Sogno dentro sogno dentro sogno

Luigi Sparti
Dylan Dog – Nostro orrore quotidiano n. 16/2020
Sogno dentro sogno dentro sogno

A parte «Little Nemo», è difficile trovare un fumetto dove i sogni giochino un ruolo più importante che in «Dylan Dog»: nelle sue indagini l’Old Boy viene spesso e volentieri aiutato dai sogni, che gli prefigurano il futuro o gli danno indizi per risolvere questo o quel caso. Egli vive inoltre in una perenne dimensione onirica, sovente fa fatica a distinguere sogno e realtà, spesso convincendosi di essersi sognato questa o quell’avventura – come in Morgana. Nel suo caso, poi, memoria e sogno si mescolano di frequente. Nel bellissimo Il lago nel cielo (n. 151), ad esempio, Tiziano Sclavi fa dire a Dylan: «Ma che cos’ho oggi? Sono strano, mi sento carico di ricordi, vecchio… ricordi… Tutti i documenti dei casi a cui ho lavorato, i miei appunti, le incredibili storie che ho scritto con la mia penna d’oca, e che nessuno ha mai pubblicato o letto, ma anche cose personali, ricordi di una vita di cui ricordo ben poco… E più vado indietro nel tempo, più cerco di tornare alla mia infanzia, più tutto si confonde fra realtà e sogno […] e questa sensazione di avere qualcosa in sospeso da tanto, troppo tempo, forse è questo che sto cercando, ma non so che cosa…»(1).

Questa caratteristica esistenziale di Dylan Dog, ben lungi da fare di lui un “caso da manicomio”, gli conferisce uno status privilegiato, quasi da iniziato, proprio perché il sogno non costituisce, nell’ottica sclaviana, un fenomeno esclusivamente interiore, ma è alla radice stessa della realtà. Nel medesimo episodio, una delle creature fiabesche incontrate da Dylan, un’“acquatica” – chiamata così perché respira e vive sott’acqua –, gli dice: «Sogno, realtà: perché voi umani li considerate sempre cose distinte? E perché non pensate che ci siano degli stadi intermedi? Riflessi della realtà, per esempio…».

Al che Dylan le chiede: «Avete detto che rapite i riflessi delle persone… Perché?».

Ecco la risposta dell’“acquatica”: «Anche gli uomini rubano le immagini delle fate, degli gnomi, dei folletti, degli spiriti, lo fanno per nutrire la loro immaginazione, le usano per le fiabe, i romanzi, i fumetti, i film. Noi siamo visioni della vostra fantasia, come voi della nostra»(2).

Nell’albo n. 73, Armageddon!, Chiaverotti raffigura una dimensione onirica che sembra confondersi con il mondo reale, e ciò non ha una valenza esclusivamente metaforica, anzi, sembra suggerire che la dimensione del sogno sia una realtà più profonda, di cui la realtà della veglia costituisce solo la superficie – tra l’altro, Dylan Dog fa sesso in sogno con una ragazza che gli lascia il proprio foulard, che lui si ritrova tra le mani al momento del risveglio. Sempre Chiaverotti, nell’albo n. 78 (I killer venuti dal buio), fa esporre a Wells una teoria sulla natura del mondo dei sogni: «Ho capito come fanno i sogni a materializzarsi, anzichenò! […] La soluzione è molto semplice: basta considerare il sogno come una vera e propria dimensione, un universo parallelo al nostro, nel quale si possono aprire dei varchi, come in tutti gli universi paralleli, d’altronde. E allora esseri di sogno o incubo, come il buon Freddie Kruger, possono finire nella realtà o viceversa, esseri reali possono oltrepassare i confini del sogno anche da svegli, senza accorgersi di aver superato il varco. E magari viaggiare nel tempo e nello spazio, che nei sogni non hanno limiti, e ritrovarsi nel futuro, o nel passato»(3).

In Notte senza fine (n. 104), Michelangelo La Neve fa vivere a Dylan l’ennesima avventura onirica, in cui traspare l’idea che il mondo dei sogni sia una sorta di dimensione collettiva nella quale le menti degli esseri umani si possono incontrare, e che il coma rappresenti una via d’accesso ad una realtà ulteriore in cui soggiornano sia i defunti sia le anime dei nascituri – curate da surreali infermiere con la testa di cicogna(4).

Sclavi e Chiaverotti sembrano riallacciarsi ad una concezione piuttosto antica – e carica di speculazioni filosofiche –, che cioè la vita sia un sogno, o il sogno costituisca una realtà più profonda rispetto a quella, noiosa e banale, con cui abbiamo a che fare ogni giorno.

Volendo, si potrebbe risalire fino agli aborigeni australiani; le tradizioni di questi popoli raccontano infatti che – come ben sanno i lettori di un’altra ottima serie Bonelli, «Martin Mystère» – prima della creazione del mondo vi fosse un’epoca chiamata tempo del sogno, in cui la realtà era ancora indifferenziata e ad abitarla c’erano solo entità totemiche. Tale tempo non è però confinato ad un passato mitico, ma costituisce una sorta di dimensione spirituale, alla quale si può accedere appunto in sogno. Come non ricordare poi Pedro Calderón de la Barca – nominato dallo stesso Dylan –, drammaturgo spagnolo del Seicento che compose la celebre opera teatrale La vita è sogno, nella quale l’esistenza viene vista come una vana illusione, un sogno destinato a svanire, o ancora come un teatro in cui gli attori cambiano ma i ruoli recitati rimangono gli stessi?

E così arriviamo a Jorge Luis Borges – citato già nel n. 7, La Zona del Crepuscolo –, che ha fatto di questo tema uno dei suoi punti di forza. Per non parlare di quello che Borges considerava il proprio maestro, Macedonio Fernández(5). Sconosciuto al grande pubblico, questo scrittore e pensatore argentino scrisse opere come Il museo del romanzo dell’Eterna e No toda es vigilia la de los ojos abiertos. Ossessionato dalla morte, si propose di sconfiggere tale paura coltivando una visione onirica dell’Essere; per lui tutta la realtà era in sostanza un sogno, così come lo era la distinzione tra i singoli enti – esseri umani inclusi. La morte, quindi, non era reale, né doveva essere temuta.

Sempre dall’America Latina arriva un altro interessante autore, lo psicoanalista Ignacio Matte Blanco; in maniera piuttosto originale, effettua una distinzione netta tra coscienza e mondo dell’inconscio, nel senso che la prima si baserebbe su una logica da lui definita «asimmetrica» – che lo studioso cileno identifica con la logica aristotelica –, mentre il secondo disporrebbe di una logica autonoma e peculiare, diversa da quella che regola la coscienza. Questa logica inconscia – definita «simmetrica» – non si basa sul principio di non contraddizione, e ci permettere di spiegare, tra l’altro, tutti gli eventi assurdi e surreali che viviamo in sogno (ribaltamento del rapporto causa-effetto, mutevolezza dell’identità personale, fluidità dello spazio, del tempo e della prospettiva)(6), consentendoci di comprendere anche delle avventure più oniriche vissute da Dylan Dog.

Nell’episodio n. 131, Quando cadono le stelle, Sclavi mescola abilmente la sua concezione onirica della realtà con le teorie sugli universi paralleli e la cosiddetta ipotesi parafisica degli UFO. Promossa dall’ufologo Jacques Valleé, quest’ultima afferma in buona sostanza che i dischi volanti non verrebbero dallo spazio, ma da una o più realtà alternative, da altri universi insomma, sebbene molto diversi dal nostro. A questo proposito, Dylan dice: «Tutto sommato l’ipotesi “parafisica” mi affascina… che gli UFO non vengano da altri pianeti, ma da dimensioni parallele, attraverso varchi nello spazio-tempo, che vengano dalla fantasia, dal sogno»(7).

Quando si arriva al momento delle spiegazioni, il generale Heywood Scott rivela all’Indagatore dell’Incubo la vera natura degli alieni: «Sono esseri fragili, indifesi, impauriti quanto noi. Le loro navi sono fatte di latta e di carta stagnola, servono per volare nei sogni, non nella realtà, e quando nella realtà ci capitano di passaggio, attraverso chissà quali varchi, venendo da chissà dove e andando chissà dove, non è raro che precipitino o che vengano abbattuti. Tanti alieni sono morti a Roswell, a Brighton, e in decine di altri UFO-crash in tutto il mondo. […] La Terra è solo un punto di passaggio. Gli alieni non sono interessati a noi. Forse lo saranno in futuro, ma per adesso non potrebbero sopportare l’impatto con una civiltà tanto diversa. […] In realtà, gli esseri che viaggiano sugli UFO sono fragili come le loro navi, i loro corpi sono solo involucri; quando si rompono, la loro essenza può migrare in un altro corpo, molti alieni sono qui, sulla Terra, ospiti di altri corpi: dormono, sognano, qualcuno tornerà a casa, i suoi verranno a riprenderlo, altri rimarranno su questo pianeta e cercheranno come possono di aiutare i loro fratelli di passaggio, nascondendoli, proteggendoli con il silenzio»(8).

La sovrapposizione tra la concezione sclaviana dei sogni e la teoria degli universi paralleli è inoltre confermata nel n. 250, Ascensore per l’inferno: una storia onirica, surreale, kafkiana, in cui non si riesce a capire se Dylan stia sognando, se sia finito in un altro universo o se invece sia realmente sotto processo all’Inferno.

Il che ci porta ad una ulteriore considerazione, e cioè che in «Dylan Dog» l’aldilà pare essere costituito da una serie di innumerevoli dimensioni alternative molto simili al mondo materiale – gli Inferni, appunto –, anche se non è chiaro se siano universi paralleli tra gli altri o se invece costituiscano una serie di dimensioni supplementari che vanno ad aggiungersi a questi ultimi. Insomma, per dirla alla Sclavi, l’aldilà sembra essere solo un Altroquando, allo stesso tempo lontanissimo e così vicino a noi.

  1. «Dylan Dog», Il lago nel cielo, n. 151, pp. 7-9.
  2. Ivi, pp. 80-82.
  3. «Dylan Dog», I killer venuti dal buio, n. 78, pp. 81-82.
  4. D’altronde, La Neve è un altro autore che ama le storie fantastiche e surreali; basti pensare al suo bellissimo fumetto «ESP».
  5. Cfr., a questo proposito, Jorge Luis Borges, Tutte le opere, a cura di Domenico Porzio, Mondadori, Milano 2004, vol. II, pp. 799 sg.
  6. Cfr. Ignacio Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti, a cura di Pietro Bria, Einaudi, Torino 2000.
  7. «Dylan Dog», Quando cadono le stelle, n. 131, p. 65.
  8. Ivi, pp. 87-90.

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