventano punti di riferimento per il mondo del cinema. Lo scorso anno ha mandato in stampa un nuovo importante volume intitolato Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare di che cosa si tratta e in che modo ha analizzato il cinema criminale della Penisola. Partiamo dal titolo. Come mai ha scelto Con la rabbia agli occhi, che è anche il titolo di un film degli anni 70? Con la rabbia [...]
Benedetta Pallavidino ha raccontato un attore molto controverso nel suo Helmut Berger. Ritratto su pellicola, edito da Bietti Edizioni nella collana Fotogrammi. L’abbiamo intervistata. L’attore classe 1944 è scomparso il maggio scorso ed è stato interprete di tanti capolavori tra cui diversi film di Luchino Visconti con cui ebbe anche una relazione. Ecco le sue parole sull’artista: Come nasce la tua voglia di andare a raccontare un personaggio controverso come Helmut Berger? Nasce dal fatto che l’ho sempre trovato un attore molto sottovalutato, ricordato solo per essere stato il divo e il compagno di Visconti. È sicuramente vero che diretto da [...]