Atrium: «Uomo, filosofo, antimoderno. Una biografia intellettuale di Andrea Emo»
Giovanni Sessa
È di recente pubblicazione l’ultimo studio di Giovanni Sessa, intellettuale e studioso da sempre impegnato in un serrato confronto tanto con il retaggio filosofico e tradizionale continentale quanto con l’attualità. Segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Julius Evola e portavoce del movimento “Per una Nuova Oggettività”, fresco di stampa è il suo La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Edizioni Bietti, Milano 2014, pp. 415, € 22,00).
Dopo la pubblicazione postuma di molti dei leggendari Quaderni emiani, curati da importanti nomi del panorama filosofico contemporaneo – come quello di Romano Gasparotti, autore della prefazione al volume di Sessa su cui torneremo – questo volumetto raccoglie la biografia di Andrea Emo, nonché il nucleo della sua estetica, della sua filosofia politica e del suo peculiare antimodernismo.
Filosofo appartato e inattuale, Emo attraversò il Novecento in punta di piedi, affidando le proprie riflessioni a decine e decine di quaderni manoscritti, la cui scoperta, grazie all’interessamento di Massimo Cacciari, costituisce uno dei ritrovamenti più fortuiti nel panorama speculativo odierno. Il filosofo seppe coniugare, come chiarisce Sessa, la sua peculiare estrazione idealistica – conobbe Giovanni Gentile, di cui frequentò le lezioni, e fu in contatto con suo figlio, Benedetto – a una serie di momenti della cosiddetta filosofia della crisi, da Nietzsche a Schopenhauer, incontrando una lunga serie di voci che videro sotto un’angolazione del tutto diversa la nascita e gli sviluppi del “secolo breve”.
Le sue aperture europee sono la dimostrazione vivente di quanto in realtà lo scenario idealista italiano sia stato tutto fuorché provinciale e limitato, come vorrebbe certa vulgata neoazionista e neomarxista, con Norberto Bobbio in testa. Secondo gli interpreti di questa – assai sopravvalutata – tradizione esegetica, Croce e Gentile avrebbero paralizzato la ricerca filosofica italiana dei primi decenni del XX secolo, la quale si sarebbe “liberata” dal loro soffocante abbraccio solo a seguito del secondo conflitto mondiale. Ebbene, Emo è l’esempio di come (sulla scorta di quanto scrisse già Salvatore Natoli in merito agli orizzonti europei del filosofo di Castelvetrano) così non fu. Accanto ad Augusto del Noce, Sessa cita Marcello Veneziani, il quale nota come Bobbio oppose alla figura di Gentile, considerato come il male principale del nostro passato prossimo, i nomi di Gobetti, Calogero, Rosselli e Capitini – filosofi formatisi, tuttavia, proprio all’ombra del pensiero gentiliano. Un caso?
Se Andrea Emo abiurò a un certo presenzialismo, rifiutandosi di pubblicare per non tradire la propria missione filosofica, nondimeno ebbe contatti e instaurò rapporti con figure intellettuali di grande rilievo: dai già citati Benedetto e Giovanni Gentile a Ennio Flaiano, da Alberto Arbasino – che ne rilevò l’«inimitabile distinzione» – a Elémire Zolla, che conobbe tramite la mediazione della scrittrice Cristina Campo, con la quale mantenne un fitto scambio epistolare, ripercorso da Sessa a partire dalle missive pubblicate a cura di Giovanna Fozzer nel 2001, sulla rivista di Gianni Scalia «In forma di parole». I corrispondenti si rivelano essere due imperdonabili, per usare la celebre espressione dell’autrice de Il flauto e il tappeto, avversi alla barbarie di una certa modernità, nemica del sacro e della bellezza.
Proprio qui risiede un altro nodo teoretico fondamentale dell’analisi di Sessa. Le riflessioni emiane esibiscono un antimodernismo tanto feroce quanto ironico, il quale, in piena modernità, è pronto a riconoscere la nudità del re. Qualche esempio? Sulla tanto osannata democrazia, leggiamo: «Il monoteismo democratico che fa della massa l’unico dio… che sottopone il bene e il male, il vero e il falso al suo giudizio, che postula l’autogoverno della massa… conduce all’assurdo». Diagnosta del suo – del nostro – tempo, Emo non si lasciò sedurre dalle sirene della modernità, ma fu in grado di analizzarne gli esiti ultimi alla luce di posizioni del tutto inattuali, come emerge da frammenti come questo: «Quando si dissolvono le Patrie e le Città, quando i cittadini diventano individui, numeri, atomi obbedienti più alle leggi fisiche dell’economia, del bisogno, che a quelle dell’onore e della tradizione, quando la tradizione si dissolve nella razionalità, allora sorge per uno strano paradosso il collettivismo». E sugli Stati Uniti, campioni di un modello di democrazia da importarsi a livello planetario? Essi «hanno bisogno di nazioni efficienti per la guerra ma odiano lo spirito che rende le nazioni efficienti, e lo distruggono mediante la democrazia». E, infine, ad onta di una delle frasi più citate di Bobbio, che ancora ispira studi dedicati all’argomento da più o meno improvvisati sociologi, «gli intellettuali comunisti: intrinseca contraddizione».
A emergere in queste pagine è il tratto epi-demico della democrazia, vale a dire – argomenta Sessa – il suo porsi sopra i popoli, amministrandoli attraverso apparati burocratici sui quali si staglia l’ombra della governance, come descritto esemplarmente da Guy Hermet nel suo L’inverno della democrazia. Al contempo, vediamo ovunque in atto il cosiddetto “affaticamento del politico” (Michel Maffesoli), che vede le élites politiche e i popoli sempre più lontani le une dagli altri, divisi da uno iato sempre più incolmabile.
Qui l’autore di questa biografia intellettuale compie un passo ulteriore, portando la testimonianza esistenziale e teoretico-politica di Emo nella contemporaneità; le riflessioni del filosofo patavino vengono utilizzate come paradigma per indagare le forme di un presente e un futuro sempre più incerti, nel conteso di uno scenario globale all’interno del quale le rappresentanze sono oppresse da potentati economici transnazionali, che schiacciano sotto il proprio “tallone di ferro” – l’espressione è di Jack London – i destini dei popoli. Ragion per cui, come scrive Romano Gasparotti nella sua introduzione a La meraviglia del nulla, «il lavoro di Giovanni Sessa non è solo un importante contributo ermeneutico-storiografico, ma anche un libro sul presente e sulle possibilità del nostro prossimo futuro». Un Quaderno emiano inedito – L’eternità si può amare solo sotto forma di presenza (n. 122 1951 13 – XI) – chiude il primo studio dedicato a un autore che merita a tutti gli effetti di entrare nel novero dei Grandi Solitari del Novecento.
(Andrea Scarabelli, «Atrium», primavera 2014)