«ilGiornale OFF»: Libero, sensibile, geniale. Baudelaire come non l’avete mai conosciuto

Charles Asselineau
2016-10-12 13:30:38
«ilGiornale OFF»: Libero, sensibile, geniale. Baudelaire come non l’avete mai conosciuto

Charles Asselineau, critico, bibliofilo e novelliere francese, lascia alla letteratura un poderoso scrigno di preziosi e curiosità. Il festeggiamento più considerevole è l’omaggio all’autore de “I fiori del male”: Charles Baudelaire. Il libro Charles Baudelaire – La vita, l’opera, il genio, a cura di Massimo Carloni nelle edizioni Bietti per la collana diretta da Andrea Scarabelli, figura come una disinvolta rifinitura del trono conquistato dal re dello spleen. Asselineau, dentro un temperamento tutto di modestia, antepone l’amicizia dei poeti alla propria personalissima inclinazione lirica. Il sommo legame di affiatamento raggiunge la vetta nell’incontro  con il poeta parigino; fratellanza che vive la croce e la delizia nella giostra di ogni affettività. La biografia, eseguita nell’inseguimento di un impeto, stesa il giorno dopo la morte di Baudelaire, svela la vita dietro il genio dello scrittore.

L’appuntamento tra i due si scrive durante il Salon del 1945 al Louvre; rendez-vous, che nell’intensità, appare fissato già tempo prima di quell’accadere. L’allineamento è nel ritrovo di due differenti nature;Asselineau favorisce nell’altro il fluire libero di un certo oblio. Baudelaire è il custode di tutte le ammalianti tare dell’artista: sensibile oltremodo alla bellezza, malinconico sino a farsi naufrago della noia e incandescente nell’atto artistico. Il vincolo tra i due si rende indissolubile dal 1851 sino alla morte del poeta, avvenuta a Parigi nel 1867. Con un passo lento e leggero, Asselineau trascina il lettore nel tortuoso principato de “I fiori del male”. Libera il regno da ogni vana morbosità o vacua frivolezza, ricucendo il tutto intorno alla pienezza dell’uomo /artista. La vita e l’opera si fanno commistione di uno sguardo sul mondo, composto di simmetrie e metafore. Una detonazione visionaria, satura di naufraghi, esiliati, sconfitti e perduti nella vita. Ed è proprio nel cuore pulsante di tali figure che brilla tutta l’umanità di Baudelaire. Luce che rifugge nel ribrezzo per le accomodanti transazioni umane.

A dispetto e nel sospetto della figura dell’artista come uno sturm und drang dell’esistenza, Baudelaire rappresenta un operoso adepto della forma. Struttura che non toglie nulla all’esuberanza di uno spirito romantico ed emotivo. Una natura rigogliosa, spesso votata a una certa tipologia di scandalo e di notorietà, pressoché un eccesso nel mostrarsi come luogo dove poter trovar rifugio. Un paradosso dentro le luci della ribalta che si affievoliscono nel lume intimo e confortevole di una candela.  Quanto eccesso di emotività abita la possibilità di voler stupire?!  All’interno della personalità visionaria, propria dell’artista, soggiorna infine un’indipendenza e un’autonomia non estensibile a tutto il mondo creativo. Baudelaire è libero dal mondo della politica e dalla volta religiosa; persegue un’unica fedeltà che è quella verso se stesso. Fede in un Io che nello scrittore si fa traghettatore di libertà nella potenza dell’idea fissa. Un pensiero tenace, nella teoria baudelariana, mantiene l’essere umano lontano dalle paludi dei partiti.

Per il fiore del male parigino, la possibilità di poter disporre di un’idea costante rappresenta il raggiungimento della bellezza che concede l’occasione di sottrarsi al pregiudizio; di fuggire dalla chimera dettata da una presunta e comunitaria solidarietà. Il Baudelaire di Asselineau è il poeta che non si rende prigioniero di partito alcuno poiché l’artista nasce, vive e muore nell’arte. Il mondo muta nel porre l’ascolto al sublime e non in un’ideologia preconfezionata a tavolino per l’individuo di turno. Nel ricordo del bibliofilo riemerge, non senza una sfumatura di amarezza, il processo e la condanna intorno alla pubblicazione de “I fiori del male”. Asselineau si immagina fino a bramarsi difensore alla maniera di Iperide: nella bellezza del poema trovare l’assoluzione. Mostrare all’accusa lo scritto di un’emozione come nella composizione “Benedizione” – Sereno il poeta alza le braccia al Cielo/dove il suo occhio vede un trono splendido/e i vasti lampi del suo spirito lucido/gli celano la vista di popoli furiosi/Benedetto Dio, che doni sofferenza/come divino rimedio alle nostre impurità/e come migliore e più pura essenza/per disporre i forti alle sante voluttà/Lo so che al poeta tu conservi un posto/tra le schiere beate delle legioni sante,/e che l’inviti a quella festa eterna/di Troni, Virtù e Dominazioni -.

L’amico avrebbe basato la sua opera di difesa in una lettura di poesie, un atto di purezza dove prende vitalità tutta la pietas per gli scalognati e gli umili. La seconda edizione dei Fiori, per fortuna mette a tacere le critiche alla prima. Alcuni assalti portano in seno la fase successiva nel rovesciamento: tanto più l’attacco è violento, quanto la persona o l’opera vessata si fortificano sino a prendere notorietà e fama.

Dal 1864 la Ville Lumière diviene un’orfana, Baudelaire in un balzo di aspettative, si trasferisce a Bruxelles. Gli amici e la città vivono nella speranza di un imminente ritorno, desiderio che con il trascorrere del tempo si farà sempre più lontano. Il passaggio a Parigi è breve e da Bruxelles, il poeta scrive un’accorata lettera all’amico dove confessa i suoi tormenti fisici con tanto di dettagli medici. Baudelaire, dopo numerosi attacchi apoplettici, torna a Parigi. La parola e la parte destra del suo fisico si ritrovano annullati in una paralisi. Ma per l’amico sopravvivono una certa lucidità e segni chiarissimi di un’intelligenza non intaccata. Nella sua patria di origine, lo scrittore si insedia nella casa di cura di Chaillot, circondato quotidianamente dalla sferzata di brio dei suoi amici di sempre. In un primo momento sembra rispondere alle sollecitazioni per poi abbandonarsi definitivamente alla resa di un letto. Gli ultimi mesi di vita si rendono dolorosi, nella misura in cui il genio francese si sopravvive e soprattutto continua a vivere nel ricordo di ciò che ha perduto.

L’opera di Asselineau è importante poiché mostra l’artista che non lascia ai posteri solo la sua arte, ma un esempio. L’emblema di un’esistenza che non si inginocchia al compromesso, non spoglia le sue convinzioni: il segreto nella sua integrità. Completezza alimentata da un dono: l’incoraggiamento che regala agli amici, la forza che immette in ognuno di loro. Al suo cospetto, anche il più abbattuto degli uomini, risorge in uno slancio di attività. Non si annoia e non annoia.

A tutti coloro venuti dopo, resta l’immagine di vederlo vagare tra un fiore e l’altro con l’abito nero, il lungo panciotto, il frac a coda di rondine e i pantaloni stretti. Un ricordo sentito durante il funerale, nel discorso di Asselineau: “Charles Baudelaire non mancherà solo ai suoi ammiratori; mancherà anche ai suoi amici, di cui era la gioia, il consigliere, il servitore devoto e fedele; a questa madre afflitta, esemplare e fiera nel suo dolore, che si consola, con la gloria del figlio, della perdita di una tenerezza devota che non è mai venuta meno. Mancherà ai deboli che incoraggiava, ai disperati che soccorreva, a coloro cui dava l’esempio del lavoro, della costanza e del rispetto di sé. Il suo animo sincero e delicato aveva il pudore delle proprie virtù e, per orrore dell’affettazione e dell’ipocrisia, si proteggeva dietro una riserva ironica che era una forma suprema di dignità. Posso solo compatire chi si è sbagliato sul suo conto.”

 

(Isabella Cesarini, «ilGiornale OFF», 12 ottobre 2016)

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