Narrativa: «La Città dei Gatti Neri»

Marina Alberghini
Lune d’Acciaio – I miti della fantascienza n. 9/2015
Narrativa: «La Città dei Gatti Neri»

Festa grande a Bubastis, in quel giorno d’estate di molti millenni fa. La città che l’Egitto ha consacrato ai Gatti, numi supremi del suo Pantheon, celebra infatti Bastet, la dolce Dea dal corpo di donna e la testa di gatta, che riassume in sé gli elementi base della femminilità: la creatività, essendo raffigurata nell’atto di suonare il sistro; la maternità, avendo ai suoi piedi il cestino della levatrice; l’erotismo, infine, essendo donna e gatta insieme.

È in omaggio a quest’ultimo aspetto che le barche inghirlandate di fiori che scorrono lungo il Nilo fra risa e canti vedono in lieti accoppiamenti una sensualità gioiosa.

Ma le barche attraccano e la folla, attraverso un viale costeggiato di statue della Dea, tutte d’oro e metalli preziosi, si dirige verso il tempio: è l’ora solenne, quella della funzione religiosa. All’interno, nella penombra splendono gli ex voto, esattamente come quelli che vediamo oggi nella cattedrali cristiane. Cuori risanati, stampelle, attestazioni di guarigione, piccole teste di gatti d’oro o d’argento. Intanto, risuona la preghiera più gradita e consona alla Dea, la richiesta dell’«intuizione fulminante che cambia in meglio la vita».

Gatti di ogni colore si aggirano, ovviamente, nel tempio – uno nero, acciambellato, dormicchia su un cuscino di raso, coperto di petali di rose. I sacerdoti dalla testa rasata intonano una litania ripetitiva e melodiosa, ogni tanto avvolgendolo d’incenso.

La grande statua d’oro della Dea è nascosta dietro paramenti splendenti ma tutti sanno che, se le invocazioni dei fedeli saranno pure, essa aprirà la bocca e parlerà.

Nello stesso momento, nella Grande Piramide di Giza viene messa in azione la Porta delle Stelle, ossia uno Star Trek. È per questo che la Piramide è stata costruita.

Un dispositivo automatico si apre lentamente: sul vertice appare un foro circolare laminato d’oro che contiene un misterioso e complesso apparecchio, il cui uso risale a quando gli alieni avevano colonizzato l’Egitto, scendendo da un lontano pianeta di un’altra galassia, e che viene usato di solito per lanciare l’anima del Faraone nelle profondità interstellari verso Orione, tramite l’apertura della bocca, come descritto minutamente in testi sacri quale il Libro Tibetano dei Morti. Ma oggi, dopo il richiamo della Dea, esso è puntato sulla costellazione dello Scorpione, in particolare verso la Nebulosa Zampa di Gatto (1), sul suo pianeta principale, l’abbagliante blu Aluro, che splende entro una nursery di stelle, nel cuore della Nebulosa.

Il pianeta ha nome Cathuria, la sua capitale è Kuthumi Cathuri – ossia, in cathuriano, Città dei Gatti Neri.

Intanto, trainata da un carro, a Bubastis appare la Dea, alta e possente, ma dolce. Il momento è gravido di tensione, la folla implora: «Parla, parla, o Grande Felina!». Ovunque risuona l’invocazione. Ma essa tace; dai suoi grandi occhi scendono lacrime. Poi, in un silenzio impressionante, si ode una voce: «Pregate, fratelli… pregate… aiutate i fratelli della Città dei Gatti Neri a ricevere l’Illuminazione… la Fiaccola del Tempo ha portato notizie tremende… pregate!».

In quel mentre, il gatto nero emette un miagolio lamentoso e salta sulle braccia della Dea, che continua: «Oggi la Porta delle Stelle manderà ai Cathuriani le nostre Onde magiche… che la Mente li aiuti in questo momento!».

 

Nella capitale di Cathuria era in corso una riunione straordinaria dei delegati dei pianeti orbitanti attorno alla stella blu. Quegli Alieni erano davvero un bel vedere: felini umanoidi, alti ed armoniosi, il volto triangolare sormontato da occhi magnetici verdi o arancio, il corpo rivestito da una peluria setosa di ogni colore. Erano coloro che gli Olmechi, antichissimo popolo precolombiano del pianeta Terra, chiamarono «il Popolo dalle labbra tigrate», quando scesero a insegnare l’arte, la scrittura e la scienza alle popolazioni primitive del Messico.

E non solo agli Olmechi. Uno di loro, Toth, portò la scrittura agli antichi Egizi, altri crearono Atlantide, dove, con esperimenti genetici tra gameti terrestri e alieni, nacque l’Homo Sapiens. Coloro che i Maya chiamavano i Vuh insegnarono a quel popolo la matematica. E una rappresentanza dei Dogon, venuta da Sirio, si occupò di una tribù africana. Altri assunsero immagini terrestri, come Quetzacoatl, che colonizzò culturalmente il Messico.

Più difficile fu portare la legge morale. I terrestri non ne volevano proprio sapere.

Adamo ed Eva, del pianeta Eden, furono i primi a provarci, cercando d’insegnare agli uomini la responsabilità morale individuale e la libertà di pensiero – eppure, diventarono simboli di nequizia. Si tentò, ingravidando donne terrestri, di far nascere semidei, come Mosè, Buddha, Mitrha, Osiride, Gilgamesh e Cristo, o d’inviare Messaggeri, come Plotino, che avrebbero dovuto portare la luce della bontà e della pace e leggi morali ai terrestri, gente fondamentalmente feroce e guerrafondaia. Ma tutti fecero una brutta fine o non vennero ascoltati. Gli uomini li trasformarono in Miti, oppure, non comprendendoli, li perseguitarono e uccisero.

Certo, alcuni venivano ricordati con deferenza e perfino celebrati, ma i terrestri, anche se migliorati, restavano fondamentalmente gli stessi. Maggiori erano stati, invece, i progressi scientifici e artistici.

Ciò, comunque, non scoraggiava i Protettori, incaricati dalla Mente Cosmica di aiutare gli abitanti di quel pianeta in formazione, che i suoi abitanti chiamavano Terra, a compiere la propria Evoluzione – compito espletato facilmente, mediante il dispositivo della Fiaccola del Tempo, che fungeva da teletrasporto ma anche da specchio del futuro.

Quel giorno, attorno a uno scintillante tavolo ovale, sedevano tutti i rappresentanti delle Missioni. All’Ordine del Giorno c’era ben altro. Un vero schiaffo morale. Proprio quando i Cathuriani cominciavano a considerare l’ipotesi di inserire Terra nella Confederazione Galattica, una situazione particolarmente grave, che aveva ferito la sensibilità felina degli umanoidi, era stata evidenziata dallo Schermo del Tempo. I gatti, quei deliziosi alieni mandati su Terra per rallegrare e incivilire la vita degli uomini, nell’anno 1233 d. C erano stati dichiarati emissari del Male, che gli uomini chiamavano Diavolo, e sterminati senza pietà, specie se neri, spesso bruciati in un fervore di fanatismo religioso, assieme ad umani innocenti.

«È inammissibile! È… un insulto, ecco!» tuonò Garibo2.

«Calma» rispose Machiave3. «Che sanno di noi? Non è cosa che ci riguardi.»

«Certo che ci riguarda, quelle povere bestie le abbiamo mandate noi, per incivilirli… ed ecco!» urlò Golo5, battendo un pugno di pelliccia nera sul tavolo. «Questa è un’offesa, rivolta in particolare a noi, della Città dei Gatti Neri!»

«Ma non possiamo interferire…» azzardò Gandhio3.

«Mandiamo un Messaggero…»

«Figurati… vogliamo che finisca come il nostro Giordano Bruno? E, poi, quest’orrore è stato organizzato da un capo religioso terrestre» disse un altro pacifista. «Si chiama Inquisizione. E voi sapete che, per il nostro Statuto… non dobbiamo interferire: sarebbe peggio.»

«Lo so, lo so. Ma non possiamo nemmeno stare a guardare. Insomma… ne va del nostro onore, sapete anche voi che i cathuriani neri sono la nostra élite!»

«Ebbene, possiamo mandare un Messaggero di forma non-terrestre.»

«Ma come?»

«Come?! A forma di gatto! E con ampi poteri! Che faccia pressioni su un capo importante… un Re, per esempio.»

«Ma se bruciano i gatti neri…!»

«Non questo gatto, perché sarà telepatico, dotato di ampi poteri e guidato da noi.»

«Ma lo Statuto vieta l’uso di tali metodi» disse Adreot6.

«Il fine giustifica i mezzi» rispose Machiave8. «È l’unica soluzione, non possiamo tollerare in nessun modo quel che sta accadendo; in fondo, i gatti terrestri li abbiamo mandati noi, ne siamo responsabili!»

«Dunque?»

«Dunque… ecco qua!»

D’un tratto, apparve un cono di luce entro il quale stava uno splendido gatto nero, con gli occhi come cristalli.

«Lo manderemo presso un potente di Terra. Un Re! Vediamo un po’… sono quattro secoli che regna la sua dinastia… siamo appena in tempo. Ecco: ci vuole un Paese fondamentalmente laico e acculturato. La Francia!»

 

Un bel giorno del 1774, passeggiando per gli splendidi giardini di Versailles, Luigi XV di Francia vide venirgli incontro, come sbucato dal nulla, un magnifico micio nero.

«Parbleu!» esclamò. «Un gatto, qui… alla reggia! E nero! Chi ha osato… lo si cacci subito! Se lo vede l’arcivescovo, mio ospite… via, via!»

Il gatto lo guardò. Dagli occhi d’ametista uscivano raggi invisibili.

«Però» disse il re, carezzandosi il mento. «È troppo bello, troppo…»

Il gatto gli andò incontro.

«Ma sì… che m’importa del vescovo… sono o non sono il Re di Francia?»

Il gatto gli saltò in braccio.

E da quel giorno Chat Noir Premier, cui sarebbero seguiti molti altri, divenne il beniamino della Reggia, tanto che, quando morì, fu coniata in suo onore una medaglia d’oro, con un profilo felino e la scritta: Chat Noir Premier – sapendo a chi piaccio so quel che valgo. Un motto regale!

Ovviamente da allora furono proibiti i sacrifici dei gatti, che divennero i numi tutelari di tutte le Corti Europee. Con l’arrivo degli Illuministi, tutti gattofili, l’incubo finì. Missione compiuta!

Da allora ai gatti fu ridato il posto che spettava loro, tanto che autorevoli terrestri come George Bernard Shaw e Gandhi proclamarono che amarli e rispettarli fosse una patente di civiltà.

Ma non era finita lì. Le maggiori autorità cathuriane stabilirono che Terra aveva fatto un passo avanti per essere accolta fra i pianeti civili. Dunque bisognava mandare un segno di apprezzamento. Un premio.

Così, il Presidente della Città dei Gatti Neri, nella riunione post-missione, proclamò che, a decisione unanime, sarebbero stati svelati ai terrestri alcuni aspetti dei pianeti dell’Universo e dei loro abitanti – cosa che, autonomamente, non sarebbero riusciti a fare per molti millenni. A tal fine, occorreva un artista solitario e un altro gatto nero provvisto di poteri speciali.

 

Fu così che, un giorno del 1906, a Providence, nel Rhode Island, un uomo allampanato e nevrotico, che viveva solo e nullafacente da alcuni anni nella casa avita, vide sbucare da un archivolto – in realtà, un altro Star Trek – un magnifico felino nero, che lo salutò cordialmente con un roco Jau… uuu…

Quell’uomo amava i gatti e aveva una mente predisposta all’ipnosi e alla telepatia. Lo carezzò, chiamandolo Old Man. Il gatto gli trasmise le visioni di alcune zone dell’Universo. L’uomo recepì, sognandole la notte, capendo immediatamente come gli stesse succedendo qualcosa di eccezionale. Lo scrisse in seguito a un amico: «Di notte, quando la luce elettrica illuminava la strada, lo spazio all’interno del passaggio rimaneva in una fitta oscurità, tanto da sembrare l’imboccatura di un abisso sconfinato o l’ingresso di qualche dimensione senza nome. E là, come se stazionasse a mo’ di guardiano degli insondati misteri oltre l’archivolto, si accovacciava la forma incredibilmente antica di Old Man, simile a una sfinge dagli occhi gialli e nera come l’ebano».

E il suo piccolo amico, incontrandolo ogni giorno per ventidue anni, continuò a mandargli immagini che all’inizio lo spiazzarono, tanto che scrisse: «Vedere apparentemente con gli occhi reali panorami incredibili come quelli che vedo io, vale quanto una esperienza bizzarra, fantastica e ultraterrena […]. Davvero, ho viaggiato in luoghi strani, che non sono su questa terra né su alcun pianeta conosciuto».

Quell’uomo, di nome Howard Phillips Lovecraft, divenne il più grande scrittore del fantastico: le sue visioni notturne andarono ad arricchire libri straordinari, contenenti i pianeti più strani, con abitanti ancora più bizzarri e, spesso, spaventevoli. E questo accadde ogni notte, per quarantun anni, anche dopo che Old Man rientrò nello Star Trek, continuando a seguirlo nel paranormale. Cosa che Lovecraft sapeva, tanto che scrisse: «L’ho sognato, e ancor prima ho sognato i misteri del passaggio a volta; ma ora comincia ad accadermi con raddoppiata lividezza. Mi faceva le feste nel sogno su una spettrale Thomas Street, e mi osservava con gialli, vecchi occhi che parlavano di segreti più antichi dell’Egitto o dell’Atlantide. E miagolava un invito perché lo seguissi attraverso l’archivolto oltre cui si trova l’oscurità senza riverberi dell’abisso. In nessun sogno fatto fino ad oggi l’ho seguito, ma mi sono chiesto spesso cosa accadrebbe se lo facessi… in tal caso, mi risveglierei ancora in questo mondo tridimensionale?».

L’Umanità ebbe dunque un dono meraviglioso, senza dover costruire nessun apparecchio cosmico, ma, come al solito, capì poco o nulla, considerando lo scrittore un pazzoide e lasciandolo morire in miseria per poi, tanto per cambiare, riabilitarlo post mortem, pur considerando le sue visioni solo delle fantasie geniali.

Ma lui, un anno prima di morire, ricevette un dono profetico: la visione della Città dei Gatti Neri. Scrisse, infatti: «Il mio sogno sulla Città dei Gatti Neri era molto frammentario. La città era costruita in pietra ed era abbarbicata alla parete di un dirupo […]. Sembrava fosse stata costruita da e per esseri umani vissuti eoni prima, ma i suoi attuali abitanti felini vi risiedevano palesemente da secoli».

Ed era là, sotto i raggi di una stella blu, che egli era atteso (2).

 

  1. NGC 6334, chiamata anche Zampa di Gatto nei cataloghi degli astrofili per la sua forma curiosa.
  2. Le precedenti citazioni sono tratte da Howard Phillips Lovecraft, Il libro dei gatti, a cura di Gianfranco de Turris e Claudio de Nardi, con la collaborazione di Pietro Guarriello, prefazione di Marina Alberghini, Il Cerchio, Rimini 2012.

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