Uncle Bill: uno di noi. Lustig editore e collezionista home video
Ricky CarusoClasse ’55, nipote di Jake LaMotta, figlio del Bronx e delle sale grindhouse che illuminavano la leggendaria 42nd Street di New York, William “Bill” Lustig è un personaggio cult che ogni appassionato consapevole di cinema di genere old school non può non amare e ammirare smodatamente.
Le ragioni di tanto sentimento sono facilmente riconducibili alla formidabile filmografia action/horror con cui Bill, dopo una breve gavetta hardcore (The Violation of Claudia [1977], Hot Honey [1978]), si è imposto all’attenzione di tutti negli anni Ottanta e Novanta: i film che ha realizzato sono duri, sporchi, cattivi, ma lasciavano e lasciano segni indelebili anche e soprattutto in virtù di uno stile cinematografico che, pur flirtando con ovvie logiche di mercato, era già personale e genuino, con una peculiare poetica esistenziale e metropolitana. Tutto questo a partire da quel piccolo capolavoro borderline che è Maniac (1980), suo esordio concreto e, probabilmente, tra i viaggi più sgradevoli e lancinanti che il cinema ci ha concesso «in the mind of a serial killer», per citare la tagline di un altro titolo che affronta lo stesso tema – la mente di un assassino, appunto – con altrettanta ruvida potenza, cioè Schramm di Jorg Buttgereit (1993).
Quest’associazione non vuole essere ridondante, ma viene spontanea perché, sebbene i film sui serial killer siano numerosi, non tutti possono vantare quell’essenza velenosa e fortemente destabilizzante con cui opere come Henry, pioggia di sangue di John McNaughton (1990), oppure – giusto per giocare e proporre un poker esemplare – Angst di Gerald Kargl (1983) riescono a sporcare e quasi contagiare anche lo sguardo degli spettatori più navigati.
Complice, nel caso di Maniac, anche la dolorosa ed empatica interpretazione dell’indimenticato Joe Spinell, maschera tormentata che incarna tutto il disagio di Frank Zito, il suo serial killer traumatizzato e traumatizzante; ma la performance attoriale non basta da sola a spiegare l’eclatante forza evocativa del film, così come non basterebbe limitarsi a chiamare in causa lo struggente score firmato da Jay Chattaway, la fotografia cupa di Robert Lindsay o gli estremi effetti gore di Tom Savini. Perché c’è evidentemente di più: c’è la capacità indiscutibile del regista di raccontare lucidamente e senza alcun tipo di filtro edulcorante – malgrado la (o forse anche grazie alla) natura exploitation della sua pellicola – il degrado reale e la solitudine della periferia newyorkese di quegli anni, come in pochi sono riusciti a fare. E ciò si percepisce sia guardando Maniac, sia scandagliando i titoli successivi, per esempio Vigilante (1983) o la trilogia dedicata a Matt Cordell, lo sbirro assassino (Poliziotto sadico [1988], Maniac Cop. Il poliziotto maniaco [1990], Maniac Cop 3. Il distintivo del silenzio [1993]), tutti lungometraggi in cui la vera protagonista è la metropoli, con i suoi demoni e i suoi gironi infernali; una metropoli di cui Lustig conosce bene luci e ombre, provenendo dal famigerato Bronx, e che ricostruisce su schermo con uno sguardo radicale il quale, consapevolmente o meno, diventerà humus fertile per tante opere a seguire, worldwide.
Qualcuno, probabilmente, obietterà che tutto ciò non basta a giustificare l’asserzione scritta sopra, ovvero che Lustig sia un personaggio da amare e ammirare addirittura smodatamente. Ed è vero, non può certamente bastare: i suoi film, per quanto intrascurabili (almeno secondo chi scrive), possono non piacere o tenere distanti per vari motivi. Dunque perché abbandonarsi alla retorica dell’amore? Si potrebbe rispondere, semplificando ulteriormente, che un ragazzino cresciuto a pane e drive-in con il sogno del cinema – districandosi nell’industria facendo qualunque cosa (lo stunt, l’assistente montatore, l’assistente produttore e tanto altro) pur di farcela a realizzare il proprio film, infine riuscendoci – meriti se non amore, quantomeno ammirazione. Ma anche posta così, la giustificazione resterebbe debole.
C’è però anche un altro grande motivo per amare Bill. Riguarda la sua attività collaterale di imprenditore, quell’attività che si chiama Blue Underground e tanta gioia ha portato nelle case dei fan e dei collezionisti di cinema cult di tutto il mondo. Forse non tutti sanno che già nel 1997, svestiti (momentaneamente?) i panni del regista, Lustig si è dedicato con caparbietà e professionalità assoluta al settore della produzione di documentari e featurettes di ogni tipo, per impreziosire le edizioni home video realizzate dalla benemerita Anchor Bay, label statunitense specializzata nel recupero e nella diffusione di quei b-movie che, prima dei revival modaioli dell’ultimo decennio, le etichette più rinomate snobbavano drasticamente, figurarsi approfondirli andando alla ricerca delle testimonianze di registi, attori, doppiatori e tutte le maestranze che orbitavano intorno a quei film.
L’apporto diretto di Lustig con la sua Blue Underground – società fondata anche per gestire questa tipologia di lavori per Anchor Bay – è stato determinante per arricchire concretamente le edizioni prodotte dalla label, che puntava infatti a diventare una sorta di Criterion – etichetta Usa di riferimento nell’home video mondiale – con l’ossessione del cinema di genere più di nicchia e bistrattato; ma è stato un contributo significativo anche per la diffusione di un approccio alla materia allora quasi del tutto inedito – più consapevole, più serio – dell’editoria nei confronti della settima arte di cui stiamo parlando; quell’approccio che oggi è una regola basilare per chiunque voglia proporre edizioni speciali degne di essere prese in considerazione.
A fare la differenza, oltre all’indiscutibile competenza di un addetto ai lavori proveniente dallo stesso background cinematografico che si prefiggeva di raccontare, c’erano e ci sono, predominanti, la sincera passione di Lustig per quegli universi cinematografici e la sua natura di collezionista.
Perché sì, diciamolo, Bill è uno di noi, uno che sa cosa un fan di Dario Argento, Lucio Fulci, Umberto Lenzi o Enzo G. Castellari (per limitarci a qualche regista italiano) pretende da un dvd, e adesso da un Blu-ray. Lo sa bene perché sono le stesse cose che anche lui desidera trovare nelle edizioni home video dei titoli che venera, indipendentemente dal loro genere di appartenenza. Così, con il supporto di altri validi collaboratori (si pensi per esempio a David Gregory, poi fondatore dell’americana Severin Films, fedele a Lustig da sempre; o più recentemente, restando in Italia, a Federico Caddeo e alla sua Freak-O-Rama Productions), Lustig ha prodotto, scritto, diretto e co-diretto alcuni tra i documentari più entusiasmanti apparsi alla fine degli anni Novanta come special featurettes di dvd da collezione. Lavori che, partendo da un dato film, ne approfondivano aspetti principali e secondari attraverso una ricognizione capillare di materiali d’archivio e testimonianze dirette, mandando in brodo di giuggiole ogni appassionato che, a quel punto, non poteva più farsi bastare dischi dai contenuti risicati o basici, sapendo che negli Stati Uniti la Blue Underground di Lustig detonava le sue prime bombe, innescate dalle edizioni home video, spesso region free, sfornate da Anchor Bay.
Emblematici esempi di quanto detto sono i lunghi documentari (quasi un’ora ciascuno) dei primi anni 2000 realizzati per Maniac e Opera di Dario Argento (1987), ovvero The Joe Spinell Story – sentito omaggio all’attore protagonista del principale cult lustighiano – e il bellissimo Conducting Dario Argento’s Opera. Ma sono veramente tantissimi i lavori che si potrebbero citare come chicche di questa laboriosa ed esaltante “seconda attività”; lavori che spesso sono diventati di rilevanza assoluta e imprescindibile per chiunque voglia saperne di più di quel film o quel regista, basti pensare alla poderosa e preziosissima produzione di featurettes concepite per scandagliare e documentare l’atipico e mastodontico cinema di Jess Franco, che tutt’oggi continuano a essere riproposte, su licenza, anche da tante altre etichette nel mondo.
Avete ancora qualche perplessità sul perché amare smodatamente il nostro Bill? Se oltre a essere appassionati di cinema siete anche collezionisti, ogni dubbio dovrebbe essere già sparito. Comunque sia, rilanciamo, perché con Lustig le sorprese non finiscono mai.
Dal 2002, infatti, Blue Underground è diventata una vera e propria etichetta indipendente, e non si limita più a occuparsi (quasi) esclusivamente della produzione di materiale bonus – pur di alto livello – per le edizioni home video pubblicate da soggetti partner come la Anchor Bay (la quale nel 2005 ha avuto anche qualche problema legale e finanziario, si è trasformata in Starz Home Entertainment, per riabilitarsi con il nome originale solo nel 2008).
Dopo questo upgrade netto ed eclatante, la casa è passata direttamente alla pubblicazione di edizioni realizzate internamente, a partire dai titoli scelti e dai master video presentati. Il lavoro si è ampliato, ma l’approccio è rimasto quella che ha contraddistinto Lustig in tutte le sue esperienze legate agli ambiti cinematografici, cioè quella del professionista “fanatico” che non vuole accontentarsi e pretende di realizzare tutto al meglio delle proprie possibilità.
Le opere affrontate continuano a essere quelle dell’area dei generi provenienti da tutto il mondo e, forte delle esperienze fatte con Anchor Bay – quando per suo conto si occupava anche della supervisione e del restauro dei materiali originali disponibili dei film da pubblicare – anno dopo anno Lustig sfida ogni concorrenza portando sulle mensole dei collezionisti più esigenti edizioni top, curate sotto ogni punto di vista.
Certo, non sempre tutte le ciambelle riescono con il buco, e nel corso degli anni non sono mancate uscite problematiche che hanno fatto storcere qualche naso, ma bisogna dare a Bill ciò che è suo, e riconoscere la serietà di una label che, comunque, ogni volta che ha commesso qualche errore concreto – magari rilasciando dischi fallati a causa di problemi legati all’authoring, o all’encoding – è sempre corsa ai ripari correggendo i difetti e organizzando agili prassi di sostituzione dei dischi per tutti coloro che ne facevano richiesta (chiara dimostrazione dell’attenzione che Blue Underground, e quindi Lustig, riserva ai propri seguaci: un conto sono gli investimenti, il mercato e le sue leggi; altro conto è il rispetto nei confronti di chi compra un disco e non merita di ricevere brutte sorprese).
Di fatto oggi, anno 2020, in piena era Blu-ray e UHD, possiamo dire che Blue Underground è diventata una tra le etichette di riferimento nel mondo per la pubblicazione ad altissimi livelli home video di cinema cult, e ha chiuso il 2019 con una sfilza di stupefacenti restauri e scan 4K che hanno letteralmente lasciato tutti a bocca aperta. Ci riferiamo, per fare solo un paio di esempi, alle eccellenti Limited Edition 3 Disc (BD, Dvd, Cd) con i nuovi master di Zombi 2 (1979) e Lo squartatore di New York (1982) di Lucio Fulci: due restauri eseguiti con il massimo scrupolo filologico, sfruttando le migliori tecnologie del contemporaneo, che garantiscono la più esaltante visione casalinga possibile dei classici del maestro romano. Edizioni che hanno polverizzato, senza se e senza ma, tutti gli altri dischi precedentemente, o contemporaneamente, usciti nel mondo.
Sempre restando in “zona Fulci”, è imminente, mentre scriviamo, il rilascio del nuovo scan BU di Quella villa accanto al cimitero (1981) che, come si intuisce facilmente dai primi test apparsi in rete, sarà l’ennesima bomba sganciata dalla label per aggiornare e ribadire, ancora una volta, quale dovrebbe essere – oggi che tutti si improvvisano editori – il livello qualitativo di un master video davvero degno di menzione.
I collezionisti di ogni dove, compreso chi scrive, ringraziano commossi, e attendono trepidanti tutte le nuove, succulenti sorprese che Blue Underground ha in serbo quest’anno per il suo pubblico.
Dunque regista prezioso, imprenditore furbo, agguerrito e competente, produttore instancabile, fan entusiasta del miglior cinema di genere: William “Bill” Lustig è tutto questo e anche di più. Ecco perché amarlo e ammirarlo.
Lunga vita a Bill! Lunga vita a Blue Underground!