Il Borghese: «Potere del denaro e favole. Un percorso editoriale tra Pound, Il Mago di Oz e Mary Poppins»

Ezra Pound & Luca Gallesi
2015-04-14 14:17:27
Il Borghese: «Potere del denaro e favole. Un percorso editoriale tra Pound, Il Mago di Oz e Mary Poppins»

Al momento dell’accettazione della candidatura alla Presidenza degli Stati Uniti d’America nel 1896, W. J. Bryan, divenuto leader dei democratici bimettalisti e dei populisti del People’s Party, indicò in poche ma accorate parole il proprio programma politico-sociale, nonché la speranza che lo animava: “Non crocifiggerete l’umanità su una croce d’oro”. Tali parole erano, naturalmente, rivolte ai rappresentanti dell’alta finanza e ai loro referenti politici. E, altrettanto naturalmente, da questi ultimi Bryan fu sconfitto. Le sue tesi, oggi, in piena crisi sistemico-produttiva, sono di straordinaria attualità.

Vengono opportunamente a rammentarle due novità editoriali, comparse tra i titoli della collana “l’Archeometro” di Bietti. La prima è la nuova edizione del volume di Ezra Pound, Carta da visita, curata da Luca Gallesi, noto studioso del poeta e saggista americano; la seconda è, invece, un libro dello stesso Gallesi, che alle tematiche poundiane si ispira, C’era una volta… l’economia. Oro e lavoro nelle favole dal Mago di Oz a Mary Poppins. Partiamo, innanzitutto, dall’analisi del testo di Pound.

Carta da visita contiene, in nuce, la sintesi teorica delle posizioni del poeta in tema di economia. Come si sa, esse ebbero un significativo peso nell’adesione dell’intellettuale al Fascismo e animarono fortemente il suo tempus loquendi. La prima edizione del volume uscì in piena guerra, nel 1942, la seconda negli anni Settanta, per i tipi di Scheiwiller. Nella prefazione, puntuale ricostruzione del percorso poundiano, Gallesi ci informa che l’interesse economico dell’americano era in qualche modo iscritto nella storia della sua famiglia e nel suo stesso nome. Figlio di un assistente della Zecca, il suo cognome evocava contemporaneamente l’idea di denaro e quella di unità di misura. Per questo, sulla scorta dell’esperienza pregressa di suo nonno, parlamentare del Wisconsin attratto dalle idee populiste che si era battuto per l’eliminazione del monopolio della moneta da parte delle banche, il giovane intellettuale è presto affascinato dalle teorie controcorrente del Maggiore Douglas, economista eterodosso. Questi, in Economic Democracy, gettò le basi di un movimento politico per il Credito Sociale, al quale si avvicianarono molti intellettuali. In sintesi, la posizione di Douglas-Pound può essere così riassunta: ogni popolo ha un’eredità culturale “verticale”, la Tradizione, e un valore aggiunto “orizzontale”, rappresentato dalla cittadinanza. In essi è da ravvisarsi la vera “ricchezza”. Per questo, a ogni cittadino si dovrebbe attribuire un patrimonio base di partenza, un reddito di cittadinanza (sul quale, recentemente e con forza, ha insistito Alain de Benoist, individuando in questa prassi un’effettiva possibilità di superamento della crisi che ci attanaglia).

Il vero nemico del bene comune è da rinvenirsi nel sistema bancario a gestione privata. Infatti, il credito di una nazione non può essere gestito da enti di profitto privati, ma deve rispondere, secondo modalità trasparenti, allo Stato, in quanto la ricchezza prodotta dai cittadini, alla fine del ciclo produttivo-distributivo, a questi deve tornare. La qual cosa venne definitivamente meno con il “Crimine del 1873”. Con questa poco lusinghiera espressione venne chiamata una legge degli Stati Uniti che affidava in toto la gestione del denaro ai Signori dell’oro di Wall Street. Tale provvedimento, a giudizio di Pound, tradiva gli assunti fondamentali della rivoluzione americana del 1776. In Carta da visita, pertanto, egli afferma: “Insisto sull’identità della rivoluzione nostra (cioè americana) del 1776 e la vostra fascista. Due capitoli della stessa guerra contro gli usurai” (p. 54). La valorizzazione del popolo produttore, attento ai ritmi confuciani della natura, concorre a rafforzare nel poeta l’intuizione che l’economia sia cosa troppo seria per essere lasciata ai soli economisti.

Tale riflessione trova conferma nel secondo volume che qui presentiamo, C’era una volta… l’economia. Gallesi esordisce sostenendo che quando gli economisti inventano storielle, dichiarando, ad esempio, con noncuranza che “la crisi è finita”, per capire il reale stato delle cose conviene forse rivolgersi alle favole. Allo scopo, egli compie l’esegesi di due componimenti, ritenuti capolavori della letteratura per l’infanzia, il Mago di Oz e Mary Poppins. Il primo è in grado di svelare le ragioni che produssero la Grande Crisi di fine Ottocento, il secondo, al di là delle metafore, permette di individuare le cause del crollo del 1929. Gallesi, dopo aver contestualizzato storicamente le biografie e l’opera di L. F. Baum e di P. L. Travers, creatori dei due testi in questione, procede ad un’analisi degli stessi, originale e compiuta.

Nel Mago di Oz si narra la parabola di Dorothy, fanciulla “dorata” che vola su scarpe d’argento per raggiungere il Mago di Oz nel paese di Smeraldo. Il nome del Mago è, non a caso, l’abbreviazione inglese di oncia. La protagonista lotta contro la malvagia strega dell’Est, simbolo vivente della cricca finanziaria che dominava e domina gli USA. Altri personaggi del racconto sono i Succhialimoni, la povera gente che sgobba e produce, i contadini delle praterie, e l’Uomo di Stagno, la classe operaia alienata e reificata dalla razionalizzazione produttiva fordista.

In Mary Poppins, la bambinaia protagonista, lo spazzacamino e la “donna degli uccelli”   (questa, in particolare, nella versione cinematografica del racconto) svolgono un ruolo catartico. Infatti, propiziano la trasformazione spirituale del Sig. Banks, impiegato nella City e padre dei bambini affidati a Mary, e del banchiere Dawes, che all’inizio della narrazione sono presentati come aridi esponenti dell’economia speculativa, succubi del potere del denaro. Al termine della favola, il lavoro torna ad essere presentato come il luogo della realizzazione della natura e delle aspirazioni più profonde degli uomini, in una esaltazione del dono e della gratuità delle prestazioni.

Conclusivamente, dai due libri è possibile trarre strumenti culturali per cogliere l’inanità dello stato presente delle cose, e ciò crediamo basti a renderli significativi nella presente battaglia delle idee. Più in particolare, dalla lettura di queste pagine va rilevata la centralità del pensiero del compianto Giano Accame, a cui il secondo volume è dedicato. Questi, infatti, ci ha pressantemente invitato ad approssimarci ai “misteri” dell’economia, con lo stesso bagaglio spirituale di Pound, cioè con “umana pietà e compassione”. In caso contrario, in questo approccio si rischia sempre di rimanere ancorati al trionfante conformismo intellettuale, oggi lautamente remunerato.

 

(Giovanni Sessa, «Il Borghese», dicembre 2012)

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