Suite francese e naumachia

Gianpiero Mattanza
Walt Disney – Il mago di Hollywood n. 10/2015
Suite francese e naumachia

Ci sono uomini il cui fascino storico precorre di molto la realtà cronachistica che ne descrive le gesta. Personalità così superiori ad ogni definizione da trascenderle tutte, non senza prima averle disintegrate. È il caso di Henry de Monfreid, avventuriero e scrittore francese vissuto tra Otto e Novecento, la biografia del quale, firmata dal poliedrico giornalista Stenio Solinas, è stata recentemente pubblicata da Neri Pozza. La vita del futuro “Diavolo del Mar Rosso” ha inizio in una cittadina costiera francese: figlio di Georges-Daniel, pittore che vorrebbe instradarlo ad una tiepida vita borghese, sin da giovanissimo mostra un carattere inquieto ed avventuroso, che lo conduce a scegliere il mare come palcoscenico della propria esistenza. Quale professione avrebbe mai preferito? «Marinaio. Il mare ha sempre esercitato su di me un effetto magico, come un serpente che mi affascina e mi attira» (p. 66). Le avventure di Henry de Monfreid iniziano ufficialmente nel 1911, quando s’improvvisa commerciante di caffè a Gibuti, una delle colonie francesi in Africa. In realtà, la vita del mercante “tradizionale”, così com’è, lo attrae poco. Già nel 1913, infatti, inizia a gestire un traffico di armi tra Gibuti, l’Etiopia ed il Corno d’Africa, che lo porta più di una volta a toccare con mano la dura vita del carcere. Ciò che lo muove, sottolinea Solinas, non è la sete di denaro – che vede come semplice mezzo per raggiungere l’indipendenza – quanto il desiderio di infrangere ogni convenzione borghese, di fuggire dalla schiavitù di qualche squallido lavoro “normale” che l’avrebbe portato a diventare un animale domestico. La vita del «cane sciolto» comporta «dei rischi, ma è diabolicamente appassionante e questa esistenza di imprevisti è assolutamente necessaria alla mia ragione di vivere. Se dovessi figurarmi di nuovo nel ruolo di un qualsiasi signore delle nostre città moderne, sarebbe la morte» (p. 77). Sorta di novello Rimbaud che, contrariamente a quest’ultimo, prima si rende protagonista d’infinite avventure e poi le racconta nei suoi (settanta) libri, de Monfreid vive gli anni più turbolenti del colonialismo occidentale in Africa. Anni che comprendono anche la creazione dell’“Impero” italiano, nutrito dalla retorica fascista e tenuto in piedi tra intrighi e faide tribali: tra commercio legale e contrabbando, il Nostro ha anche il tempo di fare da spia per gli italiani in funzione anti-inglese, venendo addirittura descritto come «commesso viaggiatore del fascismo». Attività che gli permette di fare il reporter di guerra, ma che nel 1942 gli procura l’ennesimo arresto, questa volta per mano inglese, con l’accusa – naturalmente – di spionaggio. Altra attività praticata in questo periodo è il traffico di hashish, venduto soprattutto agli egiziani, che oltre a vari altri arresti gli induce ponderosi introiti. Ammirato dagli italiani, disprezzato dai francesi – che lo vedono come un imboscato e un criminale – e odiato dagli inglesi, Henry non ha alleati a parte il mare, nei cui confronti «è fatalista, è l’unica entità che veramente rispetti, la sola cui riconosca quel diritto di vita e di morte che emana dalla sovrana indifferenza per il genere umano» (p. 70). Nel 1947 Abd el-Hay (cioè il Nostro con il suo nome islamico, assunto dopo la conversione in Africa) torna in Francia: qui, nel 1974, conclude la propria parabola esistenziale, all’età di novantacinque anni. Il corsaro nero è, in poche parole, una biografia scritta utilizzando gli stilemi della prosa narrativa, che descrive una vita già di per sé più che “romanzesca”. Da leggere. Stenio Solinas, Il corsaro nero. Henry de Monfreid l’ultimo avventuriero, Neri Pozza, Vicenza 2015, pp. 252, € 17,00.

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