Mondo Manetti tra le note. Intervista a Pivio e Aldo De Scalzi

Massimo Privitera
Manetti Bros. n. 14/2022

Pivio – al secolo Roberto Pischiutta – e Aldo De Scalzi dal 2004 sono diventati, con la serie cult L’ispettore Coliandro, i perfetti cantori musicali delle gesta filmico-seriali dei Manetti Bros., creando per i due autori romani un sound da loro definito, semplicemente ma efficacemente, il «Mondo Manetti».
I due compositori – che non sono fratelli, come più volte erroneamente riportato in vari articoli – sono musicisti e autori di colonne sonore cinematografiche e televisive. Nel curriculum vantano oltre 130 partiture tra le quali le più note sono proprio quelle per i Bros., senza tralasciare le autorevoli collaborazioni con Ferzan Özpetek (Il bagno turco [1996]), Enzo Monteleone (El Alamein. La linea del fuoco [2002]), Marco Risi (Maradona. La mano de Dios [2007]) e Antonello Grimaldi (Distretto di polizia).
Solo loro potevano raccontarci, in questa intervista intrigante e colma di aneddoti, il connubio tra le note con il Mondo Manetti.

Qual è il vostro metodo di approccio con i Manetti Bros.?
Non vi è un metodo specifico sempre uguale a se stesso. Di volta in volta l’approccio si differenzia, perché può essere legato alla lettura della sceneggiatura o al momento in cui i registi iniziano le riprese e noi andiamo sul set con loro per carpirne le atmosfere, “annusando” un po’ il suono che è presente sul set. In linea di massima, il nostro lavoro parte da un premontato del film o della serie, e su quello si inizia a discutere. È la metodologia che preferiamo, perché abbiamo a che fare con qualcosa di più concreto. Sai bene che molto spesso ci si discosta dalla sceneggiatura, soprattutto nel momento in cui si va sul set e si effettuano le riprese del film. Al di là delle idee che possiamo farci dallo script, le riprese sono un momento a sé: alcuni registi rispettano quasi nel dettaglio la sceneggiatura, altri ne cambiano buona parte, se non addirittura tutto. Per non parlare del risultato al montaggio, che potrebbe essere ancora più differente dall’idea che ci eravamo fatti sia sul set, sia leggendo la sceneggiatura. Per questo motivo preferiamo lavorare sul film quando almeno c’è un premontato. Anche perché così hai l’effettiva possibilità di sentire i suoni del film, la recitazione degli attori, i dialoghi, l’ambiente: tutti elementi che entrano di diritto nella realizzazione di una colonna sonora e di cui si deve assolutamente tener conto nel comporre la partitura.

Le colonne sonore per il cinema dei Manetti Bros.
Piano 17 (2006)
È un caso un po’ anomalo, rispetto al discorso fatto prima sul nostro approccio: siamo partiti realizzando i brani prima che il film fosse effettivamente girato. I Manetti hanno usato questi pezzi sul set per dare il giusto ritmo alle riprese e alla recitazione degli attori. Ma Piano 17 è un caso particolare anche perché ci vede coinvolti dal punto di vista recitativo nel ruolo di due ascensoristi che fanno una fine terribile [risate, nda]: due giorni di lavorazione molto divertenti, dove nel primo facciamo la nostra piccola parte e nel secondo, a notte fonda, moriamo miseramente. Lavorare con Antonio e Marco Manetti riserva sempre una marea di sorprese, perché loro tendono sempre a coinvolgerti a tutto tondo. Di fatto Piano 17 non rappresenta la nostra prima esperienza lavorativa con loro, perché venivamo dalla composizione per Coliandro, avendo realizzato i temi per la puntata pilota che poi era diventata l’esordio della prima stagione. Avevamo già intuito come approcciarci ai due registi romani, ci eravamo resi conto che esisteva un “Mondo Manetti” dal punto di vista musicale. Un “mondo” che si rifà sicuramente alla musica afroamericana, al rhythm & blues e all’hip hop. E in un secondo momento questo Mondo Manetti è stato arricchito da influenze più tradizionali, con il coinvolgimento di musica orchestrale per ensemble di medie o grandi dimensioni. Nel caso di Piano 17 lo score è stato realizzato da un organico molto ridotto: sostanzialmente noi due, un quartetto d’archi e una tromba. Nulla di più, ma è stata ugualmente una bellissima esperienza perché era un film nato a bassissimo budget e noi ci siamo adeguati allo spirito realizzativo. La pellicola ha ottenuto un grande successo pur essendo stata distribuita in poche sale, e ha dimostrato che i Bros. erano maturi per il gran salto al cinema. In verità i Manetti avevano realizzato un film in precedenza, Zora la vampira (2000) con Carlo Verdone, Micaela Ramazzotti, Toni Bertorelli e musiche non nostre, ma degli esponenti maggiori degli anni Novanta del panorama rap e hip hop. Un film controverso, in cui Antonio e Marco non erano riusciti pienamente a esprimere il loro stile e la loro idea di cinema. A tutti gli effetti, è l’unica loro opera che manca nel nostro sodalizio.

Cavie (2009)
Un film che non è mai uscito, un’operazione molto interessante. I Manetti per un periodo hanno insegnato in una scuola per attori, e questo lungometraggio, da loro diretto, è la conclusione del corso (master in acting della Scuola di Cinema di Roma). Anche questo è un progetto a bassissimo budget, nel quale sono stati coinvolti gli allievi come protagonisti del film, a mo’ di esame finale. È una pellicola dai toni horror fantascientifici, dove il nostro approccio compositivo si è basato sulle colonne sonore dei film anni Settanta-Ottanta di John Carpenter, sulla falsariga di 1997: Fuga da New York (1981). Partendo da quel mood, abbiamo scritto una partitura prettamente elettronica con uso di synth anni Settanta, il tutto condito da pagine aggressive con la predominanza della chitarra di Aldo. Colonna sonora molto techno, per un titolo che è un gran peccato non abbia avuto un riscontro di pubblico e distributivo. Forse si è visto in qualche festival. In ogni caso, esiste il cd della OST, che abbiamo prodotto e venduto tramite i nostri canali e racchiude le atmosfere techno-psycho del film.

L’arrivo di Wang (2011)
A Cavie segue il fantascientifico L’arrivo di Wang, un’esperienza notevole. Il film annovera la presenza straordinaria del compianto e grandissimo Ennio Fantastichini. Nuovamente un titolo a basso budget, tanti aneddoti non proprio musicali, e una colonna sonora realizzata in pochissimo tempo con molti synth, una canzone nei titoli di coda cantata da Pivio e alcuni testi in cinese, perché il protagonista parla quella lingua anche se non è propriamente cinese [risate, nda] e l’ha imparata per motivi oscuri – sui quali ruota tutta la vicenda. Sono venute a crearsi diverse situazioni pazzesche durante la realizzazione di questo sci-fi all’italiana, e anche dopo.
Basti pensare che grazie a L’arrivo di Wang i Manetti sono sbarcati alla Mostra del Cinema di Venezia: con un film fantascientifico che ha per protagonista un alieno costruito in computer grafica. Non proprio un classico titolo da kermesse festivaliera… Mentre eravamo a Venezia, a camminare per le calli, siamo passati vicino a una troupe cinese che stava registrando una diretta tv su L’arrivo di Wang. Il conduttore e gli altri membri, proprio in quell’istante, stavano parlando del film ridendo bellamente, anche se noi non comprendevamo nulla di quello che dicevano.
Il film dei Manetti, in Giappone, ha ricevuto il Premio Batman – che non ha a che vedere con l’eroe mascherato dei fumetti, ma è proprio un premio chiamato Pipistrello Nero – con la seguente motivazione: «Perché ha dato tanta gioia ai giapponesi!» [ridono, nda]. La troviamo una cosa meravigliosa! Ed è esattamente il senso del film! Un film estremamente cinico per il quale noi siamo stati, musicalmente, altrettanto cinici. Tutto il contesto musicale è nuovamente techno, come per Cavie: molti synth, qualche chitarra, solo nel finale – quando si rivelano le reali intenzioni dell’essere antropomorfo – abbiamo esagerato, seppure con i piccoli mezzi a disposizione, perché il risultato sonoro doveva essere enorme. Quindi abbiamo fatto il verso al John Williams di Guerre stellari (1977), ricontestualizzato con una risultanza sonora molto straniante. Ci siamo divertiti.

Paura (2012)
È un film di genere horror che ho firmato solo io [Pivio, nda]. L’idea fu quella di concentrarmi su un suono industrial e i riferimenti musicali si rifacevano a sonorità acide di band come i Nine Inch Nails. In realtà ho voluto inserire anche contributi orchestrali ma, essendoci anche qui un budget molto limitato, ho dovuto suonare tutti gli strumenti da solo, ma mi sono permesso il lusso di avere un musicista che suonasse viola, violino e, suo malgrado [ride, nda], violoncello e contrabbasso. Ha suonato tutti questi strumenti in una differente tonalità e poi li ho manipolati, come spesso faccio, per ottenere suoni più ampi, che si avvicinassero a quelli di una piccola compagine orchestrale. Vi sono molte canzoni non scritte da me, selezionate prima delle riprese dai Manetti. Di questa OST, la cosa che mi piace ricordare è il lavoro che feci sul 5.1: c’è una spazialità dei suoni, visto che ho lavorato prettamente in modalità sintetica, che risulta efficace e sfrutta al massimo le potenzialità di questo sistema sonoro. Ho fatto un lavoro certosino su tutti i pezzi della colonna sonora e solo laddove il brano doveva avere un approccio old style, con un suono frontale, abbiamo mantenuto lo stile classico.

Song’e Napule (2013)
È stato il nostro vero passo verso lidi musicali sconosciuti. È stata la prima volta in cui ci siamo aggiudicati un David di Donatello per le migliori musiche, in maniera del tutto inaspettata. E non dimentichiamo il Globo d’Oro, il Nastro d’Argento, il Premio Bifest, il Premio Sonora, tutti per la migliore colonna sonora. Parliamo di un film realizzato ancora con mezzi relativamente piccoli. Una pellicola ambientata a Napoli, con la collaborazione di nomi del calibro di Fausto Mesolella – chitarrista, compositore e arrangiatore, membro della Piccola Orchestra Avion Travel, scomparso nel 2017 – e Peppe Servillo, fratello di Toni, voce anch’egli degli Avion Travel e attore per i Manetti già nel citato Paura. Questi due ottimi musicisti si sono occupati di tre brani di stampo neomelodico napoletano, che noi abbiamo rielaborato in chiave strumentale. Per lo score abbiamo recuperato la tradizione musicale manettiana: sonorità afroamericane e rhythm & blues ricontestualizzate nel mondo popolare napoletano. Tutto sommato e paradossalmente, c’è meno musica rispetto ad altri film dei Manetti. Questo è molto più recitato e c’è stato un lavoro minuzioso sulla musica e sul dove inserirla: evidentemente, dati i tanti premi ricevuti, il nostro sforzo è stato apprezzato. Non abbiamo usato un organico molto grande, però abbiamo inserito ugualmente alcuni archi, fiati e legni.
Di fatto è la pellicola che ha lanciato nel mercato nazionale, a gran voce, il cinema dei Bros., e gli ha permesso di potere realizzare Ammore e malavita.

Ammore e malavita (2017)
È un musical, genere inconsueto nel panorama cinematografico italiano, a differenza di quanto avviene in quello statunitense. Di più: è un musical cantato sostanzialmente in napoletano e ci sono 15 canzoni – anche se nel montaggio finale una di queste è stata tolta (ma la trovate inserita nell’album della colonna sonora e nei contenuti extra dell’edizione Blu-ray e dvd). Di questi 15 brani, 13 sono in dialetto napoletano e due in inglese. Questi ultimi scritti in collaborazione con Mark Hanna, tutti gli altri solo da noi. Per quanto riguarda le canzoni abbiamo creato uno strano miscuglio tra rhythm & blues, funky e la grande tradizione musicale napoletana, distaccandoci totalmente dal neomelodico adottato in Song’e Napule. Nelle musiche originali, invece, vi sono molti pezzi orchestrali che sono estranei al mood delle canzoni e rappresentano, ovviamente, il film e buona parte della sceneggiatura. I testi sono stati scritti dal cantautore napoletano Nelson.
La cosa decisamente stravagante è che musiche e canzoni sono state composte da due genovesi. In realtà, dagli anni Sessanta-Settanta c’è sempre stato un gran collegamento tra Napoli e Genova. Difatti, nel periodo del prog molti musicisti partenopei collaboravano con quelli genovesi e viceversa: in alcuni dischi dei New Trolls degli anni Settanta, per esempio, alla batteria c’era Tullio De Piscopo. Tra l’altro, una delle canzoni napoletane più belle scritte negli ultimi trent’anni è di un genovese: parlo, logicamente, di Don Raffaè di Fabrizio De André. Insomma, non è così aliena questa collaborazione tra musicisti di due città geograficamente così distanti! Questo, poi, ha fatto sì che vi fosse una reinterpretazione della musicalità napoletana effettuata, da parte nostra, con occhi e orecchie, se vogliamo dire, esterni. Abbiamo riconfigurato quel mondo in funzione del film.
Di tutte le canzoni che abbiamo composto esistono le versioni demo interpretate sempre da noi: sono disgustose… Anzi no, non è vero [risate, nda]! Anche se non siamo madrelingua napoletani lo siamo diventati nel corso del tempo, ma giuriamo che all’inizio della lavorazione, dovendo dare agli attori qualcosa da interpretare con la giusta metrica durante le riprese, i nostri demo sono serviti, sebbene cantati in un dialetto non proprio perfetto. Una volta indentificati i punti in cui era necessario inserire una canzone – e lo abbiamo fatto in maniera quasi scientifica insieme ai Manetti, andando ad analizzare musical di successo come Flashdance (1983), di cui abbiamo realizzato una cover in napoletano del celebre tema portante, What a Feeling, da noi ribattezzata L’ammore overo (L’amore ritrovato) – e trovato uno schema ben preciso, abbiamo compreso dove inserire ogni brano e i testi annessi.
Questo anche grazie all’intervento di Nelson sui testi e agli attori/interpreti. Abbiamo riformulato nel migliore dei modi le canzoni, così da aiutare il più possibile chi le doveva cantare in scena: non tutti gli attori del film sono cantanti professionisti, anche se, francamente, Serena Rossi – pur non essendolo di professione – è una cantante sconvolgente, e dovrebbe pensare seriamente a una carriera canora oltre che cinematografica. Anche Carlo Buccirosso è bravissimo. Poi c’è Franco Ricciardi, che nasce cantante e poi diventa attore. E che dire di Raiz, semplicemente eccelso.
Elaborare i brani pensando alle qualità di ogni singolo interprete è stato fondamentale. Tutti hanno lavorato in playback sui nostri demo ma, ovviamente, come accade spesso sul set, al momento delle riprese qualcosa è stato modificato e ciò ha richiesto altro lavoro da parte nostra. Un processo durato oltre due anni. Una volta finito il montaggio e sistemate alcune tempistiche, abbiamo contattato tutti i musicisti della colonna sonora per finalizzare il lavoro al meglio, usando un’orchestra di una cinquantina di elementi.
Si sarà capito che lavorare a un musical non è uno scherzo e chiaramente, rispetto ad altre collaborazioni con i Manetti, questa è stata la più intrigante, completa e complessa. Tra l’altro la pellicola è sì un musical, ma anche un gangster e un mafia movie, con tante sparatorie e inseguimenti. E pure un poliziesco classico, con tutto quello che ti aspetti da questo genere in termini di colpi di scena.
C’è una sequenza d’azione con la canzone Bang Bang, interpretata da Serena Rossi con interventi di Franco Ricciardi e Giampaolo Morelli, che ci ha permesso di vincere anche stavolta proprio tutto: David di Donatello, Nastro d’Argento, Globo d’Oro e Ciak d’Oro per migliore canzone e musica.

Diabolik (2021)
Su Diabolik possiamo anticipare qualcosa. Possiamo dire da dove siamo partiti e dove andremo a finire, forse! Mentre rispondiamo a queste domande [novembre 2019, nda] le riprese sono ancora in corso ma finiranno a breve. Questa è un’operazione ancora più importante per i Manetti. Hanno vissuto un’evoluzione continua sia in termini di budget, sia di difficoltà lavorative da affrontare. Diabolik è un film complesso, con molte location, fedele alla primissima tradizione del fumetto originario e con un cast d’eccellenza.
Riguardo la musica inizialmente avevamo pensato – in accordo con Marco e Antonio, che l’hanno ritenuta una scelta interessante – di lavorare su un mondo oscuro, un po’ jazzy, vagamente vicino a certe sonorità anni Sessanta di film di genere italiani più d’autore, che possedevano una musica spesso basata su un organico relativamente piccolo, con uso di marimbe, vibrafoni, quartetti d’archi, batterie e spazzole; qualcosa che ritrovi, alla lontana, in alcune opere di David Lynch, sia per il cinema che per la televisione, con sonorità di Angelo Badalamenti che si insinuano tra le immagini in modalità inintelligibile e subdola. Perché Diabolik è un personaggio oscuro, il “Re del Terrore” per antonomasia, un eroe a suo modo maledetto, e noi volevamo conservare questa allure. Invece, dopo alcune prove fatte su un premontato “blando” – solitamente i Manetti montano il film a mano a mano che lo girano, invece stavolta se ne occuperanno solo a fine riprese – pensiamo che la soluzione musicale tenderà più a una scrittura tradizionalmente orchestrale, coinvolgendo un ensemble molto grande. Andremo nella direzione di Bernard Herrmann, per intenderci. Questo è il mondo sonoro allo stato attuale, anche se poi con i Manetti – famosi per saper rivoluzionare tutto in ogni momento – si potrebbe tornare all’idea di un Lynch, o fare un mix tra atmosfere oscure alla Badalamenti e sinfoniche alla Herrmann. Pertanto «lo scopriremo solo vivendo», come diceva Lucio Battisti [risate, nda].

Le colonne sonore per la tv dei Manetti Bros.
L’ispettore Coliandro (2004-2018)
Coliandro è stata un’esperienza importante e la prima occasione di collaborazione con i Manetti. Parliamo del 2002 o 2003, non ricordiamo di preciso. La prima cosa che abbiamo fatto per Coliandro era un episodio intitolato Il giorno del lupo, pensato come un pilota: solo in un secondo momento – e nel frattempo erano trascorsi due anni dalla lavorazione – si è veramente partiti con l’idea di sviluppare tante narrazioni.
La storia principale nasce dalla penna di Carlo Lucarelli e L’ispettore Coliandro oramai è diventato un mito, in Italia. Un ispettore che è Giampaolo Morelli, e viceversa: i due, praticamente, sono entità inseparabili! Quando ci è stato chiesto di scrivere la colonna sonora per questa serie, con i Manetti ci siamo fin da subito detti di recuperare il mondo sonoro “poliziottesco” tricolore anni Settanta. Siamo giunti alla settima stagione con un totale di 29 episodi – ovvero 29 puntate della durata di un film, con storie autoconclusive pur avendo personaggi principali ricorrenti e alcuni elementi lineari che ritornano di stagione in stagione – e ogni volta abbiamo scritto musica come se si trattasse di film a sé stante.
Per la prima serie abbiamo cercato di trovare il suono di Coliandro e ci è venuto spontaneo il recupero della blaxploitation, rielaborata con il filtro del poliziesco nostrano. Quindi l’idea era di usare il funky e il blues, ispirandoci alle colonne sonore di L’ispettore Callaghan e Shaft. Abbiamo lavorato in maniera diversa dal solito, perché con i Manetti abbiamo deciso alcuni temi, idee, ritmi, orchestrazioni di massima da usare di puntata in puntata; poi noi due abbiamo scritto alcuni demo, usando pochissimi strumenti (in alcuni casi solo il piano), con le linee melodiche e armoniche dei singoli pezzi; infine ci siamo ritrovati in studio di registrazione con i nostri musicisti di riferimento, con i quali collaboriamo da sempre. Ne è risultata una grandissima jam session durata cinque giorni. Praticamente, partendo da quelle piccole cellule melodiche abbiamo esplorato il risultato suonandole dal vivo, come se fossero improvvisate. E su queste lunghissime performance abbiamo successivamente inserito archi, ottoni e voci. È stata una lavorazione magica. Su YouTube abbiamo caricato diversi backstage, che fanno comprendere pienamente ciò che abbiamo appena raccontato. Il risultato, per noi, è stato pazzesco: dobbiamo dire che si sente alla perfezione la partecipazione di tutti gli organici coinvolti.
Spesso la colonna sonora ha un retrogusto non spontaneo nell’esecuzione finale perché richiede una preparazione ed elaborazione precise e dettagliate: i musicisti suonano in partitura quello che il compositore gli ha scritto di eseguire in quel modo, pedissequamente. In Coliandro non è così: le colonne sonore di tutte le stagioni hanno mantenuto lo stesso approccio da jam session, perché una costante della serie che a noi è sempre piaciuta è che i musicisti non sono meri esecutori, ma ci mettono del loro in ogni brano. Crediamo vivamente che sia questo uno dei motivi per cui la soundtrack di L’ispettore Coliandro ha riscontrato e tuttora riscontri un enorme successo. Logicamente, dalla prima serie all’ultima i cambi di stile ci sono stati, per rispetto alle trame delle singole puntate, con una tendenza, di recente, a una musica afrocentrica – intesa come Africa Nera – per cui abbiamo un po’ abbandonato il funky e ci siamo concentrati sulle ritmiche etniche (Gambia, Zaire, Zambia). Poi ci sono puntate in cui facciamo il verso al folk italiano e alla musica da balera. Insomma ogni episodio ha una vita sonora a sé, ma il magma musicale iniziale lo abbiamo mantenuto in tutte le stagioni, in un modo o nell’altro. Nella sesta ci sono episodi pensati come dei musical con tante canzoni composte ad hoc, pratica che è difficile da ritrovare in una colonna per una serie tv italiana.
Si tratta di una produzione sonora vasta, che si può trovare in parte nei cinque cd prodotti e distribuiti dalla nostra etichetta Creuza. Pensa che, in occasione del lungo stop tra la terza e la quarta stagione, con la produzione che non dava più notizie di sé, c’è stato un movimento di opinione fortissimo anche nei nostri confronti: abbiamo ricevuto centinaia e centinaia di mail di gente incazzata che rivoleva L’ispettore Coliandro in tv. Queste mail le abbiamo raccolte e mandate alla Rai – chiedendo di leggerle con attenzione, perché la faccenda era davvero importante da un punto di vista mediatico – facendo anche la battuta sul fatto che se a noi erano arrivate così tante mail, chissà cosa non era arrivato a Lucarelli e ai Manetti! Pur essendo un personaggio altamente scorretto, fuori dai canoni degli ispettori, detective e commissari di casa nostra, Coliandro piace al pubblico della Rai, in modo trasversale, piace alle casalinghe e piace ai poliziotti. Anche noi siamo stati scorretti come lui, prendendoci dei rischi che grazie ai Manetti possiamo concederci – altrimenti non potremmo mai – nel comporre le nostre musiche e stilare i titoli dei brani presenti nei cd in vendita: lasciamo a chi possiede o possiederà gli album il piacere di scoprire che titoli abbiamo scelto e che doppi sensi, parolacce e bassezze varie vi sono celate [risate, nda]. Ma sì dai, qualcosa lo possiamo svelare: Adrem aonej, Papi Satan, Super Blaster, Fottuto cane blu, La spirale, Poscia la coscia. Siamo davvero grati a questa serie che ci ha permesso, e ancora ci permette, di divertirci tantissimo.

Crimini (2006-2007) (tv movie: Morte di un confidente, Rapidamente, Il bambino e la befana)
Sono tre film totalmente diversi, anche musicalmente. Il bambino e la befana è sostanzialmente pop, Morte di un confidente ha paesaggi ambientali oscuri simili alle sonorità di David Sylvian, Rapidamente una colonna quasi orchestrale. Relativamente a quest’ultima c’è un aneddoto interessante: era la prima volta, nella nostra collaborazione con i Manetti, che proponevamo un percorso orchestrale, una specie di esperimento. In accordo con i registi, abbiamo chiesto alla produzione un certo budget per usare l’orchestra – che ha sempre un costo non banale, seppure nel nostro caso avessimo bisogno di un organico ridotto, circa 25 elementi. Il produttore delle musiche ci ha fatto attendere un mese, che per chi lavora in televisione vuol dire quasi un anno di vita professionale perso (solitamente noi due, nelle colonne sonore per il cinema, siamo anche produttori ed editori delle musiche, ma in televisione le cose cambiano notevolmente perché vi sono terze parti). Il film, già finito al montaggio e pronto per la soundtrack e la messa in onda, è rimasto fermo in attesa di questo via libera. Dopo un mese è arrivata la telefonata dal tono quasi trionfale di un addetto alla produzione, che ci ha detto che avevamo finalmente i soldi. Dovendo noi amministrarli per registrare la colonna sonora, abbiamo chiesto lumi sull’ammontare della cifra a disposizione: rispetto a quella richiesta, il 25-27% in meno. Abbiamo riso per almeno un minuto e mezzo e messo giù il telefono senza dire null’altro. Mai più sentiti. A ogni modo abbiamo portato a casa la OST, con qualche soluzione alternativa, ma con un ensemble orchestrale.

Rex, stagioni 7 e 8 (2014-2015)
Un telefilm di produzione italiana, seguito delle avventure della serie originaria austriaca Il commissario Rex, per grandi e piccini. I Manetti la rivoluzionano, dandole un’impronta più adulta, rivolta maggiormente a un pubblico adolescenziale. Anche le musiche risentono di questa scelta registica: rispolveriamo in qualche modo il mondo vagamente elettronico, con molti interventi orchestrali e un passaggio continuo tra suoni acustici ed elettronici che non si percepiscono con facilità a un primo ascolto.
La serie è andata bene ed è riprogrammata ancora oggi, oltre a essere distribuita in tanti Paesi europei. Anche in questo caso, come con L’ispettore Coliandro, abbiamo sperimentato tanto in sede di registrazione della soundtrack.

Dopo questo excursus sul vostro connubio con i Manetti Bros., in che termini riassumereste il vostro sodalizio?
In cinque punti fondamentali: “divertimento assicurato”, “grande fiducia e stima reciproca”, “grande possibilità di sperimentare”, “libertà assoluta di espressione” e “grandissima amicizia”. Il nostro rapporto con i Manetti va ben al di là di quello esclusivamente professionale. Siamo onorati di essere loro amici. I cinque punti esprimono a grandi lettere cosa sono i Manetti Bros. & Pivio e Aldo De Scalzi. Grazie a loro abbiamo avuto le più grandi soddisfazioni della nostra carriera. Anche quando affrontano progetti più impegnativi, Marco e Antonio sono e restano degli outsider. E noi con loro.

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Fabrizio Fogliato è un esperto di cinema e in particolare del cinema dei generi. Da anni pubblica regolarmente saggi e analisi che diventano punti di riferimento per il mondo del cinema. Lo scorso anno ha mandato in stampa un nuovo importante volume intitolato Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare di che cosa si tratta e in che modo ha analizzato il cinema criminale della Penisola. Partiamo dal titolo. Come mai ha scelto Con la rabbia agli occhi, che è anche il titolo di un film degli anni 70? Con la rabbia [...]
Benedetta Pallavidino ha raccontato un attore molto controverso nel suo Helmut Berger. Ritratto su pellicola, edito da Bietti Edizioni nella collana Fotogrammi. L’abbiamo intervistata. L’attore classe 1944 è scomparso il maggio scorso ed è stato interprete di tanti capolavori tra cui diversi film di Luchino Visconti con cui ebbe anche una relazione. Ecco le sue parole sull’artista: Come nasce la tua voglia di andare a raccontare un personaggio controverso come Helmut Berger? Nasce dal fatto che l’ho sempre trovato un attore molto sottovalutato, ricordato solo per essere stato il divo e il compagno di Visconti. È sicuramente vero che diretto da [...]