
Uno sguardo lucido sul passato, sul presente e sul futuro quello del regista tedesco Edgar Reitz. Il suo lavoro è raccontato nel volume Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo di Barbara Rossi, docente di cinema e presidente dell’associazione La Voce della Luna.
Firmatario, nel 1962, del “Manifesto di Oberhausen” che ha dato il via alla nascita del Nuovo Cinema Tedesco, Reitz ne è stato uno dei massimi esponenti insieme a Fassbinder, Herzog e Wenders, solo per citare i più conosciuti. Noto a livello mondiale per il ciclo di Heimat, ha raccontato e tramandato alle giovani generazioni le memorie dell’Europa novecentesca. Oltre al processo di rimozione operato dalla Germania nei confronti dell’Olocausto (Heimat) e i fermenti del ’68 (Heimat 2), Reitz ha saputo restituire, in Heimat 3, le speranze e i desideri di rinnovamento legati alla caduta del Muro di Berlino. La ricerca e la sperimentazione sono presenti nella totalità dell’opera di Reitz. La monografia, pubblicata nel 2019 per celebrare i trent’anni dalla caduta del Muro, è la più completa e aggiornata sul regista, che vi contribuisce con una lunga intervista.
Barbara, partiamo dal sottotitolo, “Uno sguardo fatto di tempo”.
L’ho scelto io e l’editore l’ha subito approvato. Nasce dell’idea di sintetizzare il più possibile il cinema di questo regista. Il cinema è sguardo e nel caso di Reitz è fatto di tempo, lui ha una concezione particolarissima del tempo, che non è cronologico, ma reversibile. Va avanti e molto spesso torna indietro. In questo senso, la memoria diventa fondamentale.
Non si può parlare di Reitz senza parlare di Heimat e del suo significato.
La parola Heimat viene tradotta in italiano come patria, ma in tedesco ha più sfumature di significato. Con questo termine, Reitz intende una seconda patria possibile, quella a cui una persona anela, che si vuole costruire con il lavoro e con i figli, magari in un luogo lontano.
I temi cardine del regista sono anche il ricordo e il femminile.
Il ricordo è legato alla memoria del singolo, che diventa memoria della collettività e ricorre in tutto il suo cinema. Secondo Reitz, sul passato si fonda non solo il presente ma anche il futuro; è evidente che in tutta la saga di Heimat ci sia un ricordo autobiografico, in questo piccolo villaggio del tutto inventato, ma allo stesso tempo simile al villaggio in cui è nato. Allo stesso tempo, Reitz ripercorre la storia del ‘900 attraverso la storia della famiglia Simon.
Come nasce il progetto del libro?
Doveva inizialmente essere un libro scritto a due mani insieme a Nuccio Lodato, docente di cinema all’università di Pavia, che ha poi purtroppo dovuto abbandonare il progetto. Ho accettato la sfida dell’editore Bietti di Milano. è stata un’espereinza molto intensa e faticosa, con quasi tre anni di ricerche, visioni e scrittura.
Perché raccontare questo regista?
Reitz è ancora molto attuale e scrivere una monografia su di lui vuol dire raccontare e approfondire l’oggi attraverso il cinema. Questo è un volume non solo per appassionati, ma per chi ha voglia di riflettere sul presente.
Lucia Camussi ©Il Piccolo di Alessandria, ottobre 2020