Intervista a S. T. Joshi: «Il Maestro del cosmicismo»

Andrea Scarabelli
H.P. Lovecraft #2 – L’orrore cosmico del Maestro di Providence n. 8/2014
Intervista a S. T. Joshi: «Il Maestro del cosmicismo»

S. T. Joshi (1958) è il maggior studioso americano di Lovecraft, del quale si occupa da oltre trent’anni. Ha curato l’edizione, per così dire, “definitiva” della narrativa lovecraftiana, uscita in cinque volumi per i tipi della Arkham House tra il 1984 e il 1995 e recentemente pubblicata in edizione critica per Penguin (costituendo, peraltro, la base dell’edizione Mondadori di tutti i racconti lovecraftiani, scelta come riferimento del presente numero di «Antarès»). La sua biografia di Lovecraft, uscita per la Necronomicon Press nel 1996, è stata ristampata, in una versione estesa e aggiornata, con il titolo di I am Providence: the life and times of H.P. Lovecraft (2 voll., Hippocampus Press, New York 2010). Tra i suoi svariati lavori dedicati al Solitario di Providence ricordiamo H. P. Lovecraft: four decades of criticism (Ohio University Press, Athens 1980), H. P. Lovecraft: the decline of the West (Starmont House, Mercer Island 1990), A subtler magick: the writings and philosophy of H.P. Lovecraft (Wildside Press, Berkeley Heights 1996), An H. P. Lovecraft encyclopedia (Greenwood Press, Westport 2001), Primal sources: essays on H.P. Lovecraft (Hippocampus Press, New York 2003), The rise and fall of the Cthulhu mythos (Mythos Books, s. d. 2008) e H. P. Lovecraft and Lovecraft criticism: an annotated bibliography (Kent State University Press, Kent 1981; ed. riv. e ampl.: 2009). Ha diretto il periodico «Lovecraft Studies», interamente dedicato al Maestro del New England, e cura i volumi dei «Lovecraft Annual», editi dal 2007 da Hippocampus Press, per la quale ha anche curato, in collaborazione con il collega David E. Schultz, diversi volumi di lettere e saggi lovecraftiani. Nel 2015 uscirà, sempre per la Hippocampus Press, la sua più recente fatica: H. P. Lovecraft’s collected fiction: a variorum edition, un’opera monumentale, in quattro volumi, che compendia decenni di ricerche svolte sui testi lovecraftiani, completati con tutte le variazioni testuali approntate dallo scrittore nel corso del tempo. Il risultato è l’opus magnum della narrativa di Lovecraft, un’edizione che sostituirà tutte le altre e rimarrà l’opera canonica e definitiva dello scrittore di Providence.

 

Le sue ricerche sono assai preziose, tanto per coloro che approcciano per la prima volta il mondo di Howard Phillips Lovecraft quanto per gli studiosi che si addentrano nei meandri del suo pensiero più in profondità. Come mai si è assegnato un compito così arduo, affrontando l’universo lovecraftiano in svariate pubblicazioni?

Quando, nel 1975, appena diciassettenne, mi addentrai per la prima volta nel mondo degli studiosi di Lovecraft, non ero del tutto consapevole di quanto poco seriamente fossero state condotte allora le ricerche intorno a quest’autore. Alcuni studiosi amatoriali (i cosiddetti fans) avevano svolto un buon lavoro, ma restava ancora molto da fare. Il mio obiettivo principale era anzitutto restituire dignità alla figura di Lovecraft, facendola entrare nel mondo accademico: pensavo che, se ci fossi riuscito, molti altri studiosi avrebbero potuto contribuire alle ricerche. Credo di aver raggiunto questo obiettivo con il mio primo libro, H. P. Lovecraft: four decades of criticism (1980). Quasi contemporaneamente, mi fu chiesto di preparare una biografia di Lovecraft che fosse la più esaustiva possibile: quest’altro libro apparve nel 1982.

Certo, a facilitarmi molto fu la mia frequentazione studentesca della Brown University, tra il 1976 e il 1980. Fu lì che, quasi per caso, cominciai a esaminare i manoscritti di Lovecraft: scoprii centinaia di errori nelle edizioni di allora della sua narrativa, pubblicate per i tipi della Arkham House. Ci avrei messo anni per approntare delle versioni corrette di queste storie, così come di altre opere (saggistica, poesia, epistolari…).

Potremmo forse dire che un progetto tirò l’altro: inizialmente non avevo intenzione di affrontare un campo di studi così ampio, che coinvolgeva Lovecraft nella sua dimensione umana, narrativa e intellettuale, ma poiché, di fatto, continuavo ad accumulare informazioni su informazioni, era diventato praticamente inevitabile estendere il mio approccio su Lovecraft, per accedere a molte regioni del suo universo mai studiate prima. Allo stesso tempo, tuttavia, era mia intenzione incoraggiare altri studiosi a contribuire a quest’opera: fu così che fondai la rivista «Lovecraft Studies» (attualmente sostituita da «Lovecraft Annual»). D’altra parte, l’attività degli studiosi deve essere all’insegna della collaborazione, e son sempre felice di mettere a disposizione e condividere le mie ricerche con altri che possano farne buon uso.

 

La sua biografia di Lovecraft è la più documentata esistente. Quali sono le difficoltà connesse a ricerche di questo tipo sul Solitario di Providence?

Nell’ambito delle ricerche biografiche, un evento fondamentale fu la pubblicazione, nel 1975, del volume di Lyon Sprague de Camp, Lovecraft: A Biography. Pur contenendo più materiale sulla vita di Lovecraft di qualsiasi altro uscito prima, fu subito criticato per via dei molteplici errori, una scarna visione di Lovecraft (non vi era praticamente traccia di discussione sulla sua filosofia), le continue allusioni al suo razzismo e la definizione, impettita e professorale, di Lovecraft come uno “scrittore dilettante”. Per anni sperai che qualcun altro si assumesse il compito di scriverne una nuova. Sennonché, ai primi degli anni Novanta, compresi che nessuno l’avrebbe fatto e realizzai di essere nelle condizioni di scriverne una ben più ampia rispetto a quella di Sprague de Camp.

Ciò che m’interessava non era la mera registrazione degli episodi della vita di Lovecraft e l’elenco delle sue opere, ma la sua collocazione all’interno di una prospettiva storica – da un punto di vista intellettuale, socio-politico e culturale. Il che richiedeva considerevoli conoscenze su quel periodo storico (avevo già svolto parte del lavoro, d’altro canto, per il mio H. P. Lovecraft: the decline of the West).

 

In questa “archeologia lovecraftiana”, qual è il ruolo svolto dalle molte lettere scritte dall’autore?

Fu proprio per essere sicuro che i dettagli della vita di Lovecraft fossero registrati accuratamente che decisi di visionare molte più missive rispetto a quelle consultate da Sprague de Camp. Certo, se consideriamo queste lettere come prove, emergono diverse difficoltà: quanto i giudizi che Lovecraft dà su se stesso sono fedeli alla realtà? In molti casi, infatti, non siamo in grado di verificare e comprovare quanto Lovecraft racconta della sua giovinezza, poiché non ci sono documenti né testimonianze corroboranti.

Penso, tuttavia, vi siano buone ragioni per credere che Lovecraft sia stato fondamentalmente onesto riportando gli eventi accaduti durante la sua vita. Sono pochi i casi in cui è stato impreciso, se non addirittura ingannevole (e possiamo pensare che abbia avuto le sue buone ragioni nel farlo). Ecco perché credo sia possibile prendere Lovecraft in parola.

 

Torniamo sulle imprecisioni che si trovò a rilevare nei volumi pubblicati allora. Lei ha sempre lavorato seguendo i manoscritti lovecraftiani originali, firmando e licenziando edizioni filologicamente assai curate…

Il mio primo esame dei manoscritti lovecraftiani fu una vera e propria rivelazione. Cominciai con Le montagne della follia, del 1931, scoprendo più di millecinquecento errori nell’edizione data alle stampe dalla Arkham House (At the mountains of madness and other novels, del 1964).

Restava da capire il perché di tutti questi errori. Scoprii allora che la stampa del volume avvenne con mezzi assai poveri e che della storia venne ripresa la prima – e unica – versione, pubblicata sulle colonne di «Astounding Stories» (febbraio/marzo/aprile 1936). Lovecraft, tuttavia, preparò delle versioni “corrette” di queste storie, annotando di proprio pugno le modifiche sulle sue copie della rivista; ma è chiaro che non corresse tutti gli errori – semplicemente, ce n’erano troppi. Ebbene, la Arkham House utilizzò queste copie, per così dire, “corrette”, ma molti errori furono destinati a rimanere. Sono stato il primo a utilizzare i manoscritti autografi di Lovecraft come punto di partenza.

 

Un modus operandi che deve aver mutato l’immagine lovecraftiana del tempo…

Certamente. L’impressione generale che ricaviamo dalla lettura dei testi corretti ci mostra un autore straordinariamente preciso in tutti gli aspetti della sua scrittura – la costruzione delle storie, la struttura dei periodi, lo stile, la sintassi e via dicendo. Il luogo comune di uno “scrittore con il piccone”, intento a ideare storie per riviste pulp a buon mercato, è distrutto per sempre. Le sue lettere ci mostrano un autore serio che aveva molte cose da dire come scrittore, e i testi corretti ci permettono di raggiungere una comprensione esatta e globale dei suoi intenti e dei suoi metodi narrativi.

 

Quali sono le varie correnti esegetiche che si sono sviluppate intorno alla figura di Howard Phillips Lovecraft? Quali, a suo giudizio, hanno prodotto i risultati più interessanti?

Per discutere di Lovecraft, sono state scelte differenti linee critiche, alcune delle quali hanno ovviamente riscosso più successo di altre. Troviamo analisi decostruzioniste (Donald R. Burleson, Lovecraft: disturbing the universe, del 1990), linguistiche e filosofiche (Timo Airaksinen, The philosophy of H. P. Lovecraft, pubblicato nel 1999) e diverse altre.

Credo che molto debba ancora essere compiuto nella direzione di quell’approccio filosofico che ho iniziato io: c’è molto lavoro da fare in questo ambito. A tal proposito, Lovecraft è stato recentemente utilizzato come base per quella che sembra essere una nuova corrente filosofica, il “realismo weird” (cfr. Graham Harman, Weird realism: Lovecraft and philosophy, del 2012). Ma non solo: rimarrebbe ancora da collegare gli eventi legati alla vita di Lovecraft e a quelli presenti nelle sue storie. Ad ogni modo, mi sento di dare il benvenuto a tutti quegli approcci che presentano genuinamente nuove prospettive nella vita e nelle opere lovecraftiane.

 

A proposito di approcci filosofici, Lei si è occupato dell’universo teoretico di Howard Phillips Lovecraft nel già menzionato HPL: the decline of the west, rilevando un collegamento assai forte tra la filosofia e la narrativa lovecraftiane…

Affrontai la stesura di questo libro nella persuasione che né il pensiero filosofico di Lovecraft (magistralmente espresso nelle lettere) né le sue implicazioni narrative fossero stati realmente compresi. Avendo ricevuto una buona preparazione filosofica – riguardo sia al pensiero antico sia a quello moderno – alla Brown e alla Princeton University, capii di essere in grado di intraprendere questo lavoro. Studiai il pensiero di Lovecraft in riferimento alle discipline filosofiche classiche, vale a dire metafisica, etica, epistemologia (sulla quale Lovecraft scrisse assai poco), estetica e politica.

Compresi, allora, come Lovecraft disponesse di un pensiero filosofico coerente e piuttosto complesso, sebbene non provvisto di molti elementi originali; le sue influenze principali non giungevano dai filosofi ottocenteschi, come qualcuno continua a sostenere, ma dai filosofi della scienza del diciannovesimo secolo (Darwin, Huxley, Nietzsche ed Ernst Haeckel) e da altri pensatori del Novecento, tra cui Bertrand Russell e George Santayana.

Trovai, inoltre, diversi collegamenti tra la sua filosofia e la sua narrativa. Ad esempio, fu il suo “materialismo meccanicista” a impedirgli di immaginare creature “immateriali” come i fantasmi – esseri, infatti, del tutto assenti nelle sue storie. Per quanto attiene alla politica, sempre per citare un esempio tra i tanti, la sua tardiva conversione al socialismo si riverberò nelle ultime storie: Le montagne della follia, del 1934, e L’ombra calata dal tempo, risalente all’anno successivo.

 

Come riassumerebbe la visione del mondo di Lovecraft?

La sua quintessenza è il “cosmicismo”, la percezione secondo cui l’universo è potenzialmente infinito, tanto nel tempo quanto nello spazio, e l’umanità è un evento del tutto insignificante al suo interno (gli uomini sono di certo importanti per loro stessi, ma non per il cosmo).

Da materialista, Lovecraft rinunciò da giovanissimo alle proprie credenze religiose per farsi difensore dell’ateismo. Ciononostante, nell’ambito dell’etica si sforzò di combattere quel senso d’insignificanza che potrebbe sopraffare chi decida di adottare questo “cosmicismo”, battendosi per i valori tradizionali, visti come l’unico baluardo contro l’irrilevanza cosmica. Questa visione delle cose non è del tutto solida, né Lovecraft la abbracciò del tutto coerentemente (egli stesso, nel corso della sua vita, si trovò ad abbandonare parecchi dei suoi valori tradizionali). Nel campo della politica, invece, optò per una significativa conversione, da un estremo conservatorismo giovanile a un moderato – e antimarxista – socialismo. Oltre a essere riccamente dettagliato e discusso – specialmente, nel corpus epistolare – il pensiero di Lovecraft è molto coinvolgente.

 

Lovecraft è ormai entrato nel pantheon dei classici del XX secolo. C’è qualcuno che si oppone ancora a questo processo? In nome di cosa?

Sono in molti a discutere tuttora della “canonizzazione” di Lovecraft, portata a termine con l’apparizione, nel 2005, di un volume di suoi racconti nella Library of America, collana che contiene i più importanti scrittori americani, simile alla Pléiade in Francia. Molti continuano a vedere in Lovecraft uno scrittore pulp, i cui lavori non trascendevano gli angusti limiti di riviste quali «Weird Tales» o «Astounding Stories»; sennonché, il fatto che le sue ultime storie – le stesse che oggi costituiscono i suoi più grandi contributi letterari – siano state respinte da queste medesime riviste dimostra, in fondo, quanto falso sia questo luogo comune.

Viene spesso attaccata anche la sua prosa, lussureggiante e ricca, che molti critici si ostinano a definire “verbosa”, se non addirittura “ridondante”. Nei fatti, il suo stile nasce dall’ammirevole fusione di precisione scientifica e prosa poetica, adattandosi perfettamente al tipo di narrativa “cosmica” che prediligeva. Molti dei critici che attaccano la prosa di Lovecraft credono tuttora che lo stile scarno e spiccio di Hemingway sia l’unico in grado di produrre buoni testi; sennonché, queste loro credenze sono state minate dalla prosa finemente intessuta di scrittori contemporanei quali Thomas Pynchon e Gore Vidal.

Infine, Lovecraft viene spesso attaccato per via del suo razzismo. Certo che era una razzista: ma questo elemento occupa uno spazio relativamente limitato all’interno del suo pensiero filosofico e ancora meno nella sua narrativa. Molti di coloro che se la prendono con lui in merito a ciò non compiono il minimo sforzo per comprendere quali siano le radici di questo suo pensiero (radici che affondano tanto nella sua formazione nel New England, all’insegna di un protestantesimo conservatore, quanto nella diffusione del razzismo nell’America della sua epoca). Usano il razzismo solo per criticarlo: infastiditi dal fatto che Lovecraft sia entrato nel canone letterario e dall’ampiezza della sua influenza, non perdono occasione per utilizzare la questione del razzismo al fine di denigrare uno scrittore che non apprezzano per altre ragioni.

 

In conclusione, quale degli aspetti connessi alla figura del Solitario di Providence dev’essere ancora approfondito? Quali linee di ricerca intorno al suo mondo debbono ancora essere percorse?

Anzitutto, stanno continuando le ricerche sui particolari della sua vita, che portano alla luce fatti piccoli ma interessanti. Credo che si debba fare ancora molto per contestualizzare Lovecraft all’interno del suo tempo e che, come già detto, un esame più dettagliato degli eventi – politici, socio-culturali, scientifici e così via – accaduti quando era vivo possa gettare luce su alcuni elementi della sua narrativa.

Peraltro, vi sono altre aree della sua opera – saggistica, poetica ed epistolare – che meritano di essere studiate nei minimi dettagli. È probabile che dedicherò i prossimi quindici o vent’anni della mia vita alla preparazione di venticinque volumi di sue lettere! Il materiale epistolare giunto fino a noi ammonta a un totale di circa quattro milioni di parole, pochissime delle quali sono state pubblicate. Ho ancora molto lavoro da fare!

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