L’antiamericanismo “tradizionale” di Julius Evola

Alberto Lombardo
America! America? – Sguardi sull’Impero antimoderno n. 6/2014
L’antiamericanismo “tradizionale” di Julius Evola

«Il processo per cui le distruzioni spirituali, il vuoto stesso che l’uomo divenuto “uomo economico” e grande imprenditore capitalista si è creato intorno a sé, lo costringono a far della sua stessa attività

– guadagno, affari, rendimento – un fine, ad amarla e volerla in se stessa pena l’essere preso dalla vertigine dell’abisso, dall’orrore di una vita del tutto priva di senso»1. La posizione critica del filosofo romano Julius Evola (1898-1974) nei confronti dell’America merita di essere conosciuta per l’originale peculiarità che la contraddistingue, oltre che per l’influsso che ha esercitato su una non trascurabile area politica e intellettuale. Nel 1929 esce su Nuova Antologia l’articolo evoliano Americanismo e bolscevismo, nel quale il pensatore tradizionalista espone per la prima volta con notevole lucidità una tesi, piuttosto inedita e assai pionieristica, che continuerà a sviluppare nei decenni successivi. L’idea di fondo è che Russia sovietica e Stati Uniti, al di là delle evidenti differenze culturali, sociali e di organizzazione statuale, siano accomunati da un medesimo, perverso ideale2. Il saggio costituirà la base del sedicesimo capitolo della seconda parte di Rivolta contro il mondo moderno, forse il libro più importante e famoso di Evola.

Qui scriveva: «Quali e quante siano le divergenze fra Russia e America del Nord in sede etnica, storica, di temperamento e via dicendo, ciò è noto ad ognuno e non abbisogna di essere messo in rilievo. Tali divergenze però non possono nulla di fronte ad un fatto fondamentale: parti di un “ideale”, che nel bolscevismo non esiste ancora che come tale, o viene imposto con mezzi crudi, in America si sono realizzate per un processo quasi spontaneo, tanto da rivestire caratteri di naturalezza e di evidenza»3. L’America è per Evola la più evidente e speculare antitesi della tradizione europea: «Essa ha introdotto definitivamente la religione della pratica e del rendimento, ha posto l’interesse al guadagno, alla grande produzione industriale, alla realizzazione meccanica, visibile, quantitativa, al di sopra di ogni altro interesse. Essa ha dato luogo ad una grandiosità senz’anima di natura puramente tecnico-collettiva, priva di ogni sfondo di trascendenza e di ogni luce di interiorità e di vera spiritualità; anch’essa ha opposto alla concezione, in cui l’uomo è considerato come qualità e personalità in un sistema organico, quella, in cui egli diviene un mero strumento di produzione e di rendimento materiale in un conglomerato sociale conformista»4.

Il ragionamento di Evola si sviluppa poi in una prospettiva più ampia, che presenta singolari analogie concettuali, seppure non terminologiche, con il cuore della riflessione sulla Tecnica sviluppata da molti filosofi, da Jünger sino a Heidegger e Severino. Essenzialmente, Evola avverte nell’America proprio quella caratteristica “totalmente mobilitante”, onnipervasiva e tirannica propria alla Tecnica, che tende rapidamente a inglobare o distruggere tutto ciò che le si frappone – vale a dire quel che costituisce, nel contesto della metafisica evoliana, la Tradizione.

Per Evola, questo rapporto dualistico è solo in parte il risultato di un processo puramente storico; è, comunque, l’esito di una legge che determina lo scorrere ciclico delle età storiche: «Quella civiltà, di cui il Moderno fu sì fiero, e in nome della quale aveva creduto al “mito” del “progresso” e aveva marciato alla conquista del mondo, quella civiltà si trova oggi dinanzi a una specie di riduzione dell’assurdo, di capovolgimento dei valori che essa si era arrogati. Lanciatasi alla conquista della materia, essa non ha conseguito il suo scopo che a prezzo di materializzare lo spirito, di escludere ogni forma superiore di vita, di amalgamare gl’individui nella tirannide di organismi collettivi, che quasi diremmo subumani nella loro mancanza di volto, di razionalità, di luce, nella loro soggiacenza a energie che di tempo in tempo, come galvanizzando con una vita momentanea e paurosa dei corpi morti o automatici, li scaglia gli uni contro gli altri»5.

Il “mondo moderno” evoliano è, effettivamente, quello dominato dalla Tecnica: nell’America statunitense il filosofo romano coglie l’avanguardia (ancor più avanzata rispetto a quella sovietica) della controparte della Tradizione. «Mentre nel processo della formazione della mentalità sovietico-comunista l’uomo-massa che già viveva misticamente nel sottosuolo della razza slava ha avuto una parte di rilievo, e di moderno non vi è che il piano per la sua incarnazione razionale in una struttura politica onnipotente, in America il fenomeno deriva dal determinismo inflessibile per cui l’uomo, all’atto di staccarsi dallo spirituale e di darsi alla volontà di una grandezza temporale, di là da ogni illusione individualistica cessa di appartenere a sé stesso per divenire parte dipendente di un ente che egli finisce col non poter più dominare, che lo condiziona in modo molteplice»6. Il filosofo romano riprende qui la tesi che aveva sviluppato nella parte precedente del saggio, dedicata alla Russia, ove aveva sostenuto che l’atavico impulso messianico russo, unito a una sorta di “mistica della collettività”, si era rovesciato, dopo la rivoluzione bolscevica, in termini marxisti, nell’uomo “terrestrizzato e collettivizzato” che sentiva come propria la missione storica di esportare nel mondo il modello di sviluppo comunista: un analogo sentimento di superiorità del proprio tipico modello anima per Evola l’uomo americano, ma in una dimensione del tutto priva di alcun sottofondo mistico-spirituale.

È necessario specificare che le considerazioni evoliane su America e americanismo sono spesso sovrapponibili a quelle espresse in linea più generale sul mondo moderno, inteso come categoria a priori di modello di civiltà (o più correttamente, per tener fede alla terminologia evoliana, di civilizzazione)7. La peculiarità dell’America statunitense è per Evola quella di essere la punta avanzata della civiltà occidentale, o meglio lo stadio finale della sua decadenza involutiva. Non può stupire, in questo senso, che le idee espresse a proposito degli USA siano sovente sovrapponibili a quelle sull’Inghilterra, il calvinismo o il modello capitalista.

Se si “interpreta” il mondo moderno evoliano nei termini anzidetti, la disamina del filosofo tradizionalista è assai meno ottimistica di quella coeva jüngeriana. La nuova Figura destinata a emergere dal mondo totalmente mobilitato dalla Tecnica non è l’Operaio, ma il produttore-consumatore di stampo americano. Con una terminologia tanto efficace quanto brutale, Evola analizza questo uomo-ultimo, che ricorda fortemente quello profetizzato da Nietzsche: «Può anche darsi che, ove l’umanità non affondi in un’ottusa beatitudine da bestiame bovino, essa vada incontro alla più paurosa delle crisi: a quella del vuoto assoluto di un’esistenza, vuoto non più

nascosto come prima dai pseudo-fini di una vita alle prese con necessità di ogni genere»8.

La febbre attivistico-produttiva che contraddistingue il modello di sviluppo capitalistico, e che dalla maggior parte dei contemporanei viene vista come il segno di una vitalità giovanile, per Evola è viceversa sintomo di una malattia terminale. A questo concetto è dedicato lo scritto America: l’equivoco del popolo giovane9, in cui è ripresa la metafora delle età dell’uomo in relazione analogica con quelle del mondo. «Noi incliniamo proprio a considerare l’America non come un principio, ma come una fine: come la forma ultima, crepuscolare assunta dalla civiltà – già minata da vari progressi di regressione – dell’Europa moderna». E ancora: «Di un vero e proprio “primitivismo” o “infantilismo” devesi […] parlare nei riguardi dell’anima e della civiltà americana, primitivismo che solo superficialmente può essere confuso con fenomeni di “gioventù”, trattandosi invece di cose da spiegare sulla base della […] legge di corrispondenza di ciò che è crepuscolare con le forme primitive di uno stesso ciclo»10.

Intorno a questo nocciolo concettuale, concepito a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, Evola sviluppò nel corso della sua lunga produzione saggistica successiva un numero considerevole di riflessioni, contenute perlopiù in articoli su giornali e riviste11. L’incalzare del modello americano in ogni area del pianeta gli offrì lo spunto per considerazioni su costumi e mentalità che, specialmente nel secondo dopoguerra, andavano rapidamente diffondendosi anche in Europa, e in Italia in misura particolarmente sensibile. In diversi articoli, per esempio, criticò con durezza le scelte redazionali e di palinsesto della RAI, costantemente ispirate a modelli estetici d’oltreoceano, sia nel campo musicale sia in quello della programmazione televisiva. Nell’articolo del 1954 L’americanizzazione e le responsabilità della RAI, lo scrittore constatava come la programmazione musicale dei programmi “internazionali” dell’epoca (Cabaret internazionale, Grandi successi del mondo, Paese che vai, eccetera) trasmettesse in via pressoché esclusiva brani americani, quasi che il mondo si riducesse a tale unica regione, ignorando completamente, per esempio, la produzione contemporanea dell’Europa centrale. Ecco il suo commento: «Questo è un settore particolare dell’americanizzazione, ma è tutt’altro che privo di importanza. Le conseguenze del “lasciare andare” democratico sono queste: l’intossicazione di quella grandissima parte della popolazione che non sarà mai capace di vera discriminazione, che è fin troppo propensa – specie di questi tempi – a perdere ogni linea quando un potere o un’idea superiore non abbiano modo di richiamarla a sé stessa, se non altro pel minimo occorrente per non perdere del tutto la faccia»12. Anche il diffondersi nella lingua italiana di tanta terminologia inglese, specialmente in casi nei quali esiste un termine corrispondente in italiano, è per il filosofo il segno di un cedimento a ciò che appare moderno, bello, degno di essere imitato e seguito, ma che rivela un conformismo dovuto a superficialità e mancanza di carattere, foriero di un impoverimento culturale generalizzato13.

Per Evola, comunque, alla pervasività sul piano culturale del modello americano non si dovrebbe opporre una chiusura aprioristica. L’orientamento dovrebbe piuttosto essere quello di discernere tra ciò che va accettato e ciò che va respinto, sulla base della propria identità specifica: «Dato il clima di irresponsabile democrazia vigente in Italia, di un sistema organizzato di difese del genere non è naturalmente il caso di parlare. Esso può esser solo di pertinenza di pochi che sono ancora spiritualmente in piedi. A costoro spetterebbe dare l’esempio. Né polemiche né animosità, ma considerare tutto ciò che è americano con fredda curiosità invertendo le parti, riportando l’America al suo rango di provincia, di una escrescenza periferica dove si è centralizzato e sviluppato fino all’assurdo tutto ciò che di negativo la civiltà umana dell’Europa aveva prodotto. E quando qualcosa di americano dovesse essere ammesso, lo dovrebbe essere mantenendo libero lo sguardo, considerando simultaneamente altre prospettive, altre possibilità, altri valori, in un quadro nel quale in fondo, qualitativamente, l’America rappresenta solo un episodio»14.

Costituisce quindi un curioso paradosso che proprio in America, soprattutto a partire dagli anni Novanta, Evola abbia goduto di una marginale, ma non del tutto trascurabile fortuna. Essa è da ricondursi principalmente alla pubblicazione delle sue opere principali da parte della casa editrice Inner Traditions, oltre che alla presentazione del pensiero evoliano da parte di alcuni studiosi tra i quali Thomas Sheehan, Richard Drake e Joscelyn Godwin15. Si sarebbe potuto prevedere che una critica tanto radicale al modello americano, quale quella evoliana, determinasse un rifiuto del pensiero del filosofo italiano da parte del pubblico statunitense; e che proprio quella mentalità spiccatamente pratica e materialista, denunciata da Evola come caratteristica dell’americanismo, costituisse un ostacolo insormontabile allo “sbarco oltreoceano” delle opere evoliane. Eppure attraverso diversi canali, tra cui internet, in America Evola viene letto e dibattuto anche in modo non superficiale.

L’opposizione evoliana al paradigma statunitense afferma il primato della qualità sulla quantità, dello spirituale sul materiale, dell’organicità sull’individualismo e della politica sull’economia. Altrove scrivevo che «come la Tecnica è per sua natura universale lo sono anche il modello economico capitalistico e l’ideologia egualitaria. Storicamente, laddove un’idea particolare si oppone a una universale, la prima è destinata a venire travolta. Il messaggio fondamentale di Evola è proprio quello di interpretare e vivere i valori tradizionali in una prospettiva più che storica, assolutizzarli: solo con ciò potranno essere opposti a quelli dominanti, indipendentemente da ogni effettiva speranza pratica»16. Nella dicotomia evoliana di Tradizione e Modernità è anche racchiusa la certezza che allo scatenato dominio della dissoluzione seguirà un nuovo ciclo, improntato a nuovi valori. Quanto questa impostazione sia conciliabile con un atteggiamento pratico o attivo di opposizione al modello dominante è questione dibattuta da tempo. Certamente, però, Evola combatté la sua battaglia.

 

  1. J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Roma 1994, pp. 375-376.
  2. Ora in J. Evola, Americanismo e bolscevismo, ne Il ciclo si chiude. Americanismo e bolscevismo (1929-1968), Fondazione J. Evola, Roma 1991.
  3. J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 391.
  4. Ivi, pp. 391-392.
  5. J. Evola, Noi antimoderni, ne La Torre, 1 febbraio 1930, ora in Civiltà americana. Scritti sugli Stati Uniti 1930-1968 (II ed.), a cura di A. Lombardo, Controcorrente, Napoli 2010.
  6. J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 392.
  7. La dicotomia evoliana è in certa misura mutuata e sovrapponibile a quella spengleriana tra Kultur e Zivilisation. Come giustamente nota Giovanni Damiano (J. Evola, Civiltà americana, contributo disponibile sul sito della Fondazione J. Evola), quella evoliana è «una lettura, però, solo in senso lato definibile come spengleriana, e che proprio per questo non si risolve nella mera applicazione rigida e schematica delle categorie del pensatore tedesco alla realtà americana».
  8. J. Evola, “Libertà dal bisogno” e umanità bovina, ne Il Secolo d’Italia, 27 gennaio 1953, ora in Civiltà americana, cit., p. 41.
  9. Ivi, pp. 27-30.
  10. Ivi, p. 29.
  11. Un certo numero di questi saggi sono riuniti in ivi.
  12. J. Evola, L’americanizzazione e le responsabilità della RAI, ne Il Nazionale, ora in ivi, p. 49.
  13. Cfr. per esempio J. Evola, Servilismi linguistici, ne Il Secolo d’Italia, 28 luglio 1964, ora in ivi, pp. 72-75.
  14. J. Evola, Difendersi dall’America, ne Il Popolo Italiano, 14 dicembre 1957, ora in ivi, p. 71.
  15. Cfr. G. Stucco, Sulla (relativa) fortuna di Evola negli Stati Uniti, in Futuro Presente, 6 (1995), pp. 121-125.
  16. A. Lombardo, La tenaglia si è chiusa, in J. Evola, Civiltà americana, cit., p. 18.

[Vai all'indice]

Scarica il pdf

Ultime uscite

François Ozon

François Ozon

Inland n. 2/2016
Il secondo numero di INLAND è il primo volume dedicato in Italia a François Ozon. Regista tra i generi, firma sfuggente all’etichetta d’autore, nei suoi film Ozon fa riverberare echi [...]
Fiume Diciannove - Il Fuoco sacro della Città di Vita
1919-2019. Un secolo fa Gabriele d’Annunzio entrava in Fiume d’Italia, dando vita a quella che sarebbe stata una rivoluzione durata cinquecento giorni. Un’atmosfera febbricitante e festosa, ma anzitutto sacra, qui [...]
Aldo Lado

Aldo Lado

Inland n. 9/2019
Quello che stringete tra le mani è il numero più complesso, stratificato, polisemantico del nostro – vostro – INLAND. Quaderni di cinema. Lo è innanzitutto grazie al parco autori, mai [...]
Dylan Dog - Nostro orrore quotidiano
Detective dell’Occulto, Indagatore dell’Incubo, Esploratore di Pluriversi: come definire altrimenti Dylan Dog, dal 1986 residente al n. 7 della londinese Craven Road? Le sue avventure – che affrontano tutti gli [...]
Dino Buzzati - Nostro fantastico quotidiano
Vi sono autori, come disse una volta Conan Doyle, che «hanno varcato una porta magica». Tra questi spicca Dino Buzzati, che ha condotto il fantastico nel cuore pulsante della materia. [...]
William Lustig

William Lustig

Inland n. 13/2020
Gennaio 2015, riunone di redazione: si discute a proposito della nascita di INLAND. Quaderni di cinema. A chi dedicare i primi tre numeri? Idee tante, unanimità poca. Restano quattro progetti, [...]
Jorge Luis Borges - Il Bibliotecario di Babele
Jorge Luis Borges è un autore oceanico, un crocevia di esperienze, storie, civiltà e piani dell’essere, un caleido­scopio nel quale il passato si fa futuro e il futuro si rispecchia [...]
Antonio Bido

Antonio Bido

Inland n. 11/2019
Girata la boa del decimo numero, INLAND. Quaderni di cinema compie altri due significativi passi in avanti. Innanzitutto ottiene il passaporto. A rilasciarlo è stato il Paradies Film Festival di Jena [...]
Carlo & Enrico Vanzina

Carlo & Enrico Vanzina

Inland n. 7/2018
INLAND. Quaderni di cinema numero #7 nasce nell’ormai lontano dicembre 2017, in un bar di Milano dove, di fronte al sottoscritto, siede Rocco Moccagatta, firma di punta di tutto quel [...]
Lav Diaz

Lav Diaz

Inland n. 3/2017
È da tempo che noi di INLAND pensiamo a una monografia dedicata a Lav Diaz. Doveva essere il numero #1, l’avevamo poi annunciato come #2, l’abbiamo rimandato in entrambe le [...]
Mike Flanagan

Mike Flanagan

Inland n. 16/2023
Lo specchio è un simbolo polisemantico. Investe la sfera delle apparenze, ma anche quella dei significa(n)ti. Chiama in causa l’estetica, la filosofia e, insieme, la psichiatria. È l’uno che contiene [...]
Manetti Bros.

Manetti Bros.

Inland n. 14/2022
Febbraio 2020. Inland. Quaderni di cinema numero #13 va in stampa con una nuova veste. Brossura, dorso rigido, grammatura della copertina aumentata. Il numero è dedicato a William Lustig, alfiere [...]
Lune d'Acciaio - I miti della fantascienza
Considerata da un punto di vista non solo letterario, la fantascienza può assumere oggi la funzione un tempo ricoperta dai miti. I viaggi nello spazio profondo, le avventure in galassie [...]
Rob Zombie

Rob Zombie

Inland n. 1/2015
Con la parola inland si intende letteralmente ciò che è all’interno. Nel suo capolavoro INLAND EMPIRE, David Lynch ha esteso la semantica terminologica a una dimensione più concettuale, espansa e [...]
Pupi Avati

Pupi Avati

Inland n. 10/2019
Numero #10. Stiamo diventando grandi. Era da tempo che pensavamo a come festeggiare adeguatamente questa ricorrenza tonda, questo traguardo tagliato in un crescendo di sperimentazioni editoriali, collaborazioni, pubblicazioni sempre più [...]
Philip K. Dick - Lui è vivo, noi siamo morti
Celebrato in film, fumetti e serie tv, Philip K. Dick ha stregato gli ultimi decenni del XX secolo. Ma il suo immaginario era talmente prodigioso che, a furia di sondare [...]
Sergio Martino

Sergio Martino

Inland n. 5/2017
Giunto al quinto numero, INLAND. Quaderni di cinema affronta uno snodo cruciale, fatto di significative ed emblematiche svolte che segnano uno scarto, un’apertura rispetto alla precedente linea editoriale. Innanzitutto la scelta del [...]
Carlo Verdone

Carlo Verdone

Inland n. 12/2019
"Vi ho chiesto di mettere la mia moto Honda Nighthawk in copertina perché su quella moto c'è passato il cinema italiano. Su quella moto io sono andato e tornato da [...]
Rob Zombie Reloaded

Rob Zombie Reloaded

Inland n. 8/2019
Giunto all’ottavo fascicolo, INLAND. Quaderni di cinema riavvolge per un attimo la pellicola della sua breve ma significativa storia, tornando a percorrere i passi compiuti nel 2015 quando aveva aperto [...]
America! America? - Sguardi sull'Impero antimoderno
L’impero statunitense ha sempre generato nella cultura italiana reazioni contrastanti, che spaziano da un’esaltazione semi-isterica a una condanna a priori, altrettanto paranoica. Sembra sia pressoché impossibile, per chi si confronta [...]
Dario Argento

Dario Argento

Inland n. 15/2022
Tutto è nato da Occhiali neri (2022). Dalla sua visione, certo, ma anche dal dibattito che il film ha riaperto a proposito di Dario Argento e di tutto ciò che [...]
Walt Disney - Il mago di Hollywood
«Credo che dopo una tempesta venga l’arcobaleno: che la tempesta sia il prezzo dell’arcobaleno. La gente ha bisogno dell’arcobaleno e ne ho bisogno anch’io, e perciò glielo do». Solo un [...]
4-4-2 - Calciatori, tifosi, uomini
Nel calcio s’intrecciano oggi le linee di forza del nostro tempo; talvolta vi si palesano le sue fratture, i suoi non-detti. Ecco perché il quattordicesimo fascicolo di «Antarès» è dedicato [...]
Nicolas Winding Refn

Nicolas Winding Refn

Inland n. 4/2017
Perché Nicolas Winding Refn? La risposta è semplice: perché, piaccia o no, è un autore che, più di altri, oggi ha qualcosa da dire. Sebbene sempre più distante dalle logiche [...]
Michele Soavi

Michele Soavi

Inland n. 6/2018
Il nuovo corso di INLAND. Quaderni di cinema, inaugurato dal numero #5, dedicato a Sergio Martino, è contraddistinto da aperture al cinema italiano, al passato, a trattazioni che possano anche [...]

Ultimi post dal blog

Fabrizio Fogliato è un esperto di cinema e in particolare del cinema dei generi. Da anni pubblica regolarmente saggi e analisi che diventano punti di riferimento per il mondo del cinema. Lo scorso anno ha mandato in stampa un nuovo importante volume intitolato Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare di che cosa si tratta e in che modo ha analizzato il cinema criminale della Penisola. Partiamo dal titolo. Come mai ha scelto Con la rabbia agli occhi, che è anche il titolo di un film degli anni 70? Con la rabbia [...]
Benedetta Pallavidino ha raccontato un attore molto controverso nel suo Helmut Berger. Ritratto su pellicola, edito da Bietti Edizioni nella collana Fotogrammi. L’abbiamo intervistata. L’attore classe 1944 è scomparso il maggio scorso ed è stato interprete di tanti capolavori tra cui diversi film di Luchino Visconti con cui ebbe anche una relazione. Ecco le sue parole sull’artista: Come nasce la tua voglia di andare a raccontare un personaggio controverso come Helmut Berger? Nasce dal fatto che l’ho sempre trovato un attore molto sottovalutato, ricordato solo per essere stato il divo e il compagno di Visconti. È sicuramente vero che diretto da [...]