Nella quarta di copertina del numero #2 di INLAND. Quaderni di cinema – dedicato a François Ozon – era annunciato Nicolas Winding Refn come oggetto di studio dell’uscita successiva. Poi venne Lav Diaz, che sparigliò le carte e si impose come numero #3. Ora il cerchio si chiude e, dal prossimo fascicolo, ci proponiamo di tener fede ad annunci e promesse con maggior puntiglio. Sarà la volta di Sergio Martino, in un esperimento eccentrico – ma sempre coerente – rispetto alla vocazione e alla ricerca della nostra rivista. Ne riparleremo a tempo debito. Per il momento concentriamoci su questo piccolo gioiello, il #4, confezionato grazie alla passione e alla professionalità della redazione, al cui timone guida come di consueto Ilaria Floreano, affiancata, a partire da questo numero, da Caterina Bogno, nuova leva di cui siamo molto fieri. A monte del caleidoscopico oggetto che avete tra le mani c’è però l’idea di Marco Cacioppo, critico, sceneggiatore e filmmmaker particolarmente vicino alla galassia NWR per ragioni umane e professionali. Sua è stata la scintilla che ha incendiato una curatela la quale, per la seconda volta (dopo Giulio Sangiorgio-Giampiero Raganelli per Diaz), ha reso la guida di INLAND un lavoro bicefalo. Il tutto, ça va sans dire, a vantaggio di quella molteplicità di sguardi e approcci che soltanto l’incontro tra sensibilità cinefile e percorsi professionali differenti (i gusti e le interpretazioni di Cacioppo e il sottoscritto talvolta collimano, talvolta divergono, e vivaddio) ha potuto finora garantire alla collana di saggi Bietti Heterotopia e a questi quaderni, che della prima sono l’ormai imprescindibile spin-off.
Ora, però, la domanda fondamentale: perché Nicolas Winding Refn? La risposta è semplice: perché, piaccia o no – e direi che la bilancia critica, dopo Solo Dio perdona. Only God Forgives e The Neon Demon, è in equilibrio tra i due opposti – è un autore che, più di altri, oggi ha qualcosa da dire. Sebbene sempre più distante dalle logiche del mercato e dai bisogni narrativi del grande pubblico, è una mente capace di intercettare e introiettare le istanze e le pratiche basilari dell’immaginario audiovisivo contemporaneo (e prossimo venturo), offrendo testi complessi capaci di racchiudere al loro interno cartografie citazioniste, divagazioni nel videoclip e spaccati di videoarte, intrecciandoli alle grandi narrazioni archetipiche e a primordiali viaggi di (anti)eroi. Opere come Fear X, Valhalla Rising. Regno di sangue, Solo Dio perdona e The Neon Demon rendono conto di un percorso di ricerca verticale che, con sempre più insistenza, ha affiancato (e sopraffatto?) quello più leggibile e vendibile dei Pusher, Bronson e Drive. Cinefilo e collezionista, vorace divoratore di immagini e suoni, ultimamente Refn si è autoproclamato NWR, facendosi icona e marchio. Una griffe, questa, che ne attesta la complessa consapevolezza autoriale e al contempo la problematica autoreferenzialità.
Mentre le sale cinematografiche lamentano incassi risibili alle proiezioni dei suoi ultimi film, il dibattito critico e intellettuale sembra non poter prescindere da lui e dai suoi modi operandi. Questo accade perché all’interno delle sue opere – in larga parte incomprensibili agli occhi di un pubblico non edotto – ci sono i numeri primi del futuro audiovisivo. Normale, dunque, che NWR faccia infervorare chi il cinema lo studia e, al contempo, lasci piuttosto freddo – finanche sconcertato – lo spettatore medio. Altrettanto normale, infine, che abbia scatenato la vis saggistica degli autori che compongono il nostro numero #4, aperto da un’intervista monstre realizzata da mister Cacioppo, da un profilo umano e professionale tratteggiato da Manlio Gomarasca – amico, collega e interlocutore costante di Nicolas – e da uno studio sui documentari a tema Refn firmato Alessandro Stellino. La sezione “Confluenze”, poi, ha dato vita a letture variegate e talvolta contrastanti su un autore sul quale i punti di vista e i tagli tematici possono (spesso devono) entrare in rotta di collisione. Emblematico, in tal senso, il divergere tra l’approccio di Pier Maria Bocchi e quello di Marco Lazzarotto Muratori: se il primo sostiene e motiva la necessità di prescindere dalla psicanalisi, per il secondo la psicanalisi è punto di partenza e nodo cruciale. Numerosi, poi, i contributi che attestano la prismaticità dell’arte refniana: Giulio Sangiorgio entra con perizia nei gangli che la collegano all’opera di Kenneth Anger; Andrea Bruni incarica la sua prosa raffinata, evocativa e ricercata di sviscerare le connessioni con l’arte di Alejandro Jodorowsky, altro nume tutelare di NWR; l’universo cine-musicale viene affrontato con puntiglio da Leonardo Gregorio – che, come un agile e spietato ragno, si muove con disinvoltura nella complessa ragnatela semantica intessuta dal Nostro – e dal compositore di colonne sonore Vivien Villani, che approfondisce l’utilizzo della musica in Drive. Infine, la sezione “Audiovisivi” ospita come sempre firme di indubbio valore, impegnate a scandagliare i singoli movimenti della sinfonia refniana: Emanuele Sacchi, Raffaele Meale, Angelo Iocola, Mirco Moretti, Massimiliano Martiradonna, Andrea Fornasiero, Massimo Zanichelli, Mauro Gervasini e Alessandro Uccelli tornano (in alcuni casi iniziano) a scrivere per INLAND e a loro – come all’illustratore Alessandro Colombo e a tutti gli autori di questo piccolo, prezioso fascicolo – va il mio ringraziamento. Perché INLAND è gratuito e, perciò, non può permettersi di pagare le proprie eccellenti firme. Il fatto che tali firme (e che firme) impreziosiscano le pagine che state per leggere dimostra quanto, talvolta, si possa semplicemente credere in un progetto culturale. Che, da nostro, è diventato vostro.