Esordi sperimentali. Mediometraggi e corti eversivi

Claudio Bartolini
Antonio Bido n. 11/2019
Esordi sperimentali. Mediometraggi e corti eversivi

 

 

Padova, 1968. Terminato il liceo, Antonio Bido si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università cittadina. Sebbene il piano di studi lo stimoli e affascini, il cinema ha già da tempo catalizzato e monopolizzato la sua attenzione. Dai tredici ai diciassette anni si è infatti divertito a prendere confidenza con la macchina da presa realizzando cortometraggi a soggetto in 8 mm (da Le avventure di Tom Sawyer a Giorno per giorno). È proprio nel 1968, tuttavia, che inizia il vero e proprio percorso di esplorazione del mezzo espressivo. Sotto l’egida del Cineclub FEDIC Padova, il quasi ventenne Bido scrive, dirige, fotografa e monta Dimensioni, mediometraggio in 8 mm dalla natura sperimentale ed eversiva.

L’ambizione è autoriale, come da moda coeva. L’istinto è politico, come da copione sessantottino. Il linguaggio è di rottura, come da lezione vertoviana (o godardiana, allo spettatore la libera scelta). «Abbandonate le illusioni. Preparatevi alla lotta»: la voce in apertura dà inizio a un pamphlet destrutturante e destrutturato, guidato da monologhi e letture sui princìpi del comunismo (e del comunista) ideale che fungono da unico filo conduttore nella sequela di scene a tema. Dalla critica anti-cattolica (la rivisitazione del processo a Gesù, la confutazione dei dogmi ecclesiastici) a quella anti-capitalista (l’arrivo di un treno sul modello Lumière apre la strada a editing forsennati sull’impersonalità della vita moderna), il film procede per montaggi ripetuti e delle attrazioni, studi sullo zoom e sulle sovrapposizioni d’immagini, alternanze tra colore e bianco/nero. È la palestra di Antonio Bido, che mette a punto il suo rapporto con lessico e sintassi cinematografiche impattando anche grazie a una pregnanza tematica davvero à la page.

Dimensioni viene realizzato tra il 1968 e il 1970 e vince, tra gli altri, il primo premio al prestigioso Festival di Montecatini. È invece tra il 1970 e il 1971 che il giovane autore confezionaAlieno da, mediometraggio in 16 mm – e in un bianco/nero programmaticamente pregno di grana, per ottenere la quale Bido utilizza spesso pellicola scaduta – nel quale l’approccio radicale dei contenuti d’esordio sfuma in un disilluso bilancio della contestazione. Aperto da un prologo in cui due personaggi – uno dei quali interpretato da Gianfranco Bullo, futuro feticcio del cinema bidiano – si annunciano come Giacomo Leopardi e Bertold Brecht, dando vita a uno scontro tra «cristallo-luce» e «ferro-notte» in cui a prevalere è la seconda figura, Alieno da offre un compendio di sperimentazione a largo spettro tra cumuli di macerie di edifici, sfasciacarrozze e autobus in disuso. Gli studi sul fuori fuoco e gli obiettivi deformanti – contrappunti agli strania(n)ti andirivieni del protagonista – fanno il pari con quelli su sovrimpressioni e stacchi sull’asse, mentre le voci si mescolano a canti e rumori distorti. Da questo manuale astratto di ideologia politica escono prepotentemente tre comparti tematici. In primo luogo quello anti-bellico, decrittabile nella scena in cui il personaggio principale spara ai due profeti della guerra al termine di dialoghi confusi – nei quali le parole dei “santoni” si mescolano a rumori di fondo che, in un certo senso, anticipano quelli contenuti nei nastri di Il gatto dagli occhi di giada (1977) – salvo poi ascoltare le tesi (questa volta prive di disturbi) del profeta comunista e abbracciarlo con trasporto. Segue la video-riflessione legata alla liberazione sessuale, nel segmento in cui una ragazza completamente nuda uccide una donna vestita per poi avvicinarsi “vampirescamente” al protagonista, in un montaggio forsennato di primissimi piani su capezzoli e vagina che non concede tregua. Infine, la messa in scena della realizzazione di un’opera d’arte moderna (il pittore dipinge su un muro, per poi scagliarvi contro i barattoli di vernice tra invettive e urla disperate) spalanca il baratro nel quale sprofonda l’epilogo, nichilista e pessimista apologo del fallimento chiuso da una constatazione lapidaria: «Ho cercato di chiamarvi compagni, ma nessuno ha risposto».

Anche Alieno da si aggiudica il primo premio a Montecatini e viene invitato alle principali rassegne nazionali e internazionali di cinema sperimentale, confermando il talento tecnico ed espressivo di un giovane cineasta dal sicuro avvenire.

Prima del grande salto nel cinema professionale, però, Bido realizza sempre in proprio – e sempre “presentato dal” Cineclub FEDIC Padova – alcuni interessanti cortometraggi. Tra questi, è utile considerare almeno i due titoli datati 1972: Moto perpetuo e Da riprendere. Il primo è un interessante e tambureggiante videoclip ante litteram, girato in formato 8 mm e montato secondo un libero flusso di coscienza. Sorretto dall’omonima partitura di Niccolò Paganini, è un esempio di astrattismo videomusicale che affastella in rapide sequenze immagini relative al compositore (ritratto, spartito, strumenti, vinile) e alla sfera erotica (nudi femminili, manichini con violino), veicolando una stretta correlazione tra i due campi semantici. Da riprendere, invece, è il j’accuse contro l’establishment cinematografico compiuto da un giovane e rampante autore outsider. «Il cinema è governato da rapporti di rigida gerarchia, il che porta inevitabilmente alla strumentalizzazione dei suoi oggetti»: le parole scritte sui cartelli di apertura introducono a nove minuti di metacinema in formato Super8 e camera fissa, in cui un regista (interpretato dallo stesso Bido) brutalizza la truccatrice alla ricerca del perfetto make-up per la sua protagonista. Infine, al termine del serrato siparietto schiavista, strangola proprio l’attrice, rea di non essersi concessa a un’inquadratura in nudo integrale. La tesi è lampante, eloquente, elementare. La foga è tanta, persino sovrabbondante, espressa in momenti di espressionismo recitativo che sfociano ripetutamente nella comicità slapstick.

Bido è pronto, e ora cerca di farsi strada proprio in quel cinema «governato da rapporti di rigida gerarchia» con cui più volte dovrà battagliare per ottenere l’agognata libertà creativa (provvisoria e/o condizionale). Il suo primo lungometraggio da regista uscirà nelle sale nel 1977 – dopo qualche anno speso ad affinare il mestiere nei documentari – ma certi germogli di Il gatto dagli occhi di giada erano già realtà in Da riprendere: nel corto, durante lo strangolamento della (meta)attrice, risuona come un mònito il Dies Irae di Giuseppe Verdi, lo stesso che accompagnerà l’omicidio in vasca di Giovanni Bozzi (Fernando Cerulli) in un delitto consegnato all’antologia del giallo-thriller italiano.

 

 

CAST & CREDITS

 

DIMENSIONI

Regia: Antonio Bido; soggetto: Antonio Bido; sceneggiatura: Antonio Bido; fotografia: Antonio Bido; montaggio: Antonio Bido; sincronizzazione: Roberto Moyoli;interpreti: F. Crispo, G. Giuliano, A. Andretta, P. Felletti, U. Carcò, L. Bettiol, N. Bertaggia, S. Lironi, F. Bellavere;origine: Italia, 1968-1970;durata: 52’.

ALIENO DA

Regia: Antonio Bido; soggetto: Antonio Bido; sceneggiatura: Antonio Bido; fotografia: Antonio Bido; scenografia: Dario Gobbo; trucco: Vezia Manfrin; montaggio: Antonio Bido; sonorizzazione: Roberto Moyoli;interpreti: G. Gallimberti, L. Rizzato, G. Bullo, M. Fazzi, V. Rossoni, N. Bertaggia, E. Tosato, S. Agius, P. Revoltella, N. Scolari, S. Toffanin;origine: Italia, 1970-1971; durata: 45’.

MOTO PERPETUO

Realizzazione: Antonio Bido; origine: Italia, 1972; durata: 4’.

DA RIPRENDERE

Realizzazione: Antonio Bido; interpreti: M. Fazzi, V. Manfrin, A. Bido;origine: Italia, 1972; durata: 9’.

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