Totalità: «Arte, religione e politica nel pensiero di un filosofo redivivo, Andrea Emo»

Giovanni Sessa
2015-04-14 13:35:22
Totalità: «Arte, religione e politica nel pensiero di un filosofo redivivo, Andrea Emo»

La meraviglia del nulla di Giovanni Sessa, filosofo di origine milanese da anni cultore non solo di filosofia politica ma anche di estetica (ambito nel quale spicca la sua collaborazione con Vitaldo Conte nella elaborazione della prospettiva della Pulsional Ritual Art) è un esempio felice di documentarismo filosofico, di come la saggistica si sposi perfettamente con il recupero materiale di opere originali (in questo caso di un filosofo italiano della prima metà del ‘900).

Pubblicato dall’editore milanese Bietti nel 2014, il libro si propone come un lavoro scientifico pionieristico, addirittura apripista, nell’intento di ripensare orientamenti e sensibilità della filosofia italiana della prima metà del XX secolo. Come fa notare Romano Gasparotti nella prefazione, il pensiero di Emo è una galassia che attende ancora di essere esplorata e cartografata, se si pensa che attualmente ci sono quasi quattrocento quaderni del filosofo veneto totalmente inediti. Il libro è corredato di uno di questi quaderni, risalente al 1951, insieme a 13 lettere del filosofo indirizzate alla scrittrice Cristina Campo, meritevoli di attenzione per la particolare sintesi concettuale che la filosofia di Emo in esse raggiunge, dimostrando di avere il pregio della dichiarazione esplicita degli intenti investigativi perseguiti, di una sobrietà di linguaggio che punta all’incisività argomentativa, orientata a guidare scrupolosamente il lettore nella articolata filosofia di Andrea Emo.

Una costante premura scientifica che è testimoniata anche dall’impostazione metodologica, centrata sulla fedeltà filologica ai testi emiani a difesa dalla mistificazione esegetica gratuita, e che intende restituire al pubblico colto una miriade di temi filosoficamente pregnanti, meritevoli di ulteriori approfondimenti specifici: la prospettiva trans-attualistica come appropriazione originale e critica del patrimonio filosofico di Gentile; la centralità del momento estetico nel pensiero di Emo; la sua particolare concezione del tempo, ciclica e sferica; il dionisismo maturato nel frequente confronto con Otto, Colli e Kereny. Di questi temi si è dovuta fare necessariamente una selezione ai fini di una loro tematizzazione critica, per invitare alla conoscenza della statura filosofica di Andrea Emo, pensatore che contribuisce a completare il quadro complessivo di una filosofia italiana spesso ingiustificatamente accantonata o sbrigativamente etichettata e che è incarnata dal primo Evola, Michelstaedter, Martinetti, Rensi, Tilgher, Pareyson.

Sotto questo profilo si apprezza il carattere problematizzante dell’approccio di Sessa circa la cautela da adottare in merito alla possibilità di etichettare come “nichilista” la prospettiva di Emo. Sessa, infatti, ricorda che addentrarsi in tale impresa definitoria comporta affrontare sostanzialmente due questioni: o individuare l’estraneità di Emo alle prospettive nichiliste per come si sono sviluppate fra il XIX e il XX secolo, oppure trarre dai suoi scritti linfa vitale per portarsi oltre la linea del nichilismo stesso. In altre parole, Sessa propone la questione di quale nichilismo attribuire a Emo, facendo riemergere sulla falsa riga del Nietzsche dei Frammenti postumi l’opportunità di una distinzione qualitativa esistente fra “nichilismo passivo”, limitantesi a prendere atto della fine dei valori tradizionali, e “nichilismo attivo”, proiettato invece a liquidare attivamente le ultime macerie del declino valoriale in questione. Rimane il fatto che questo filosofo veneto, a giudizio di chi scrive, in questo saggio di taglio documentaristico di Sessa spicca per aver espresso un suo originale punto di vista sull’arte, sulla religione e sulla politica. In riferimento alla prima dimensione, ci si limita a ricordare che Emo pone all’interno del dibattito filosofico italiano il binomio arte-filosofia, nella convinzione teoretica che l’arte sia un punto di congiunzione della concezione sferica del tempo e del fare, della produzione umana. In tal modo egli avrebbe contribuito ad una questione che storicamente e per impostazione problematica è apparsa un’esclusiva del mondo della filosofia tedesca, a partire dallo Schelling del Sistema dell’idealismo trascendentale, fino all’Heidegger autore de L’origine dell’opera d’arte, affiancando così la più conosciuta prospettica estetica di Benedetto Croce.

In relazione alla dimensione religiosa, partendo dalla notazione di Cacciari che stabilisce la stretta relazione fra l’Emo teologo e l’Emo filosofo, emerge la posizione emiana centrata sulla continuità fra Cristianesimo e mondo precristiano, ma anche una sorta di “antiaristotelismo” teologico, testimoniato da nutrimento intellettuale sostanziato di apporti come quelli di Cusano, Eckhardt, Plotino. Ne scaturisce così un “cristianesimo tragico” che stabilisce il valore paradossalmente misterico del Cristo, visto nella sua dialettica disvelatrice e paradossale: per esistere, Dio deve necessariamente negarsi. Anche in quest’ambito, Sessa rimarca l’originale riappropriazione che Emo fa del pensiero di Nietzsche, in particolare nella prospettiva dell’intuizione della Resurrezione nella Croce.

In ultimo, circa la dimensione politica, Sessa espone al lettore la maturazione sul terreno del recupero etico-intellettuale della democrazia antica (in antitesi a quella liberale contemporanea) del pensiero politico di Emo. Con un accenno rapido ma significativo anche alla vicenda personale di Emo, all’indomani di una sua candidatura nel MSI che lo portò ad essere il primo dei non eletti di quella tornata elettorale, Sessa scrive forse il suo capitolo migliore per qualità degli spunti interpretativi e connessioni problematiche.

La denuncia dell’“affaticamento del politico”, sulla scia di Michel Maffesoli, che svela l’assenza di ogni progettualità comunitaria, causata dall’incapacità delle elités governanti nell’organizzazione del reale; la denuncia del fraintendimento del concetto di libertà, gestito in modo mistificante dalla democrazia del consumo e la condanna della democrazia epi-demica che si nutre della “chiacchiera” heideggeriana rivelano la capacità di Sessa di tesaurizzare l’insegnamento filosofico di Emo, combinandolo in modo suggestivo e stimolante con le riflessioni di Michel Foucault, che in questo libro sono riprese in relazione ai meccanismi più o meno segregativi dello Stato “terapeutico”.

Cosa sussurra alle nostre orecchie intellettuali la figura di Emo? Nel chiudere l’ultima pagina di questa ricerca di Giovanni Sessa, nel ballonzolare nella mente di chi scrive della congerie delle densissime questioni affrontate, forse un aspetto prevale su tutti: la consapevolezza dell’esistenza di una filosofia italiana non inquadrabile nelle maglie dell’attualismo, per questo rivelatrice di una sua originale personalità, segnata dalla ricezione non banale del pensiero di Nietzsche, immune dalle volgarizzazioni dannunziane e lontana dai fraintendimenti gramsciani. Emo si palesa, dunque, come testimone di questo particolare fiume filosofico sotterraneo, risvolto dialettico del primato neoidealistico gentiliano, e rileggerlo oggi, a qualche mese dalla scomparsa di un altro componente della “famiglia nicciana italiana” come Malio Sgalambro, non può che lasciare silenziosamente pensosi e incuriositi.

 

(Francesco Clemente, «Totalità», 4 aprile 2014)

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