
«Un pomeriggio una bambina vide oltre gli alberi di prugne un treno fermo nel sole con tante spose affacciate ai finestrini»; «Il 15 dicembre 1933 un treno viaggiava verso New York. Portava tanta gente comune ma portava anche un personaggio famoso. […] L’uomo, Fats Waller, aveva 39 anni, ed era stanco…». Date, nomi, città e un treno che viaggia sempre, ora per suggerire una visione quasi onirica, ora per trasportare uno dei più grandi pianisti jazz della prima metà del Novecento verso la sua fine. Il primo incipit, recitato da Luciano Emmer, è di Sposi, film a episodi del 1987; il secondo appartiene ad Aiutami a sognare, sceneggiato televisivo in tre puntate (poi accorpate per l’uscita in sala) andate in onda in prima serata su Rete 1 il 14, 21 e 28 dicembre 1982. Il trait d’union è naturalmente Pupi Avati, la parola chiave è nostalgia.
La declinazione della stessa, in tutte le sue forme, è un gioco a cui il regista emiliano ci chiede di partecipare con la medesima soddisfazione con cui vorrebbe intrattenerci a cena in un’osteria di Bologna, fino a tarda notte. Con Aiutami a sognare Avati parte proprio dalle campagne attorno al capoluogo emiliano per tornare indietro con la memoria a un tempo in cui in lui, complice l’età, c’era stupore, ma non consapevolezza. Negli anni che precedono la fine della Seconda guerra mondiale ambienta la storia d’amore lieta, ma non totalmente a lieto fine, tra Francesca e il pilota americano Ray, ma quello che a lui interessa maggiormente – lo si capisce già dalle parole e dal tono dell’incipit – non è la testimonianza storica, quanto rincorrere il mito di un Paese, gli Stati Uniti, e della sua musica.
Glenn Miller, Fats Waller, Bing Crosby, le big band del jazz, il musical classico: si tratta di una dimensione affettiva che Avati continua a ritagliarsi attraverso la televisione dopo la miniserie Jazz Band del 1978, costruendo un meccanismo che conserva la fascinazione per le note, il movimento centripeto dei piedi – complice la presenza di Hermes Pan, coreografo di alcuni dei maggiori successi della coppia Fred Astaire/Ginger Rogers – senza avere però la melancolia disillusa di Cantando sotto la pioggia (1952). Probabilmente questa sua adesione indefessa a tale immaginario non sarebbe stata così presente se la sua passione per il clarinetto non si fosse scontrata con l’esuberanza incontenibile e originale di un giovane Lucio Dalla: fu lui, non ancora regista, a introdurlo allo studio dello strumento e sempre lui pensò di ucciderlo, spingendolo giù dalla Sagrada Familia di Barcellona, una volta accortosi che l’allievo non solo aveva superato il maestro, ma lo aveva “costretto” a smettere. Storie a parte, il modo in cui Avati cuce il film addosso alla musica rappresenta il tentativo di (ri)creare un ambiente protetto dove custodire i ricordi. Una nostomania per immagini, una sfera di neve – della stessa materia di cui è fatta quella che s’infrange all’inizio di Quarto potere (1941) – che qui prende la forma della vecchia casa colonica dove la protagonista era cresciuta, ancora permeata dai momenti che l’avevano animata in passato. In questo microcosmo dove tutto sembra essersi fermato e dove la guerra fa capolino solo per innestare nella narrazione una minima componente di mistero, i personaggi, come nel musical classico, accettano la loro natura finzionale: ballano e cantano canzoni che non conoscono, suonano un’intera orchestra pur avendo a disposizione solo un pianoforte, in pratica vivono nel sogno di qualcun altro – il regista – in quella terra di mezzo dove ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere diventano un unico appello accorato ai “bei tempi”. La nostalgia è nelle note che riempiono quei luoghi – già a partire dai titoli di testa con la canzone Help me to Dream, scritta da Riz Ortolani, alla prima di una lunga serie di collaborazioni con Avati – e vengono diffuse da una vecchia radio messa in primo piano, al pari di un narratore. Sedetevi, ci chiede l’autore, che vi racconto una storia.
Con Sposi, e in particolare con l’episodio che impegna Avati sia come sceneggiatore che come regista, siamo da tutt’altra parte, ma la musica non cambia (Ortolani compreso). L’anno è il 1987, il giorno il 14 agosto: Luca, celebre conduttore televisivo – interpretato da Jerry Calà, in un ruolo per lui insolito e in piena coerenza con il percorso di “svezzamento drammatico” compiuto da Avati nei confronti dei principali volti comici anni Ottanta, da Diego Abatantuono (Regalo di Natale [1986]) a Ezio Greggio (Il papà di Giovanna [2008]), da Massimo Boldi (Festival [1996]) a Christian De Sica (Il figlio più piccolo [2010]) – non riesce ad accettare la probabile fine della sua carriera. Barricato in una stupenda residenza estiva a Fregene, non vuole dare retta ai consigli del suo agente. La sua immagine ha perso appeal tra le fasce di pubblico tradizionali, la gente comune, a causa di una vita sentimentale troppo burrascosa, costellata di mille avventure, di bevute, di comportamenti sopra le righe. L’unica soluzione è sposare una ragazza “normale” che, però, porti il peso di una colpa: Assunta Morisi, violentata da tre teppisti qualche anno prima. Qui il luogo non c’entra, la casa è solo un rifugio dove tutti possono entrare e uscire a loro piacimento tranne il protagonista, unico a rifiutare il mondo esterno. È in questa chiusura intima, e non attraverso i luoghi, che la nostalgia prende campo passando sempre per quei “vecchi tempi”, sinonimo di successo ma anche di distanza. Luca si presenta quasi come un archetipo nostalgico: nonostante eriga un muro di arroganza tra lui e la realtà, desidera ingenuamente ritornare in quel soggiorno abituale che fino a pochi mesi prima era la televisione. La lotta è tutta interiore, tra un Io che abita nel passato e a cui si deve necessariamente dire addio e un Io presente che deve mutare, riscoprendosi paradossalmente più spietato, ma anche più umano.
In definitiva, entrambi i film mostrano una certa dose di paura che il mondo dei ricordi si dissolva in modo irrecuperabile e che a sostituirlo non arrivino sentimenti e immagini all’altezza. Ma al tempo stesso c’è la voglia di esorcizzare quella paura, di contrapporre a un “se succede davvero questo, poi?” la presenza di una vita in costante movimento, come fosse passeggera di un treno, consapevole di avere a disposizione uno spazio ideale e fisico dove conservare tante madeleines, ognuna con la sua musica.
CAST & CREDITS
AIUTAMI A SOGNARE
Regia: Pupi Avati; soggetto: Pupi Avati; sceneggiatura: Pupi Avati; fotografia: Franco Delli Colli; montaggio: Amedeo Salfa; musiche: Riz Ortolani; interpreti: Mariangela Melato, Anthony Franciosa, Orazio Orlando, Jean-Pierre Léaud, Paola Pitagora; produzione: A.M.A. Film, Rai; origine: Italia, 1981; durata: 180’ versione televisiva, 112’ versione cinematografica; home video: dvd Rai Trade (versione televisiva); colonna sonora: inedita.
SPOSI (PRIMO EPISODIO)
Regia: Pupi Avati; soggetto: Pupi Avati; sceneggiatura: Pupi Avati; fotografia: Cesare Bastelli; montaggio: Amedeo Salfa; musiche: Riz Ortolani; interpreti: Jerry Calà, Delia Boccardo; produzione: DueA Film, Numero Uno Cinematografica; origine: Italia, 1987; durata: 20’; home video: inedito; colonna sonora: inedita.