Spiando Marina. Eutanasia del thriller martiniano
Sergio Martino n. 5/2017
di Valentino Saccà
Che cos’ha in comune Spiando Marina con la precedente produzione thriller di Sergio Martino?
Per l’occhio dello spettatore più accorto è immediatamente evidente che Spiando Marina non è propriamente un thriller e, se lo è, si affranca quasi totalmente dagli elementi espressivi impiegati da Martino nella sua precedente produzione. L’elemento erotico è predominante all’interno della cornice estetica, in cui quasi ogni fotogramma è costruito con compiaciuto esibizionismo attraverso dettagli anatomici del disponibile corpo di Debora Caprioglio.
Siamo agli inizi degli anni Novanta e il cinema di genere sta subendo una lenta mutazione espressiva che lo porterà presto al declino, dopo aver imperato nei decenni precedenti producendo codici stilistici a posteriori seminali. Sergio Martino pare consapevole nel realizzare un prodotto per lui atipico, tentando di esplorare il noir erotico che, tra gli Ottanta e i Novanta, riscuote notevole successo. La sporcizia fotografica, tra le carte vincenti dei thriller italiani seventhies, ha lasciato il posto a un’illuminazione piatta e uniforme. Spiando Marina aderisce perfettamente a questa svolta, proponendo un approccio dal timbro marcatamente televisivo, patinato.
Il corpo di Caprioglio non presenta tracce di violenza (carnale) come invece succedeva a quelli delle precedenti protagoniste, quando il leitmotiv era spesso l’efferato assassinio di donne bellissime. Marina è un’autentica dark lady come noir comanda e Martino inverte drasticamente il segno distintivo del genere, trasformando la sensuale protagonista da vittima in carnefice e abbassando il desiderio sessuale maschile dalla violenta volontà di possessione al completo asservimento. Il film si apre con un maldestro déjà vu hitchockiano – l’ossessionante ricordo del protagonista Mark, che rivive la morte della moglie – destinato a manifestarsi con reiterati flashback in corso d’opera.
Il discorso sul corpo è inoltre interessante perché svela un approccio molto inusuale nel cinema martiniano, specialmente thriller. La prima volta che il protagonista vede dal balcone della sua stanza la desiderabile Marina è proprio lui, in quanto maschio e soggetto guardante/desiderante, a offrirsi nudo allo sguardo spettatoriale, mentre lei, in quanto donna e soggetto guardato/desiderato, appare vestita. Inoltre, poco prima si assisteva a un nudo di Mark sotto la doccia, in cui il suo corpo era simbolo di vulnerabilità ed erotismo. Solo successivamente la situazione pare entrare nei moduli precostituiti del genere – con Mark soggetto guardante/desiderante nell’atto di spiare (appunto) Marina – ma anche in questo caso si segnalano varianti. Prima di tutto Mark è mostrato ancora nudo fino alla cintola, quindi inerme voyeur in balìa del gioco sessuale a cui lo sottopone la donna. Inoltre lei non è sola in stanza, bensì con il suo amante che la sta spogliando e possedendo. Questo esempio di messa in scena sposta definitivamente il valore dello sguardo e scompagina le carte nel gioco dei sessi. Va infine evidenziato come il regista introduca a forza nel thriller-erotico la componente action-muscolare già preponderante nel precedente American risciò (1990), quando i nudi con pistola di Mitchell Gaylord avevano segnato un cambiamento di significanti all’interno dell’eros martiniano. In Spiando Marina questa sensualizzazione plastica del corpo maschile viene accentuata dalla vulnerabilità di Mark.
Per molti il film è indissolubilmente legato a una breve sequenza, diventata tristemente famosa, che coinvolge le abbondanti forme di Caprioglio e un boa. A voler guardar bene un serpente appariva già nel citato American risciò, dove assumeva connotati misterici e paranormali. Qui, invece, il povero rettile viene fatto scivolare allusivamente sul corpo di Marina inquadrato nudo fino all’ombelico, prima di un close-up sul volto della donna intento a parlare all’animale. Non c’è nulla di sensuale in queste immagini, che sconfinano nel ridicolo (in)volontario sia per l’assoluta povertà di messa in scena, sia per la brevità della sequenza. La banalità del monologo, poi, fa il resto. Il serpente diventa così il risibile simbolo del peccato, di una sessualità animale, riportando alle visoni peep anni Ottanta di Ilona Staller con il mitico pitone Pito-Pito.
Con Spiando Marina si ha un esempio di script bolso e maldestro, dal quale scaturiscono battute (in)consapevolmente ilari come: «Non parlerai la mia la lingua ma a quanto pare la capisci bene, vero brutto stronzo?», e ancora: «Alcuni minuti fa se ne stava nuda seduta sul suo letto a giocare con il suo serpentello». Questo basta a provare il divertimento creato dalla scrittura di Piero Regnoli e Martino. Anche il rapporto suono/immagine è decisamente penalizzante a livello di messa in scena, in quanto la colonna sonora risulta spesso sconnessa rispetto alle immagini mostrate, non possedendo la minima aderenza alla tensione rappresentata (palpabile nelle intenzioni, quasi nulla negli esiti) e limitandosi a riverberare uditivamente la prurigine di superficie: Luigi Ceccarelli, stimato compositore sperimentale, appiattisce le proprie competenze musicali sulla mediocrità dell’operazione messa in campo da Martino, limitandosi a sottolineare le forme della Caprioglio con un soundtrack adeguato a un softcore.
Il film è a tutti gli effetti l’operazione formalmente più informe diretta da Martino (sotto lo pseudonimo di George Raminto) e prodotta dalla storica Dania Film. L’etichetta trash con la quale si è tentati di marchiarlo è fortemente motivata sia da tutto il discorso estetico-formale, sia dalla scelta di un cast degno di una coeva telenovela. Con Spiando Marina il regista non fa altro che nutrire e assecondare stancamente la moda dell’erotico patinato e televisivo molto in voga a inizio anni Novanta, cavalcata persino da un maestro come Mauro Bolognini in La villa del venerdì (1991). Dopo questo esito il cinema di Martino attraverserà una fase di buio: i tempi di strani vizi per signore, di stanze chiuse e colori del buio sono decisamente alle spalle e Spiando Marina resta il massimo esempio di una decisiva eutanasia del thriller martiniano.
CAST & CREDITS
Regia: Sergio Martino (come George Raminto); soggetto: Sergio Martino (come George Raminto); sceneggiatura: Piero Regnoli, Sergio Martino (come George Raminto); fotografia: Giancarlo Ferrando; costumi: Silvio Laurenzi; montaggio: Alberto Moriani; musiche: Luigi Ceccarelli; interpreti: Steve Bond (Mark Derrick), Debora Caprioglio (Marina Valdez), Sharon Twomey (Irene), Leonardo Treviglio (Hank Matters); produzione: Dania Film, National Cinematografica; origine: Italia, 1992; durata: 90’; home video: dvd Federal Video; colonna sonora: inedita.