Argento Horror. Scacco all’accademia

Roberto Della Torre
Dario Argento n. 15/2022

Sebbene i confini tra giallo-thriller e horror, nell’universo argentiano, siano quantomai sottili – talvolta addirittura invisibili al primo sguardo – è comunque possibile isolare un corpus di opere nelle quali il dato fantastico è oggettivato e legittimato tanto a livello narrativo, quanto contenutistico e cognitivo.
Parliamo di quelle pellicole in cui l’irrazionale si impossessa della storia e fa scivolare l’orizzonte degli eventi su un piano altro rispetto a quello della risoluzione dell’indagine e dei nessi causa-effetto che regolano il nostro mondo, che alla fin fine è quello del giallo.
Suspiria (1977), Inferno (1980), Phenomena (1985), Il gatto nero (1990), Il fantasma dell’Opera (1998), Masters of Horror. Istinto assassino (2005), Masters of Horror. Istinto animale (2006), La terza madre (2007) e Dracula (2012) sono testi in cui il dato horror tracima, esondando da un singolo dettaglio o una sequenza in particolare e contaminando l’intero sistema di coordinate drammaturgico-estetiche.

Pubblico? Quale pubblico?
Da Profondo rosso (1975) in avanti, Argento costruisce mondi in cui i confini tra reale, onirico e fantastico sfumano uno nell’altro. In alcuni casi il fantastico esiste, anche se circoscritto ad alcuni luoghi (la scuola di danza di Suspiria, le zone di Inferno) o a un personaggio (i poteri di Jennifer in Phenomena, la mostruosità di Jenifer nel tv movie Istinto assassino del contenitore Masters of Horror), mentre il mondo soggettivo onirico e psicologico del personaggio è sempre presente. Se consideriamo che la maggior parte della produzione di Argento viene considerata come una forma di giallo-thriller tradizionale, qual è il pubblico di Argento? Se il giallo invita lo spettatore a una continua visione e attività cognitiva per identificare e scoprire l’assassino, l’horror-fantastico invece è per sua natura talmente imprevedibile che richiede uno spettatore in grado di accettare qualsiasi scelta dell’autore, qualsiasi sviluppo della storia e dei personaggi. L’aspetto liminale del cinema di Argento è verificabile nella presenza di elementi che per Noel Carroll costituiscono gli ingredienti del cinema horror fantastico: l’utilizzo di punti di vista inaffidabili, legati a personaggi instabili o mentalmente disturbati; l’impossibilità data allo spettatore di comprendere quello che sta accadendo mettendolo nella condizione di poter solo dedurre il senso degli eventi; utilizzo del suono-off, sempre nell’ottica di lasciare intuire piuttosto che descrivere gli eventi narrati; l’uso di soggettive irreali e movimenti di macchina che possono generare il dubbio spettatoriale sulla natura oggettiva o soggettiva dell’obiettivo: la camera sta semplicemente guidando la nostra attenzione, oppure c’è una forza misteriosa e soprannaturale che incombe sui personaggi? Infine, l’uso di un’illuminazione onirica e anti-naturalistica che concorre a disorientare il pubblico, creando un’ambiguità sostanziale in merito agli eventi narrati e alla loro interpretazione. Nel corpus argentiano queste forme stilistiche sono frequenti e inducono lo spettatore a non essere sempre in grado di stabilire se si tratta di un racconto realistico oggettivo, onirico soggettivo o fantastico.
Il cinema di Argento, fantastico o no, è comunque intriso di elementi visivi forti che spingono molto in là i limiti del giallo tradizionale. In ogni suo film l’autore utilizza, in misure diverse, gli elementi di suspense, shock e cognitivi. Lo spettatore argentiano è dunque colui che sa godere della suspense, dell’attesa e del lento svilupparsi degli eventi fino alla rivelazione finale, oppure è colui che sa godere dello shock, dell’immediatezza e delle immagini esplicite e violente fino alla repulsione? L’esperienza ci porta a riconoscere l’esistenza di pubblici diversi in grado di apprezzare parzialmente il cinema di Argento. Gli aspetti horror, in particolare, sono quelli che allontanano una parte considerevole di pubblico mentre ne attirano un’altra.

Suspence/Shock
La critica, in particolare quella accademica, trascura di valutare l’aspetto più emotivo dei film thriller e horror, generalmente creato da immagini crude e scioccanti. Per motivi di ordine morale o di buon gusto, questi elementi non vengono valutati con la stessa considerazione riservata ad altri aspetti del film, in genere quelli grazie al quale è possibile sostenere tesi e idee di maggiore respiro e considerazione accademica, come l’atto del guardare. Certo, nello scavo fatto nel cinema di Argento non mancano considerazioni sull’inguardabilità di certe immagini e sequenze. Ma lo studioso riflette sull’inguardabilità delle immagini, sullo shock negativo della messa in scena orrorifica, sulla repulsione, delineando così il proprio profilo di spettatore non sadico. Il piacere colpevole di fronte alle immagini estreme del cinema horror è stato oggetto di importanti e ricche riflessioni teoriche, ma l’oggetto di repulsione continua a rimanere inguardabile e inaccettabile.
Alla luce di questo è necessario, invece, considerare il modo in cui l’arte di Argento raggiunge uno tra i suoi scopi principali: fare paura. Chi ha familiarità con il suo cinema sa benissimo, anche attraverso le sue dichiarazioni, quanto sia importante per l’autore che i film riescano innanzitutto in questo intento: spaventare, turbare e disgustare il pubblico. Per ottenere questo obiettivo, Argento lavora sia sulla storia sia, soprattutto, sulla messa in scena. Tanti studi hanno messo in evidenza la peculiare cura stilistica nella messa in scena degli omicidi, in particolare nel periodo da L’uccello dalle piume di cristallo (1970) a Suspiria. Nella maggior parte di questi film si alternano omicidi rapidi e brutali ad altri dalla costruzione più sofisticata. L’attenzione della critica si è generalmente soffermata su questi ultimi, liquidando ogni altro aspetto come pura e inutile esibizione della violenza sul corpo della vittima. I film in cui gli effetti di repulsione sono prevalenti, tra cui Phenomena e i due tv movie per Masters of Horror, hanno sofferto delle peggiori critiche. Lo stile argentiano è però inevitabilmente una combinazione di piacere e tormento per gli occhi, di estetica della morte e disgusto. Il modo e la quantità in cui questi due elementi compaiono nei singoli titoli hanno subìto delle variazioni, ha determinato l’appartenenza dei film al genere thriller o al genere horror e ha avvicinato o allontanato il pubblico più generalista. Si tratta a ogni modo di due aspetti che definiscono il suo cinema.
È però inutile cercare di collocare in modo improduttivo i suoi film all’interno di categorie. Le modalità di sviluppo narrativo sono molto simili e la violenza visiva non si risparmia in nessuno dei due generi. Infine, come abbiamo ribadito, si alternano modalità di attesa e sorpresa a effetto sia a livello generale di trama (il twist finale è una forma di riattivazione cognitiva che induce a ripensare tutta l’opera), sia nella singola sequenza. Senza addentrarci in una tassonomia dei modi e delle forme delle sequenze degli omicidi, possiamo evidenziare la presenza di quattro modalità tipiche del thriller italiano sottolineandone l’emergenza e la diffusione nei film di Argento.
La prima può essere definita come negazione di suspense e shock. Si tratta del caso più tradizionale in cui il film si apre con un omicidio già avvenuto, situazione quasi del tutto assente nel cinema di Argento.
La seconda prevede un alto livello di suspense e attesa e un minimo livello di shock. È una forma classica, che esaspera l’attesa aumentando l’angoscia dello spettatore e si conclude in modo prevedibile, senza eccessi violenti. Anche questo caso, seppur presente, è più raro nel cinema di Argento che predilige altre due forme. La prima è quella che fa seguire alla modalità precedente, quindi a una attenta e prolungata costruzione dell’attesa ansiogena, una scossa visiva forte e prolungata. L’omicidio della costumista in Opera (1987) è un esempio efficace: all’inseguimento e alla morte del personaggio segue una specie di autopsia violenta e sanguinosa. È l’esasperata messa in scena della morte e della tortura del personaggio che ha sollevato il giudizio su un cinema sadico, brutale e violento. È questa, senza dubbio, la modalità più diffusa nel suo cinema a cui si affianca quella dello shock totale, del colpo di scena improvviso e brutale in cui si azzera del tutto la suspense. È il caso, per esempio, della morte del poliziotto, sempre in Opera.

Classico e moderno
Come nota Alberto Pezzotta, la costruzione della suspense costituisce un elemento di classicità, mentre lo shock violento è da intendersi come l’aspetto moderno del cinema di Argento. Osservato da questo punto di vista, come intreccio tra classico e moderno, il cinema di Argento manifesta una forma di classicità anche sul piano del racconto, mentre mantiene una più viva modernità su quello visivo.
Da un punto di vista narrativo i suoi film si concludono con la totale punizione e annientamento dei cattivi, secondo una modalità classica e favolistica. Alla trasgressione sul piano visivo non ne corrisponde una su quello dei contenuti. Ciò che manca è un ribaltamento del ruolo della mostruosità intesa, come direbbe Robin Wood, non come nemica ma come forza disgregante della struttura sociale, economica, politica. I film di Argento raccontano il ritorno all’ordine dopo l’esplosione del caos. Non c’è un mostruoso che sposta il punto di vista sul mondo. La divisione tra buoni e cattivi è abbastanza netta. I finali non sono pertanto scombussolanti ma prevedibili, la suspense della risoluzione finale c’è, ma risiede più nel come finirà piuttosto che nel se finirà.
Allo stesso tempo, siamo però di fronte a un cinema trasgressivo, che racconta un mondo pericoloso fatto di repulsione, caos e disordine. Argento usa il formalismo del cinema politico degli anni Settanta, ma non i temi politici. La politica è svolta sul piano dell’immagine e dei suoi eccessi, che disturbano il pubblico borghese di cui, però, vengono rispettati i valori. La repulsione, eludendo gli aspetti cognitivi e spostandosi sullo sconquasso emotivo, mette all’angolo lo spettatore, ne demolisce le sicurezze e lo colpisce allo stomaco. Il male si manifesta in forma aggressiva e non lascia spazio alla compassione; è descritto e mostrato in tutta la sua negatività, senza edulcorazioni.

Il piacere della paura
Una tra le teorie che hanno maggiormente influenzato gli studi sull’horror è quella di Tzvetan Todorov relativa al fantastico in letteratura(1). Sebbene il fantastico di Todorov non s’identifichi unicamente con l’horror, la sua analisi del soprannaturale e dei meccanismi di un certo tipo di narrativa offre strumenti utili per una lettura del genere. L’analisi condotta si incentra sul piacere che il lettore trae dalla risoluzione (o non-risoluzione) di determinati intrecci narrativi. Tale piacere ha una natura intellettuale che avvicina Todorov alle teorie cognitive.
Lo studioso minimizza l’idea della paura o dell’ansia come condizione necessaria (e sufficiente) per definire il fantastico (e quindi l’horror). Al contrario, egli reputa la risposta emozionale troppo soggettiva per essere utilizzata come criterio dai teorici della letteratura. Il modello todoroviano afferma che il piacere derivato dalla fruizione del fantastico – e quindi dell’horror – consiste nel dominio intellettuale dello spettatore sul testo. Partendo da questo assunto, Todorov nega dunque il fenomeno contrario, ossia che il testo possa manipolare gli spettatori, sia cognitivamente – dissimulando o occultando informazioni essenziali – sia emotivamente attraverso la paura, il terrore e la repulsione, e che proprio in questa manipolazione risieda la chiave del piacere della visione. L’approccio di Todorov fallisce nell’interpretare lo shock ontologico causato da narrazioni in cui un mondo accettato e letto come realistico si dimostra essere il paravento per un’altra realtà oggettiva (Suspiria, Inferno) o l’espressione di uno scenario mentale degenerato o inaffidabile (Opera). Tale esitazione ontologica opera sullo spettatore come forma di forte turbamento che si oppone al piacere intellettuale teorizzato da Todorov. L’esitazione, dunque, viene vanificata dal brusco strappo che si produce nel climax della storia, inducendo lo spettatore a un cambio di prospettiva piuttosto che gratificarlo con la risoluzione del dilemma. Si passa perciò dall’esitazione epistemologica di Todorov allo shock ontologico.
La critica tende a concentrarsi su un modello razionale e su un’idea dello spettatore come interprete lucido e padrone di sé, trascurando invece la nozione di shock e il piacere a esso associato presso il pubblico non-accademico. La cultura accademica tende a subordinare il coinvolgimento emotivo all’analisi dei meccanismi del film.
Il passaggio dall’esitazione fantastica allo shock ontologico suggerisce quindi, diversamente dalle teorie cognitive cui Todorov si riallaccia, la possibilità che il testo manipoli e orienti le credenze e le emozioni del pubblico, il cui piacere deriva dall’abbandonarsi consapevolmente a questo dominio del film (e del suo autore). In tal senso, le “emozioni cognitive” e l’“esitazione “intellettuale” si rovesciano nel loro opposto, l’aspetto emotivo come via d’accesso al film e il ribaltamento ontologico come chiave attraverso cui l’horror intrattiene e forma il suo pubblico.
Questo approccio conferma che il piacere di fruizione associato all’horror costituisce un oggetto fluttuante, multiforme e più complesso delle singole teorie che aspirano a contenerlo, inserendolo in una precisa definizione.
Applicare questa riflessione al corpus filmico horror di Dario Argento appare non solo una logica conseguenza, ma un inevitabile esercizio teorico.

Note
1 Il riferimento è al seminale Todorov Tzvetan, La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 2000 (prima pubblicazione: 1970).

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