
Molto tempo fa, in una regione lontana che oggi non esiste più, viveva un mercante di stoffe preziose con sua moglie, una sarta talmente abile che, quando il re si maritò, le fu chiesto di confezionare gli abiti per il corredo della regina.
I compaesani non videro di buon occhio la rapida ascesa della sarta e presto le malelingue cominciarono a chiamarla strega; secondo alcuni era dal demonio che aveva imparato l’arte di confezionare vestiti con tessuti intinti nella magia più spaventosa.
Il vociare del popolino andò rafforzandosi quando la regina partorì una femmina al posto dell’atteso erede maschio. Fu l’anno successivo, alla nascita della seconda figlia, che le voci arrivarono alle orecchie del re. Quando la regina rimase incinta per la terza volta, il sovrano diede ordine di bruciare tutti gli abiti del corredo e d’imprigionare la sarta, promettendo che, se a seguito di questa decisione fosse nato un maschio, la donna sarebbe stata condotta al rogo come strega.
Qualche settimana dopo, il mercante venne a sapere che anche sua moglie era incinta e chiese udienza a corte per implorare misericordia.
«Tua moglie sarà liberata solo quando sarà provata la sua innocenza, ovvero se la regina partorirà ancora una femmina; in caso contrario, avremo la conferma che i vestiti imbastiti da tua moglie sono maledetti» fu la risposta del sovrano.
Nove mesi dopo nacque l’erede maschio.
Il giorno stesso fu allestita la pira. Ognuno fece la propria parte: i contadini dei dintorni pensarono alla legna, i carpentieri sollevarono il palo, gli spazzacamini portarono cento sacchi di cenere sui quali allestire il rogo e il fabbro forgiò lacci di ferro con i quali immobilizzare la strega. Tutto questo fu fatto in un sol giorno e alla sera iniziò il martirio.
Tutto sembrava andare nel migliore dei modi quando avvenne qualcosa di miracoloso: prima che le fiamme lambissero i piedi della sarta, dal suo ventre sgusciò fuori una bambina che cadde sul letto di cenere, dando al sarto il tempo di prenderla e portarla in salvo. Fu per questo motivo che egli la chiamò Cenerentola.
Un giorno il mercante conobbe una vedova con due figlie: avevano nobili origini ma erano successivamente cadute in disgrazia. Intravedendo in quella famiglia un futuro più sicuro per sé e per Cenerentola, la sposò.
Le cose andarono bene finché il mercante non cadde da cavallo rimanendo gravemente menomato, incapace di parlare e di muoversi; fu allora che le tre donne presero il sopravvento su Cenerentola, con l’obiettivo di mandarla in convento per poi accaparrarsi la sua eredità. Fintanto che la giovane non avesse accettato di prendere i voti, sarebbe stata costretta a espiare i suoi peccati facendo la sguattera.
Cenerentola sopportò le ingiustizie con rassegnazione per evitare al genitore ulteriori sofferenze e umiliazioni.
La matrigna e le due figlie erano molto determinate nel volersi impossessare dell’eredità, ma la ragazza era più forte del previsto e il rischio che resistesse fino al momento di entrare in possesso dei beni del padre era reale. La soluzione si presentò quando un banditore si fermò nella piazza del paese per annunciare un evento eccezionale: il re aveva concesso al principe di scegliere la ragazza da sposare; per questo motivo, aveva organizzato un ballo a corte al quale si sarebbero dovute presentare tutte le giovani spasimanti del reame.
«È un’occasione che non dobbiamo perdere» disse la matrigna.
«Il principe è mio» fece la prima figlia.
«No!» urlò la sorella dando una spinta a Cenerentola, che cadde a terra; entrambe la presero a calci, come fosse lei la causa del litigio. Gli occhi del padre fissavano increduli la scena; fu in quel momento che decise di aiutarla.
Nelle quattro settimane che mancavano al ballo Cenerentola fu dispensata da ogni dovere domestico: aveva diverse costole rotte, sputava sangue e non riusciva a stare in piedi. Non avevano più bisogno di lei: belle com’erano, le due sorellastre erano sicure che il principe avrebbe scelto una di loro.
Dopo tre settimane, Cenerentola era in fin di vita, ma una notte il padre andò a farle visita.
«Sei tu?»
«Sono proprio io, tesoro mio, sono qui per aiutarti».
Lei si mise a singhiozzare.
«Non piangere» fece lui, asciugandole le lacrime con un soffio, «presto starai bene e sposerai il principe.»
Lei tese una mano ma la abbassò subito per la stanchezza.
«Ascoltami» fece il mercante, dandole un bacio sul petto e facendo svanire il suo dolore. «In un angolo della stalla c’è una botola ben nascosta: lì sotto troverai le stoffe che donai a tua madre quando me ne innamorai; sono di tre fatture differenti, una sottile e trasparente, l’altra morbida e calda, l’ultima rigida e inamidata. Usa la prima per fare un velo che copra il tuo volto: ti renderà invisibile e desiderabile. La seconda è per il vestito: basterà un solo ballo per accendere nel principe un fuoco inestinguibile. La terza, infine, è per le scarpe, che terranno vivo in lui il ricordo della passione provata per te. Sono venuto in questo paese perché amavo tua madre e ora lo lascio perché amo te.» Detta quest’ultima frase, voltò le spalle e uscì dalla stanza.
L’indomani, la ragazza corse nella camera del padre: il corpo dell’uomo giaceva sul letto, senza vita.
Dopo la sepoltura, si ricordò di quanto le aveva detto e andò a cercare la botola nella stalla.
Quando arrivò la notte del ballo, Cenerentola non aveva ancora finito il suo abito. Il principe avrebbe dovuto necessariamente indicare la sua sposa entro la mezzanotte: se non lo avesse fatto, sarebbe stato il re a scegliere la moglie giusta per lui, destinata a regnare.
Alle sei di sera il castello era già tutto illuminato; ogni torre e ogni merlo era attrezzato di torce contornate da specchi che diffondevano una luce magica visibile per chilometri.
Il ballo iniziò alle sette; le sorellastre furono tra le prime ad arrivare, per attirare l’attenzione del principe. Le ore passarono velocemente e le danze interminabili stancarono il rampollo prima di quanto egli avesse immaginato.
Cenerentola, recatasi a piedi al castello, arrivò alle undici passate. Fece il suo ingresso nella sala con il viso nascosto da un velo azzurro, ma il suo sguardo raggiunse il principe e lo scosse, benché di spalle; questi lasciò la ragazza con la quale stava ballando e si diresse verso la misteriosa giovane.
Abbracciarsi e iniziare a ballare fu un’unica cosa: la prese per la vita, accarezzando la seta del corpetto; gli sembrò di sentire il calore della sua pelle. Rimaneva meno di un’ora alla fine del ballo, ma lui aveva già scelto: era quella la donna con cui avrebbe diviso il regno.
A mezzanotte il re scese dal trono e attraversò la sala: «Figliolo, hai scelto la donna da prendere in sposa?».
«Sì, padre, è lei» disse, sollevando la mano di Cenerentola.
Fu in quel momento che il re s’immobilizzò: «Questi vestiti» balbettò. «Conosco questo tessuto» disse il re, sfiorandola. Provò a parlare ancora ma la saliva gli si fermò in gola, soffocandolo; divenne blu e cadde a terra. Il principe tentò di aiutarlo ma era troppo tardi; quando si rialzò, lei era scomparsa tra la folla. Provò a rincorrerla: l’unica cosa che trovò fu una delle sue scarpette d’oro e broccato.
Il giorno dopo fu dichiarato il lutto in tutto il reame; al fastoso funerale intervenne l’intera popolazione e i regnanti delle regioni circostanti. L’unico assente, almeno con la mente, fu il principe. Aveva trascorso la notte in adorazione della scarpetta. Ne aveva imparato alla perfezione le forme ma soprattutto l’odore; sembrava che il tessuto fosse stato fatto apposta per assorbire l’essenza della misteriosa dama. Un profumo inconfondibile, un misto di sapore animale, spezie e fiori; e la morbidezza era tale che baciandola gli sembrava di essere ancora in sua compagnia.
Due giorni dopo decise che l’avrebbe trovata a qualsiasi costo e mandò in giro dei banditori ad annunciare che la proprietaria della scarpa sarebbe stata la prossima regina. Uno dei suoi consiglieri gli fece presente che l’odore è un elemento distintivo che i cani sanno distinguere meglio degli uomini; per questo fu addestrata una muta da caccia per cercare quel profumo in tutti i villaggi del regno.
Molte ragazze si presentarono come proprietarie della scarpetta ma il fiuto degli animali era così fino che non fu possibile ingannarli.
Giunsero infine nella casa di Cenerentola. Le sorellastre erano pronte ad accogliere i cani del principe con uno stratagemma suggerito dalla madre: una delle due figlie, quella con maggiori probabilità di successo, aveva cosparso le proprie estremità con un velo di strutto. I cani, golosi dell’alimento, si sarebbero soffermati entusiasti, indicando quella come la prescelta al trono. E così fecero: due grossi mastini annusarono i piedi della prima figlia, scartandola subito; quando passarono all’altra, l’odore di grasso li mandò in estasi e cominciarono a scodinzolare; tuttavia, addestrati a non mangiare né leccare nulla senza aver avuto l’ordine dal loro padrone, non la sfiorarono.
Subito fu chiamato il principe, che arrivò alla villa qualche ora dopo, con la scarpa.
«Maestà» disse il consigliere, soddisfatto del proprio lavoro, «ecco la ragazza.»
Il giovane s’inginocchiò e le prese il piede; appena lo portò al naso e sentì l’orrendo odore di grasso, si allontanò, spostandolo verso i cani. Un segnale che le bestie interpretarono come un invito: vi si avventarono sopra, azzannandolo e sbranandolo fino alla caviglia. Quando ebbero finito di spolpare l’appetitoso boccone, uno di loro si voltò verso la porta della cantina, fiutando una nuova traccia: in pochi secondi furono tutti nella stanza di Cenerentola.
Il principe capì subito chi fosse quella ragazzetta timida e scialba ma tanto seducente, lanciò via la scarpa e si gettò ai suoi piedi, rimanendovi per molto tempo.
Qualche mese dopo, Cenerentola divenne la nuova regina e non passò un anno che prese in mano le redini del regno e di quel popolino che tanto male le aveva fatto.
E iniziarono i roghi.