Sempre più convinti che, per fare circolare aria nuova nel cinema italiano, occorra recuperare il buon artigianato del film di genere, i Manetti Bros. toccano il vertice della loro filmografia con un’opera che riassume al meglio il fecondo guazzabuglio di stili che li contraddistingue. Un musical scatenato, ibridato con il noir e la parodia di Gomorra (2008), le atmosfere del poliziottesco anni Settanta e la sceneggiata, il melodramma sentimentale e la commedia, mescolando tensione e comicità, azione ben girata e richiami all’attualità. Il tutto shakerato in un cocktail fresco e gustoso, servito come una celebrazione della città di Napoli, filmata devotamente nei suoi luoghi canonici (da piazza del Plebiscito al Maschio Angioino).
Proprio con una panoramica dall’alto sullo skyline e i tetti di Napoli inizia il film, per zoomare poi sul funerale di un boss della camorra – don Vincenzo Strozzalone, “o re d’o pesce” – con tanto di vedova, donna Maria, affranta accanto alla bara. Dentro la quale, però, il morto canta perplesso e stizzito la sua protesta, domandandosi chi sia questo don Vincenzo e perché una folla di persone a lui sconosciute pianga la sua dipartita. Un flashback rivela infatti che don Vincenzo, dopo un attentato che gli ha solo impallinato il didietro, per farsi credere morto ha lasciato uccidere un suo sosia, come da piano della tremenda moglie che, da accanita divoratrice di dvd (sul passaporto falso si ribattezza Grazia Chelli) ha rubato l’idea dal James Bond di Agente 007. Si vive solo due volte (1967).
Il gusto cinefilo dei Manetti innesca la trama sulla celebre avventura di 007 ma, tra i numerosi altri, saranno citati anche Il marchese del Grillo (1981) – l’Alberto Sordi sdoppiato nel sosia Gasparino – e Panic Room (2002), con don Vincenzo nascosto nella camera blindata come Jodie Foster. Non si fa in tempo a godere lo spasso di una partenza così scoppiettante che arriva la sequenza strepitosa del tour alle Vele di Scampia, sempre in chiave musical, con la guida che accompagna nella location di Gomorra un gruppo di turisti emozionati ed entusiasti, che vanno in brodo di giuggiole quando provano l’ebbrezza di essere vittime degli scippatori. Così l’intero film si diverte a passare in rassegna ogni cliché della napoletanità: il mare da cartolina e la mariomerolata, la criminalità dei guappi e il sentimentalismo dei neomelodici, il degrado della camorra e la sua manierata rappresentazione che, con il pretesto della denuncia, la spettacolarizza sfruttandone il potenziale commerciale.
Ammore e malavita, fin dal titolo (che sarebbe stato perfetto anche per un film di Merola, appunto), smonta con il graffio dell’ironia tutti questi luoghi comuni, per rimontarli abilmente nel plot dopo averli depurati da ogni retorica. Perché, pur ricco di gag e battute irresistibili, di felici guizzi surreali e trovate divertenti, il film non sfocia mai nella farsa. Sta anzi bene attento a mantenersi in equilibrio tra la tradizione del genere e la sua parodia, serbando integri il piacere dell’avventura e la tenuta del ritmo grazie a una sceneggiatura robusta e al montaggio incalzante.
A rovinare il piano del boss fintosi morto provvede uno dei suoi scagnozzi, Ciro, che si rifiuta di uccidere la testimone dell’inganno Fatima, suo grande amore di gioventù. Così accade che, passata al filtro dell’umorismo dei Manetti, la love story dei due protagonisti, anziché finire sbeffeggiata, assuma una credibilità emotiva tale da conferire al delinquente Ciro e all’infermiera Fatima la dignità di eroi da fumetto. Allo stesso modo funziona l’aspetto musical: una messinscena di impeccabile professionalità, sia per le coreografie di trascinante naturalezza che per le brillanti prove vocali di tutti. Sembra di essere nel cinema americano, dove gli attori sanno cantare e danzare con la stessa disinvoltura e la stessa bravura con cui recitano. E un merito non minore del film è quello di avere messo in luce le doti di una Claudia Gerini inedita, che balla e canta come fosse in La La Land (2016). Ma anche tutti gli altri interpreti si fanno onore: i protagonisti Morelli e Rossi, l’ottimo Buccirosso nel doppio ruolo di don Vincenzo e del sosia “scarparo”, fino ai numerosi e godibili caratteristi, tutti schizzati con cura – anche quelli di contorno, si veda l’avvocato che ama le citazioni latine – come i registi italiani sapevano fare un tempo e oggi non più. Raramente frequentato dal nostro cinema, il musical è un genere impegnativo e ad altissimo rischio: basta poco per scivolare nella goffaggine e nel ridicolo, senza contare il pericolo di smorzare la narrazione.
I Manetti, al contrario, danno prova di una regia “swingante”, capace di amalgamare a meraviglia le parti recitate con quelle musicate, mentre la dimensione coreografica permette loro di spremere i succhi migliori di un talento visionario che tiene a braccetto l’horror e il buffonesco, come dimostrano il balletto del paziente con la flebo nella corsia dell’ospedale o quello dei morti sulla spiaggia durante il duello finale tra Ciro e Rosario. Se nelle musiche la melodia napoletana si mescola con il rhythm & blues (il balletto in cui donna Maria esalta la dignità delle serve sembra riallacciarsi a quello di Aretha Franklin in The Blues Brothers [1980]) è nei testi delle canzoni che si sfiora il sublime, toccando il vertice della fusione, ambigua e feconda, tra tradizione e parodia: ne è un brillante esempio il «Mo’ che faccio con una pistola in faccia / ho paura di nun vede’ più ’na sera ‘e maggio». Il ritornello del brano cantato da Fatima, pendant musicale del titolo, è poi un gioiello kitsch dell’amore criminale: «Come fossero proiettili / tu schivi i sentimenti».
Solidamente strutturato, il film si apre e si chiude con una finta morte (e il sangue che tinge le onde del mare è un altro cortocircuito tra noir e cartolina napoletana). Ma si apre e si chiude anche con Napoli: accarezzata con la cinepresa aerea nell’inquadratura iniziale, viene celebrata nel finale dal travolgente Nun è Napule, nel quale cantano e ballano tutti i personaggi del film. Chi in galera, chi a New York, tutti concordano che Napoli è un’altra cosa. Tra di loro fanno capolino a sorpresa, nella metropolitana, anche i Manetti Bros. canterini, che mai come in questa occasione hanno saputo orchestrare oltre due ore di film con un magistrale senso dello spettacolo, senza cadute né cali di tono, anzi irrobustendo il loro cinema con un’ispirazione in stato di grazia. Dimostrando di saper manipolare con gusto, intelligenza e abilità tecnica il cinema di genere e cucinarlo con tale sapienza da trasfigurarlo fino a farlo diventare, nell’asfittico e pretenzioso panorama italiano contemporaneo, il vero cinema d’autore.
CAST & CREDITS
Regia: Manetti Bros.; soggetto: Michelangelo La Neve, Manetti Bros.; sceneggiatura: Michelangelo La Neve, Manetti Bros.; fotografia: Francesca Amitrano; scenografia: Noemi Marchica; costumi: Daniela Salernitano; montaggio: Federico Maria Maneschi (come Federico Maneschi); musiche: Pivio, Aldo De Scalzi; interpreti: Giampaolo Morelli (Ciro), Serena Rossi (Fatima), Carlo Buccirosso (don Vincenzo Strozzalone), Claudia Gerini (donna Maria), Raiz (Rosario), Franco Ricciardi (Gennaro), Antonino Iuorio (avvocato); produzione: Rai Cinema, Madeleine Film, Mompracem; origine: Italia, 2017; durata: 133’; home video: Blu-ray 01 Distribution, dvd 01 Distribution; colonna sonora: I dischi dell’Espleta.