Gherasim Luca: «Come uscirne senza uscire»

Radu Motoca
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Gherasim Luca: «Come uscirne senza uscire»

Comment s’en sortir sans sortir è il titolo di un film realizzato nel 1989 da Raoul Sangla, il cui protagonista performa, o meglio “balbetta”, le proprie poesie. Nel filmato – commenta André Velter – vediamo un piccolo uomo vestito di nero, che si muove come fosse una nota su un pentagramma o un carattere di stampa su una grande pagina bianca. Con perfetta sobrietà, il regista riesce a dischiudere una dimensione magica, a catturare e trasmettere una sequenza d’istanti, in una fusione quasi alchemica. Il personaggio si muove appena, abbozza una danza immobile che lo costringe in bilico su uno strapiombo, le sue parole sembrano appoggiarsi su di lui senza mai cadere. La partecipazione vocale, psichica e muscolare è totale – a cercare di posarsi sul vuoto è solo una funambolica mano sinistra. L’attenzione si concentra sulla semplice azione del dire: eppure è una dizione particolare, che srotola con accento romeno le parole in francese, fino a gioire di questa singolare arte del raptus e lasciarsi coinvolgere dal suo spasmo recitativo1.

Protagonista del filmato è il poeta Gherasim Luca. Nato a Bucarest nel 1913, si forma nell’effervescente clima culturale della capitale interbellica – un vero laboratorio, che André Breton proclamò capitale del surrealismo, in luogo di Parigi. È la stessa Bucarest nella quale, nel 1912, Tristan Tzara avrebbe pubblicato con un gruppo di amici la rivista «Il Simbolo», per poi giungere a Zurigo, culla del movimento dadaista. Ma è, d’altra parte, anche il periodo che vede nascere – o meglio, insorgere – l’antisemitismo. Dopo il trattato di pace di Trianon, il Paese ingloba la Transilvania: il sogno di una Grande Romania viene così realizzato. Sulla scia dei padri della patria s’instaura un clima di ricerca dell’identità nazionale, concepita all’interno di una categoria etnica nella quale gli “stranieri” sono visti appunto come estranei a quell’essere romeno inteso, anche se con sfumature diverse, in accordo con quella linea che da Eminescu conduce a Nae Ionescu e a Nicolae Iorga. Nato in una famiglia di ebrei liberali, Gherasim Luca – il cui vero nome è Salman Locker – oltre allo yiddish e al romeno impara ben presto francese e tedesco. Il cambio del nome, come nel caso del suo compatriota e amico Paul Celan (nato Paul Pessach Antschel) non ha finalità “mimetiche” ma piuttosto anti-edipiche, sostituendo all’eredità biologica la forza della creazione.

Il surrealismo aveva come nota dominante la rivolta, e Luca non si ribella solo alla sua stessa famiglia e all’antisemitismo dell’epoca: il suo rifiuto è rivolto alla società in generale. Abbandona dapprima la facoltà di chimica a Bucarest, poi gli studi di filosofia a Parigi – infine, scegliendo il suicidio, farà lo stesso con la vita. Eppure, a ben vedere, questo gesto non è un commiato rivolto alla vita ma alla morte stessa – se con essa non intendiamo altro che il timore di morire. Abbandonando la vita, insomma, il poeta sconfigge la paura della morte, emancipandosene.

È questo stesso spirito di rivolta ad animare la sua partecipazione alla fondazione di due riviste – di cui non escono che numeri unici – con nomi a dir poco “ribelli”: «Pula» (Cazzo, 1931) e «Muci» (Mocci, 1932). Nel periodo che va dal 1939 al 1946, insieme a Dolfi Trost, Gelu Naum e Virgil Teodorescu, è a capo di un consistente gruppo surrealista, il cui manifesto (intitolato La dialettica della dialettica) si propone di rivoluzionare il surrealismo stesso, i cui “canoni” sono diventati ormai troppo stretti, quando richiederebbero invece uno stato continuamente rivoluzionario, il quale «non può essere mantenuto e sviluppato se non assumendo una posizione dialettica di permanente negazione e di negazione della negazione, una posizione della più ampia estensione immaginabile, verso tutti e tutto» (1). Il rischio del surrealismo è lo scadimento nella ripetizione meccanica, un certo manierismo e, soprattutto, lo spegnimento della sua vitalità. Il programma del manifesto afferma come «la necessità di scoprire quell’amore che può rovesciare senza sosta gli ostacoli naturali e sociali ci conduca verso una posizione non-edipica». Fedele allo spirito di rivolta, il poeta rifiuterà tutti i limiti, giungendo persino a rigettare quello che all’epoca (soprattutto in seno al movimento surrealista) sembrava l’elemento psicanalitico più intrigante, vale a dire il complesso di Edipo. Da qui, la nascita del concetto di Anti-Edipo. Una lettera a Sarane Alexandrian contiene una spiegazione esaustiva di questo principio: «La lotta mitica tra la libertà e il suo contrario si svolge oggi tra Edipo e Non-Edipo. La vita edipica invivibile, descritta con ferocia ma anche con esattezza dai sistemi (marxismo, freudismo, esistenzialismo e naturalismo), deve essere superata in modo folle attraverso uno salto formidabile in una specie di vita nella vita, di amore nell’amore, indescrivibile, indiscernibile e irriducibile al linguaggio dei sistemi. Parlo della vita e dell’amore non-edipici (raggiungibili attraverso il comportamento surrealista, se portato alle sue estreme conseguenze), cioè di negazione assoluta del cordone ombelicale nostalgico e regressivo, sorgente lontana della nostra ambivalenza e infelicità» (2).

Come la maggior parte dei surrealisti, anche Luca e i suoi amici simpatizzano per il comunismo, soprattutto in virtù del suo messaggio rivoluzionario e antiborghese, nonché per la sua volontà di trasformazione e distruzione. Eppure, ad onta di queste simpatie, l’“uomo nuovo” del comunismo si mostrerà fin troppo realista e il nuovo ordine sociale spingerà Luca a scegliere l’esilio, sempre in segno di protesta, prima in Israele, nel 1952, e poi – a partire dal 1953 – a Parigi. Qui sceglierà definitivamente la lingua del surrealismo, abbandonando il romeno, in cui aveva scritto buona parte della propria produzione poetica giovanile.

Il rapporto particolare di Luca con la lingua e il linguaggio è diventato argomento di studi letterari e filosofici. Il suo parlare poetico – assai evidente quando recita – è infatti un balbettio che implica una partecipazione fisica totale, nascendo da un quesito fondamentale: come dire l’indicibile? Scrive Laurent Mourey: «Balbettando o facendo balbettare, Luca inserisce nel noto tracce di ignoto. Il balbettio incarna un certo sapere – in Luca, è una strategia filosofica. Perciò Luca non è un malato del linguaggio» (3). A differenza della poesia “bianca” ed ermetica del suo amico Celan, la sua è stata chiamata sonora, poiché delega al suono la funzione di testimonianza dell’indicibile. Le parole evocate non hanno altra funzione se non quella di lasciarne intravedere altre che non si lasciano dire, né incarnare. È per questo motivo che spesso si è parlato di Luca come di un autore travagliato dall’incarnazione, da un lato, e dalla sua impossibilità, dall’altro – aspetto che si evince, ad esempio, dalla poesia Prendre corps [Prendere corpo] (1969). Nella sua libertà dalla discorsività tradizionale, la poesia sonora è a sua volta non-edipica, ma il suo balbettare è anche in contrasto col dettato automatico, così caro ai surrealisti.

Il riconoscimento tardivo di Luca deve senz’altro molto alle parole del filosofo francese Gilles Deleuze il quale, nel suo Dialogues (1977), lo inserì nel novero dei più grandi letterati del Novecento (nel 1972, lo stesso filosofo aveva peraltro pubblicato, insieme allo psicanalista Felix Guattari, un libro intitolato Anti-Edipo). Deleuze scrisse a Luca: «Lei dà alla poesia una vita, una forza e un rigore pari solo ai più grandi poeti. Appartiene proprio a questa schiera. Provo un’ammirazione e un rispetto per il suo genio e, ogni volta che la ascolto o leggo, è una scoperta assoluta. […] Della sua opera, a colpirmi sempre più è la potenza di una logica singolare, che muove ogni poema» (4).

La maggioranza degli esegeti si è soffermata sul poema Passionnément, scritto a Bucarest nel 1947, in francese (5). Lo stesso Deleuze, nel suo Critique et clinique del 1993, ne parla in modo eclatante, dichiarando la propria ammirazione per il poeta: insieme a Beckett e Kafka, secondo Deleuze Luca è l’esempio più evidente di come il linguaggio riveli le proprie potenzialità nel momento in cui ci si trova a essere come uno straniero nella propria lingua. Scrive infatti: «Se la parola di Gherasim Luca è cosi eminentemente poetica, è perché fa del balbettio un affetto della lingua e non un’affezione della parola. È tutta la lingua a scorrere e variare per liberare un blocco sonoro ultimo, un solo soffio al limite del grido Ti amo appassionatamente» (6). Quello che usualmente viene interpretato come un semplice gesto nella poesia sonora diventa invece genesi del linguaggio e, al contempo, del soggetto – il quale sorge fenomenologicamente, messo alla prova, per così dire, nella sua auto-affezione.

Incarnarsi, esprimersi ed esistere furono le ossessioni e, contemporaneamente, le condanne di Gherasim Luca: «Rifiuto di esistere… rifiuto di esistere» mormorava, camminando per le vie di Parigi. Una nota, lasciata su un tavolo in occasione del suo quinto tentativo di suicidio, recita: «Se è vero, come pretendono, che dopo la morte l’uomo prosegue un’esistenza fantomatica, te lo farò sapere. Se non darò alcun segno di “vita” per un mese, sappi che moriamo come marcisce una cipolla, una sedia o un capello. Mi suicido per disgusto».

Come scrisse nella Morte morta, nel commiato dalla vita il poeta vedeva una necessità, una «valvola per la disperazione, una risposta di amore e odio, un prolungamento del mio essere all’interno delle proprie contraddizioni». Eppure, misteriosamente, anche dopo la morte Gherasim Luca ci offre segni di vita indiscutibili.

 

  1. André Veter, Gherasim Luca Passio passionnément, Parigi 2001, pp. 17-18. Il filmato è disponibile, nella sua interezza, sul sito internet www.youtube.com.
  2. Sarane Alexandrian, L’evolution de Gherasim Luca à Paris, Bucarest 2006, p. 35. Le traduzioni in italiano, dove non diversamente indicato, sono nostre.
  3. Laurent Mourey, Gherasim Luca: la poétique contre la métaphisique, in Avec Gherasim Luca passionnément, Saint-Benoît-du-Sault 2005, p. 18.
  4. Cit. in Giovanni Rotiroti, “Non-Edipo”: l’implacabile passione di Gherasim Luca, in «Orizzonti culturali italo-romeni», aprile 2012.
  5. La scelta di questa lingua a discapito del romeno era peraltro già stata compiuta nel 1945, con il poema Le vampire passif.
  6. Gilles Deleuze, Critique et Clinique, Parigi 1993, p. 139.

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