Eccentrici ultracorpi. "La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone", "Bordella" e "Tutti defunti… tranne i morti"
Cecilia Ermini
Inscrivere l’opera cinematografica di Pupi Avati in un solo genere è impossibile. Polimorfo per natura, il suo cinema è immune da tentativi di categorizzazione, fieramente libero di dialogare, in maniera sotterranea e anarchica, con i registri più disparati e sempre pericolosamente in bilico fra sacro e profano. Tra le infinite ramificazioni di un corpus così stratificato è però plausibile rintracciare, fin dall’esordio Balsamus. L’uomo di Satana (1968), una debordante pulsione “sottoculturale”. Chiaramente non nella sua accezione riduttiva, ma in quella orgogliosa sfumatura di resistenza popolare a un mondo ormai mercificato e uguale a se stesso.
In La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone (1975) Avati sembra dare una prima forma compiuta – sospesa tra l’anticlericale, il caustico e il deforme – a questo suo cinema di ultracorpi, confezionando un racconto quanto mai intricato e selvoso che ha per protagonista il barone Anteo Pellacani, soprannominato “La gambina maledetta” per via di un incidente che ne ha stroncato la promettente carriera d’atleta. Il nobile storpio ritorna nella sua Bagnacavallo per ereditare la villa e il terreno che furono teatro, anni prima, del suo incidente, causato dalla caduta da un albero di fico considerato miracoloso dopo che, nell’anno 726, la giovane Girolama Pellacani vi aveva sacrificato la propria verginità. Ed è proprio l’antefatto “sacro” che apre il film, nel quale un gruppo di prelati assiste a una proiezione privata di un documentario, a ricostruire le vicende dell’albero “santo” ed esplicitare l’intenzione avatiana di rifarsi, in chiave contemporanea, a una comicità di stampo cavalleresco. La logica di tale cifra è quella del meraviglioso, dell’impensabile, dell’assurdo e Avati, nel breve prologo, filma le origini del “mito” traducendo subito nella coscienza dello spettatore il gusto dell’avventura e della stravaganza, il senso popolare della meraviglia.
Ma sono i corpi, qui più che mai, a creare stupore: personaggi-mostri, fisicamente fuori norma, lontani anni luce dai canoni estetici imperanti, sfuggiti, non si sa come, ai meccanismi della riproducibilità tecnica del cinema. Ma per il regista bolognese gli “ultracorpi” non sono unicamente le tre zie baffute di Pellacani, il pelosissimo Fava sul trattore, la prostituta Silvana dalle curve fasciate in latex rosso, il curato strabico che ascolta i peccatori tramite un confessionale videotape (antesignano del Grande Fratello) o i volti arcaici di una Emilia-Romagna resistente al consumismo e all’omologazione. Sono, invece e soprattutto, gli uomini di potere della Chiesa.
Nemmeno la tanto sbandierata post-rivoluzione sessuale del ’68 è immune dal mercimonio (e dalla critica avatiana), ma se in La marzurka il discorso sulla mercificazione del sesso è solamente accennato, in nome di una più urgente e abrasiva denuncia del bigottismo ancora imperante, con Bordella, realizzato un anno dopo, il regista si concentra sulla nascente industria del sesso. Film che scandalizzò a tal punto da subire un intervento censorio a cui seguì il sequestro, anche Bordella, come La mazurka – nel cui incipit le immagini del giovane barone dialogano con la Leni Riefenstahl di Olympia (1938) – si apre con scene d’archivio. Questa volta riguardano il segretario di Stato degli USA Henry Kissinger e la presunta ideazione della American Love Company, una multinazionale del sesso che ben presto apre un bordello milanese per signore, animato da un bestiario variegato di ultracorpi sessuali, dall’ex campione impotente di boxe al maniaco sessuale uscito di prigione. Anche qui corpi sgraziati, goffi, improponibili, addirittura immateriali (il finale con L’uomo invisibile di James Whale [1933]) sono per Avati l’arma ideale per la lotta alla standardizzazione globalizzata, all’imperialismo culturale americano, e il tripudio di citazioni hollywoodiane “ribaltate” ne è la conferma: la cliente che risponde al nome di signora Miniver, titolo di un film di William Wyler; l’ufficio di mister Chips (qui il richiamo è alla pellicola di Sam Wood) dove il protagonista Al Lettieri, al quale il film è dedicato a causa della prematura scomparsa, incontrerà un cavallo parlante di nome Francis (come il mulo della serie di film anni Cinquanta); il lunghissimo duello di spade che, per inventiva, ricorda il celebre Scaramouche di George Sidney (1952).
Bizzarro pastiche di commedia, musical e satira politico-sociale, Bordella, fra le polemiche, cede il posto a Tutti defunti… tranne i morti (1977). Già nel titolo c’è la chiave del mistero che può apparire, a un primo sguardo, come una semplice parodia dell’immaginario legato al filone giallo e horror. Realizzato l’anno successivo a La casa dalle finestre che ridono (1976), con lo stesso team di sceneggiatori e quasi tutti gli attori (fatta eccezione per Lino Capolicchio), il film, proprio per questo, sembra quasi un divertissement realizzato durante le pause di La casa, una sorta di suo spin-off allucinato. Ambientato negli anni Cinquanta, con un canovaccio di trama che ricorda Dieci piccoli indiani, il film si nutre di libri antichi, porte che cigolano, rebus, profezie e un gruppo di famiglia in un interno che verrà decimato da un misterioso assassino. Dopo la religione e il sesso, questa volta ad Avati interessa, grazie al consueto tuffo caustico nella parodia, sbeffeggiare e ribaltare gli stereotipi di un genere, il giallo-thriller all’italiana, relativamente “fresco” ma già vittima uniformata dalla produzione in serie. Dopo i jazzati titoli di testa, infatti, il primo delitto smaschera immediatamente la realtà delle intenzioni: l’ombra dell’assassino intento a uccidere appare subito; Avati, con la sua macchina da presa, indugia sulla suspence ma fa di più: la misteriosa voce pronuncia «Tenga!» proprio durante l’atto omicida, mentre il povero malcapitato editore si/ci chiede «Be’, cos’è?» e il killer candidamente risponde: «Una bella coltellata». Stesso procedimento quando una donna, davanti al killer, sussurra: «Non è che uccidono anche me adesso?», per poi venire imboccata con la dinamite come se fossimo in un cartoon di Wile E. Coyote. Mescolando lo slapstick e le comiche di Laurel & Hardy al terrore più primitivo, il regista, sulla falsariga di I tre volti della paura di Mario Bava (1963), riflette sui meccanismi meta-cinematografici in un’escalation di omicidi – alcuni di grande fantasia, come quello con il phon-pistola – che ha per vittime una cameriera nana, un guercio servitore dai guanti bianchi, un parente frenosessuale ammanettato per non masturbarsi. Ma, come suggerisce il titolo, per questi ultracorpi avatiani la fine non è certo sottoterra. Anche perché, dopo qualche anno, qualcuno scoprirà i terreni K (Zeder [1983]), trovando così un luogo che garantirà vita eterna a questi corpi di “resistenza”.
CAST & CREDITS
LA MAZURKA DEL BARONE, DELLA SANTA E DEL FICO FIORONE
Regia: Pupi Avati; soggetto: Pupi Avati, Antonio Avati; sceneggiatura: Pupi Avati, Antonio Avati, Gianni Cavina; fotografia: Luigi Kuveiller; montaggio: Ruggero Mastroianni; musiche: Amedeo Tommasi; interpreti: Ugo Tognazzi, Paolo Villaggio, Delia Boccardo, Giulio Pizzirani, Lucio Dalla, Gianni Cavina, Bob Tonelli; produzione: Euro International Film; origine: Italia, 1975; durata: 102’; home video: dvd RaroVideo; colonna sonora: Beat Records.
BORDELLA
Regia: Pupi Avati; soggetto: Pupi Avati, Gianni Cavina, Antonio Avati; sceneggiatura: Pupi Avati, Gianni Cavina, Antonio Avati, Maurizio Costanzo; fotografia: Erico Menczer; montaggio: Amedeo Salfa, Ruggero Mastroianni; musiche: Amedeo Tommasi; interpreti: Al Lettieri, Christian De Sica, Gigi Proietti, Gianni Cavina, George Eastman, Vincent Gardenia; produzione: Euro International Film; origine: Italia, 1976; durata: 100’; home video: dvd Minerva Pictures; colonna sonora: Ricordi.
TUTTI DEFUNTI… TRANNE I MORTI
Regia: Pupi Avati; soggetto: Pupi Avati, Gianni Cavina, Antonio Avati, Maurizio Costanzo; sceneggiatura: Pupi Avati, Gianni Cavina, Antonio Avati, Maurizio Costanzo; fotografia: Pasquale Rachini; montaggio: Maurizio Tedesco; musiche: Amedeo Tommasi; interpreti: Carlo Delle Piane, Francesca Marciano, Gianni Cavina, Greta Vajan, Giulio Pizzirani, Bob Tonelli; produzione: A.M.A. Film; origine: Italia, 1977; durata: 99’; home video: dvd RaroVideo; colonna sonora: inedita.