La catarsi tecnologica di un disubbidiente. Tecnica come cerimonia dell’ansia nel cinema di Argento

Donato Dallavalle
Dario Argento n. 15/2022

Nel 1919 Franz Kafka scrive una lettera al padre1, un uomo che aveva fatto dei pregiudizi verso il nuovo una vera e propria regola di vita, confessandogli di voler continuare a coltivare la sua arte come unica via di fuga dal mondo. È chiaro che il padre castratore sia il simbolo di una realtà, quella del Novecento, che si nutre di violenze e tabù e non ammette obiezioni. In questo senso, anche quella di Dario Argento è la storia di una disubbidienza al conformismo di una società chiusa e intollerante, alla quale si ribella perfezionando nel tempo una liturgia del panico talmente personale e potente da trasformarsi in catarsi collettiva.
Argento disubbidisce fin da quando, giornalista, è deciso a valorizzare il cinema di genere considerato anti-ideologico dalla critica di partito, ed è disubbidiente come sceneggiatore innervando di tensioni contemporanee gli schemi del mainstream.
Certamente lo è da regista, fin da L’uccello dalle piume di cristallo (1970) che, all’inizio, il distributore Goffredo Lombardo riteneva così strano da decidere di licenziarne il creatore. Argento non ubbidì e continuò le riprese, sicuro che la sua visione fosse l’unica giusta per il film.
Se c’è qualcosa alla quale Argento obbedisce è il proprio mondo, in cui le avanguardie e i vapori del cinema classico si fondono in un costante dialogo con le sue ossessioni sul presente: una voce interiore che solo la forza del cinema e le sempre nuove possibilità tecniche ed espressive possono far uscire dall’ombra. In L’uccello, insieme a Vittorio Storaro, trasforma Roma in una giungla d’asfalto raffreddata in abbattitore ed elegge la soggettiva (da sempre importante per Hitchcock e Lang) a emblema di una totale immersione dello spettatore nei propri incubi.
L’uso della soggettiva, dove tutto è mostrato ma non immediatamente rivelato, si esaspera nei film successivi, abbandonando la macchina a mano per fluidificarsi nella steadycam, spesso costringendo l’operatore a un vero corpo a corpo con la macchina – come nella scena del treno in Nonhosonno (2001) dove la steady fu fissata alle spalle, anziché all’addome, per potenziare l’isteria del momento.
La soggettiva diventa via via sempre più spettacolare e spersonalizzata; non più semplice espressione umana ma assioma di un’entità, del male assoluto. Cosa c’è di più anarchico che costringere il pubblico a condividere il male, a non poter più chiudere gli occhi (come in Opera), a sentirsi egli stesso vittima e colpevole?
In Tenebre, Argento realizza una delle sue soggettive più celebri. Sceglie la Louma, una gru snodata che può arrivare a 9 metri di altezza, collegata a un braccio telescopico, già utilizzata da Polanski in L’inquilino del terzo piano (1976). Argento spinge la macchina ai limiti delle proprie potenzialità espressive e dopo una settimana di prove le fa fare di tutto: si arrampica sulla facciata della villa delle due vittime, entra ed esce dalle finestre per spiarle, sale sul tetto e scende dall’altro lato per l’ultimo plié (o plongée) del suo acrobatico balletto di morte. Tutto senza stacchi, tutto tecnico ma anche in presa diretta, vero, senza altri effetti.
Quello che non si capì subito di Argento è che il suo cinema è all’avanguardia perché abbatte la barriera tra sovversivo e quotidiano e, incarnando la violenza insita nei fatti della propria generazione, cerca, alla maniera di Thomas De Quincey, di scardinare e riorchestrare la tecnicità dell’assassinio, la grandezza lirica, anarchica e sempre misteriosa della morte.
Da qui parte la sperimentazione, la schizofrenica ricerca di ogni novità tecnica, al costo di qualche esito meno felice (è innegabile che gli effetti stereoscopici di Dracula 3D non siano ben riusciti), che diano al regista la chiave per immergere lo spettatore nell’esatta simmetria della propria visione.
In Profondo rosso (1975) Argento disubbidisce alle convenzioni del giallo decostruendo le singole scene e orchestrandole come movimenti indipendenti di un grande concerto jazz-prog che, in qualche modo, ricorda la struttura di Quadri di un’esposizione di Musorgskij. Per realizzare le celebri sequenze rituali che precedono i delitti, il regista sperimenta, primo in Europa, lo Snorkel, una microcamera brevettata da Paul Kenworthy, ex regista Disney, che, montata su un tubo snodabile di 30 centimetri, dà la possibilità di riprendere piccoli oggetti in macro e da ogni angolazione. L’espediente costruisce, con una sintesi di puro cinema, la topografia mentale dell’assassino ingigantendo la potenza enigmatica di biglie infantili e bambolette, simulacri di un passato interrotto e di un presagio allucinato che respira le atmosfere di James Ensor.
Con Suspiria (1977), Argento vola verso i territori vergini della favola dark e, insieme a Luciano Tovoli – fino ad allora strenuo difensore dell’illuminazione naturale – sceglie di girare con una pellicola Kodak a bassa sensibilità (18-20 Asa). Costretto a inondare vasti set con luci abbaglianti, come ai tempi di Méliès, applica gelatine e tessuti colorati a proiettori ad arco che, filtrando la luce, ridisegnano la profondità, non solo fisica, degli spazi.
Ne esce una nuova drammaturgia del colore che, anche grazie all’archeologico sviluppo in tricromia Technicolor della pellicola, donano a Suspiria l’atmosfera litografica, fiabesca ma urlante di un grande musical pop-espressionista che continua a ispirare i registi di oggi, da Del Toro a Refn. Si dice che, inizialmente, il film dovesse essere girato in 3D come tanti cult del passato, idea poi accantonata per i costi proibitivi.
Forse è solo una leggenda ma fa riflettere su tutte quelle visioni negate, abbandonate per la scarsità di budget o per l’inadeguatezza della tecnologia del tempo. È il caso di Inferno (1980), per il quale Argento avrebbe voluto realizzare la soggettiva di una folgore che dal cielo si abbatte sulla terra; mentre in La sindrome di Stendhal (1996) le spettacolari riprese aeree tra le vie del centro di Firenze, promesse da una camera montata su un dirigibile a elio, furono spazzate via dal vento insieme all’apparecchio. Se Argento avesse potuto contare su un moderno drone acrobatico forse le cose sarebbero andate diversamente. Chissà come sarebbe stata l’audace soggettiva dei corvi che volano nel teatro in Opera: nel 1987, Argento utilizza il meglio su piazza, la Skycam, una cinepresa usata nei documentari naturalistici, fissata a un enorme traliccio in grado di muoversi in alto e in basso e roteare su sé stesso. Ne nasce una scena dal lirismo funambolico che, causa qualche ombra di troppo, tradisce le vicissitudini della sua realizzazione. Ma si sa, sperimentazione fa spesso rima con complicazione.
In 4 mosche di velluto grigio (1971) Argento decide di realizzare la scena dell’incidente d’auto finale con un ralenti talmente esasperato che nessuna cinepresa dell’epoca poteva garantirglielo. Ostinato come sempre, si rivolge alla scienza e scova una macchina messa a punto dall’Università di Lipsia per documentare la fusione dei metalli, la Pentazet, a quel tempo l’unica in grado di raggiungere l’incredibile velocità di ripresa di 15/30.000 frame al secondo.
Nella scena, la camera cristallizza nel tempo lo struggente momento dell’impatto a ben 12.000 fps, una velocità talmente elevata da causare lo spostamento della pellicola nello chassis e rivelare, una volta stampata, l’interlinea del fotogramma. Un’imperfezione che ancora oggi, abituati al super-slow-motion da 1.750.000 fps, non influisce sul magico climax della scena2. Nel 2011, la Shameless pensò di festeggiare l’esordio del film in Blu-ray, dopo decenni d’oblio, restaurando arbitrariamente il “difetto” ma i fan non gradirono, ritenendolo filologicamente irrispettoso3 e aprendo di fatto una scottante questione: quanto è lecito (ed etico) manipolare un film per riportarlo a una nuova ma differente integrità tecnica? Quanto si perde del valore dell’opera e di quello che ha rappresentato per lo spettatore?
Un tema che riporta alla mente i ridoppiaggi 5.1 di cult come C’era una volta in America ed ET, ampiamente rifiutati dal pubblico. Insomma, la tecnologia è sempre alleata dell’emozione?
Nel suo primo film americano, Trauma (1993), Argento è tra i primi al mondo a sperimentare l’Edit Droid, pionieristico software di editing su Laser Disc sviluppato da George Lucas, che gli permette di creare molteplici versioni delle scene in tempo reale. La libertà dalle lungaggini della moviola imprimono al film, classico sotto molti aspetti, un ritmo spezzato e cangiante che lo rendono un’esperienza eccitante e intima, ben inserita in una stagione di meditazione profonda, iniziata con Opera, nella quale il regista, pur sapendo di non avere più niente da dimostrare, continua a rischiare sfidando sé stesso e le proprie ossessioni.
Un discorso che si fa bruciante in La sindrome di Stendhal, film in apparenza ancorato al passato, con Rotunno alla fotografia e Morricone alla musica, in realtà più disubbidiente che mai. Dopo un inizio tesissimo, Argento nega la suspense per concentrarsi sulle mutevoli sfumature psicologiche della vittima (interpretata dalla figlia Asia in un ruolo molto cruento per un set di famiglia) e con urgente crudezza sperimenta attorno a lei, su di lei, effetti di computer graphic all’avanguardia (di Stivaletti, trai primi realizzati in Italia) capaci di evocare il suo, e il nostro, inabissarsi nelle opere d’arte come in uno sconvolgente non-luogo freudiano.
Qui e nei film successivi, Argento esprime il febbricitante bisogno di continuare a raccontare sé stesso, “storyboardando” visioni antiche con mezzi e movenze nuove (come gli effetti digitali di Lee Wilson, abituale collaboratore di David Cronenberg, in La terza madre [2007]) e, pure nei suoi film più incerti, sembra dire al pubblico, con la consueta selvaggia libertà, che per comprendere o anche solo continuare a cercare non si può far altro che disubbidire.

Note

1. Kafka Franz, Brief an den Vater (scritta nel 1919, mai spedita, pubblicata postuma la prima volta nel 1952 da Max Brod), Einaudi, 2011.
2. Nel 2020 la Caltech ha messo a punto la CUSP, una cinepresa da 70.000 miliardi di fps, teoricamente capace di catturare il movimento della luce.
3. Le successive edizioni Blu-ray di Koch e Cecchi Gori ripristinarono il finale originale.

[Vai all'indice]

Scarica il pdf

Ultime uscite

François Ozon

François Ozon

Inland n. 2/2016
Il secondo numero di INLAND è il primo volume dedicato in Italia a François Ozon. Regista tra i generi, firma sfuggente all’etichetta d’autore, nei suoi film Ozon fa riverberare echi [...]
Fiume Diciannove - Il Fuoco sacro della Città di Vita
1919-2019. Un secolo fa Gabriele d’Annunzio entrava in Fiume d’Italia, dando vita a quella che sarebbe stata una rivoluzione durata cinquecento giorni. Un’atmosfera febbricitante e festosa, ma anzitutto sacra, qui [...]
Aldo Lado

Aldo Lado

Inland n. 9/2019
Quello che stringete tra le mani è il numero più complesso, stratificato, polisemantico del nostro – vostro – INLAND. Quaderni di cinema. Lo è innanzitutto grazie al parco autori, mai [...]
Dylan Dog - Nostro orrore quotidiano
Detective dell’Occulto, Indagatore dell’Incubo, Esploratore di Pluriversi: come definire altrimenti Dylan Dog, dal 1986 residente al n. 7 della londinese Craven Road? Le sue avventure – che affrontano tutti gli [...]
Dino Buzzati - Nostro fantastico quotidiano
Vi sono autori, come disse una volta Conan Doyle, che «hanno varcato una porta magica». Tra questi spicca Dino Buzzati, che ha condotto il fantastico nel cuore pulsante della materia. [...]
William Lustig

William Lustig

Inland n. 13/2020
Gennaio 2015, riunone di redazione: si discute a proposito della nascita di INLAND. Quaderni di cinema. A chi dedicare i primi tre numeri? Idee tante, unanimità poca. Restano quattro progetti, [...]
Jorge Luis Borges - Il Bibliotecario di Babele
Jorge Luis Borges è un autore oceanico, un crocevia di esperienze, storie, civiltà e piani dell’essere, un caleido­scopio nel quale il passato si fa futuro e il futuro si rispecchia [...]
Antonio Bido

Antonio Bido

Inland n. 11/2019
Girata la boa del decimo numero, INLAND. Quaderni di cinema compie altri due significativi passi in avanti. Innanzitutto ottiene il passaporto. A rilasciarlo è stato il Paradies Film Festival di Jena [...]
Carlo & Enrico Vanzina

Carlo & Enrico Vanzina

Inland n. 7/2018
INLAND. Quaderni di cinema numero #7 nasce nell’ormai lontano dicembre 2017, in un bar di Milano dove, di fronte al sottoscritto, siede Rocco Moccagatta, firma di punta di tutto quel [...]
Lav Diaz

Lav Diaz

Inland n. 3/2017
È da tempo che noi di INLAND pensiamo a una monografia dedicata a Lav Diaz. Doveva essere il numero #1, l’avevamo poi annunciato come #2, l’abbiamo rimandato in entrambe le [...]
Mike Flanagan

Mike Flanagan

Inland n. 16/2023
Lo specchio è un simbolo polisemantico. Investe la sfera delle apparenze, ma anche quella dei significa(n)ti. Chiama in causa l’estetica, la filosofia e, insieme, la psichiatria. È l’uno che contiene [...]
Manetti Bros.

Manetti Bros.

Inland n. 14/2022
Febbraio 2020. Inland. Quaderni di cinema numero #13 va in stampa con una nuova veste. Brossura, dorso rigido, grammatura della copertina aumentata. Il numero è dedicato a William Lustig, alfiere [...]
Lune d'Acciaio - I miti della fantascienza
Considerata da un punto di vista non solo letterario, la fantascienza può assumere oggi la funzione un tempo ricoperta dai miti. I viaggi nello spazio profondo, le avventure in galassie [...]
Rob Zombie

Rob Zombie

Inland n. 1/2015
Con la parola inland si intende letteralmente ciò che è all’interno. Nel suo capolavoro INLAND EMPIRE, David Lynch ha esteso la semantica terminologica a una dimensione più concettuale, espansa e [...]
Pupi Avati

Pupi Avati

Inland n. 10/2019
Numero #10. Stiamo diventando grandi. Era da tempo che pensavamo a come festeggiare adeguatamente questa ricorrenza tonda, questo traguardo tagliato in un crescendo di sperimentazioni editoriali, collaborazioni, pubblicazioni sempre più [...]
Philip K. Dick - Lui è vivo, noi siamo morti
Celebrato in film, fumetti e serie tv, Philip K. Dick ha stregato gli ultimi decenni del XX secolo. Ma il suo immaginario era talmente prodigioso che, a furia di sondare [...]
Sergio Martino

Sergio Martino

Inland n. 5/2017
Giunto al quinto numero, INLAND. Quaderni di cinema affronta uno snodo cruciale, fatto di significative ed emblematiche svolte che segnano uno scarto, un’apertura rispetto alla precedente linea editoriale. Innanzitutto la scelta del [...]
Carlo Verdone

Carlo Verdone

Inland n. 12/2019
"Vi ho chiesto di mettere la mia moto Honda Nighthawk in copertina perché su quella moto c'è passato il cinema italiano. Su quella moto io sono andato e tornato da [...]
Rob Zombie Reloaded

Rob Zombie Reloaded

Inland n. 8/2019
Giunto all’ottavo fascicolo, INLAND. Quaderni di cinema riavvolge per un attimo la pellicola della sua breve ma significativa storia, tornando a percorrere i passi compiuti nel 2015 quando aveva aperto [...]
America! America? - Sguardi sull'Impero antimoderno
L’impero statunitense ha sempre generato nella cultura italiana reazioni contrastanti, che spaziano da un’esaltazione semi-isterica a una condanna a priori, altrettanto paranoica. Sembra sia pressoché impossibile, per chi si confronta [...]
Dario Argento

Dario Argento

Inland n. 15/2022
Tutto è nato da Occhiali neri (2022). Dalla sua visione, certo, ma anche dal dibattito che il film ha riaperto a proposito di Dario Argento e di tutto ciò che [...]
Walt Disney - Il mago di Hollywood
«Credo che dopo una tempesta venga l’arcobaleno: che la tempesta sia il prezzo dell’arcobaleno. La gente ha bisogno dell’arcobaleno e ne ho bisogno anch’io, e perciò glielo do». Solo un [...]
4-4-2 - Calciatori, tifosi, uomini
Nel calcio s’intrecciano oggi le linee di forza del nostro tempo; talvolta vi si palesano le sue fratture, i suoi non-detti. Ecco perché il quattordicesimo fascicolo di «Antarès» è dedicato [...]
Nicolas Winding Refn

Nicolas Winding Refn

Inland n. 4/2017
Perché Nicolas Winding Refn? La risposta è semplice: perché, piaccia o no, è un autore che, più di altri, oggi ha qualcosa da dire. Sebbene sempre più distante dalle logiche [...]
Michele Soavi

Michele Soavi

Inland n. 6/2018
Il nuovo corso di INLAND. Quaderni di cinema, inaugurato dal numero #5, dedicato a Sergio Martino, è contraddistinto da aperture al cinema italiano, al passato, a trattazioni che possano anche [...]

Ultimi post dal blog

Fabrizio Fogliato è un esperto di cinema e in particolare del cinema dei generi. Da anni pubblica regolarmente saggi e analisi che diventano punti di riferimento per il mondo del cinema. Lo scorso anno ha mandato in stampa un nuovo importante volume intitolato Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare di che cosa si tratta e in che modo ha analizzato il cinema criminale della Penisola. Partiamo dal titolo. Come mai ha scelto Con la rabbia agli occhi, che è anche il titolo di un film degli anni 70? Con la rabbia [...]
Benedetta Pallavidino ha raccontato un attore molto controverso nel suo Helmut Berger. Ritratto su pellicola, edito da Bietti Edizioni nella collana Fotogrammi. L’abbiamo intervistata. L’attore classe 1944 è scomparso il maggio scorso ed è stato interprete di tanti capolavori tra cui diversi film di Luchino Visconti con cui ebbe anche una relazione. Ecco le sue parole sull’artista: Come nasce la tua voglia di andare a raccontare un personaggio controverso come Helmut Berger? Nasce dal fatto che l’ho sempre trovato un attore molto sottovalutato, ricordato solo per essere stato il divo e il compagno di Visconti. È sicuramente vero che diretto da [...]