«Laudator Temporis Acti»: storia e mito in Robert E. Howard
Pietro Guarriello
Dopo il successo del personaggio di Conan, lanciato prima dal fumetto e poi nelle sale cinematografiche, molto si è scritto e discusso sul suo creatore, Robert Ervin Howard (1906-1936): le sue influenze, le sue qualità narrative, il contesto in cui s’inserisce nell’ambito del fantasy (o, meglio, di quel particolare filone denominato fantasia eroica, o sword and sorcery, per usare una locuzione straniera oramai d’uso comune anche da noi, che letteralmente significa “spada e magia”), il modo d’interpretare e d’intendere la sua narrativa, finanche la sua stessa vita di scrittore, per certi versi, “maledetto”. Molto poco si è detto, invece, sulle fonti originali e sulle radici dei suoi apprezzati racconti – tematiche archeologiche e mitologiche che costituiscono dei semi-archetipi, letterari e leggendari. Ciò non è strano, se si considera la sua grande passione per la storia, la cronachistica antica e le memorie di un passato lontano in cui spesso la verità si mescola e confonde con miti e leggende, che da sempre contribuiscono allo Zeitgeist di ogni civiltà, e che riemergono nelle opere dell’autore come chimere narrative. Già diversi anni fa, in uno studio pionieristico sulla heroic fantasy (1), il critico Alex Voglino notò che «in Howard si ripropone, in pratica, il tema della riattualizzazione di situazioni letterarie e di temi di fondo che vengono da lontano». Dalla mitologia, appunto, e dall’epica. Alla base dell’opus del texano non vi sarebbe, quindi, «una semplice iridescenza di vane fantasie, ma la decomposizione di miti antichissimi che risalgono all’età in cui i popoli interpretavano in maniera simbolica l’aurora, il tramonto, il sorgere delle stelle» (2).
La ricca biblioteca di Howard era stipata di decine e decine di tomi sull’argomento, nei quali verosimilmente va ricercata l’autentica fonte primaria della sua ispirazione (3). Di queste sue letture Howard dà ampio risalto nelle lettere scritte a corrispondenti e amici (4), che documentano in modo critico il livello raggiunto dalla sua erudizione, nonché i suoi vasti e sterminati interessi. Tra le varie fonti di mitologia vi è l’intramontabile The Age of the Fable, la poderosa e importante raccolta curata da Thomas Bulfinch (non a torto considerato il Robert Graves del XIX secolo) amata e studiata anche da Lovecraft.
Considerata la visione del mondo di Howard, non stupisce che il fulcro della sua passione fosse la storia antica, preferibilmente quella del periodo pre-celtico e celtico, l’Età del Bronzo e del Ferro della preistoria britannica, includendo in genere tutto il passato più remoto, avvolto nelle nebbie della leggenda. Egli era praticamente un laudator temporis acti, come gli antichi chiamavano i celebratori del tempo che fu, ed è importante sottolineare la sua forte convinzione che le “memorie” storiche delle civiltà più antiche sopravvivessero nel racconto dei miti di popoli e nazioni – come confermato oggi da eminenti studiosi, fra cui Joseph Campbell, il quale ha indirizzato in tal senso quasi tutte le sue ricerche (concretizzatesi in libri come Il linguaggio dei miti o Il racconto del mito). Nel corso di alcuni decenni, tuttavia, la verità storica di alcune leggende è stata documentata anche da numerose scoperte archeologiche: gli scavi di Schliemann non hanno forse rivelato la fondatezza della leggenda di Troia? Occorre quindi tenere in gran conto la massima del filosofo Karl Jaspers, secondo cui i miti contengono sempre simboli e crittogrammi che è necessario decifrare affinché si possa arrivare a una Verità.
Tornando alle “preferenze” di Howard, è lui stesso a dirci, nella sua autobiografia, che il “fulcro principale” del suo amore per la storia, la tradizione e la leggenda è, per l’appunto, l’antica Britannia (5). Questa “scoperta” avvenne molto presto, quando non era che un ragazzino. A soli quattordici anni – ci informa Lyon Sprague de Camp, suo biografo ufficiale – trascorse alcuni mesi col padre a New Orleans: giunto in città, la prima cosa che fece fu visitare la più vicina biblioteca pubblica, dove la sua immaginazione fu colpita da un libro sulla Britannia ai tempi della conquista normanna. Howard ne ricavò un’impressione profonda, che avrebbe portato dentro di sé per tutta la vita.
L’interesse per le storie delle terre d’Albione si trasfuse presto nella sua narrativa, fin dai primi racconti; ne La Razza Perduta (The Lost Race, 1927) riportò una teoria che voleva fossero stati i Cimbri i primi a insediarsi in terra irlandese, mentre la maggior parte degli storici dell’epoca propendeva per altre ipotesi (6). Howard, tuttavia, non scrisse mai dei veri e propri saggi di argomento storiografico, sebbene la sua sterminata erudizione in materia gli permettesse di controbattere persino alle teorie d’illustri professori; ciononostante, con i suoi corrispondenti ne disquisiva con passione, e dal suo ricco epistolario possono essere estrapolati dei veri e propri saggi sull’argomento.
Se si tiene presente questa propensione dello scrittore verso l’antichità, la sua abilità nel costruirvi intorno delle superbe narrazioni, diventa emblematico un curioso episodio della sua vita. Nel 1931, fra i lettori di «Weird Tales» si sparse la voce che egli non fosse un semplice scrittore, ma un insegnante di storia antica in un’università della California che si dilettava, per gioco o per soddisfare il proprio ego, a scrivere racconti per i pulp del tempo. Questa notizia circolò così insistentemente, anche nelle missive dei lettori della rivista, al punto che il direttore Farnsworth Wright si vide costretto a scrivere una lettera a Howard, pregandolo di confermare o screditare la voce. La smentita fu quindi pubblicata sulle pagine dedicate alla posta di «Weird Tales». Howard era particolarmente orgoglioso di questo episodio (7), che in effetti dimostra la sua grande abilità nel costruire e tratteggiare retroscena molto verosimili.
L’influenza, il fascino e le suggestioni esercitate sull’autore di Cross Plains dalle fonti dell’antichità si dichiarano in modo particolare all’interno della sua narrativa del periodo più maturo, quando iniziò a far “piazza pulita” dei nomi inventati a favore di quelli tratti dal passato, limitandosi talvolta a qualche leggera modifica. Questo tratto è palese nella sua creazione fondamentale, l’Era Hyboriana, per la quale elaborò addirittura un intero scenario pseudo-storico e mitologico, retroscena e sfondo della serie di Conan il Barbaro. Dando libero sfogo alla propria immaginazione, il Bardo di Cross Plains fece vagare Conan in ogni angolo del globo, nell’Europa primeva, in Asia o in Africa, tramutandolo di volta in volta in mercenario o guerriero, ladro o bandito, pirata o predone. I lettori amavano quelle storie per il loro sapore nuovo, che combinava l’azione eroica alla Burroughs con la magia nera, le divinità maligne di Lovecraft e i favolosi imperi preistorici di Clark Ashton Smith. Questo scenario “fantastorico” fu ispirato dalla lettura, nel 1931, di una serie di articoli sull’Atlantide scritti da un funzionario francese. L’Era Hyboriana prende infatti vita, forse non casualmente, dal presunto sprofondamento di Atlantide, una leggenda alla quale R. E. H., a modo suo, credeva (8). La sua creazione si colloca prima dell’inizio delle ere conosciute e finisce con un cataclisma, la cui memoria si trascina fino alle vaghe e distorte leggende dei giorni nostri.
Dopo aver scritto il pezzo intitolato l’Era Hyboriana, Howard passò il manoscritto a Lovecraft, suo amico e corrispondente, il quale, dopo averlo letto, lo commentò in una sua lettera, dicendo come Howard possedesse «più vivido e drammatico senso della storia» di chiunque altro. Tuttavia, HPL rimproverò al suo corrispondente di usare troppo spesso, forse facendone un abuso, nomi ripresi dal passato reale.
Se si tiene però conto della particolare natura ucronica del mondo creato, la soluzione appare sotto una luce diversa. Così facendo, Howard suggellò fantasticamente quell’ideale continuità fra storia e mito che aveva sempre vagheggiato. La Cimmeria di Conan, ad esempio, non è un nome inventato, come molti potrebbero essere indotti a pensare, giacché era una terra reale (ne parlò anche Omero, nell’Odissea) anticamente posizionata in Asia Minore, nel territorio che oggi viene chiamato Armenia (9), anche se Howard nelle sue narrazioni l’identificava con la Scozia, pensando forse alla sopracitata teoria che voleva fossero proprio i Cimmeri il primo dei popoli celtici insediatisi in Britannia.
Lo stesso nome di Conan deriva dalle leggende irlandesi. L’esperto Sprague de Camp, nel suo piccolo dizionario dei nomi Hyboriani (10), ha ipotizzato una sua filiazione da Conann (con la doppia enne finale), leggendario re fomoriano la cui gente era in stato di perenne conflitto con i Nemediani (altro popolo dell’Irlanda preistorica inserito da R. E. H. nell’Era Hyboriana). Ma, molto probabilmente, il personaggio di Conan deve più alla leggenda che alla storia; nei miti celtici si parla infatti di tal Conan Mac Morna (ovvero, Conan “figlio di Morna”), colui che si diceva fosse il guerriero più impavido e avventuroso dei Fianna, le milizie al comando dell’alto Re nel III secolo a. C. Come si narra nelle cronache, egli era molto forte e coraggioso (per questo era conosciuto anche come Conan “il Baldo”) ed eccelleva in molte discipline; oltre a usare, a volte, un linguaggio scurrile, amava il sidro e le belle donne. Notati i sorprendenti parallelismi, si può tranquillamente affermare che proprio questo personaggio potrebbe, con ogni probabilità, essere stato il modello e l’ispiratore del Conan di Howard, il quale sicuramente conosceva questa leggenda. Al pari degli Eroi del Mito, l’esistenza di Conan è costellata di lotte, passioni e drammi epici e divini, nonché di numerose stragi fra uomini e mostri. Come le saghe del folklore tradizionale, la narrativa howardiana entra insomma nelle fonti dell’immaginario.
Un altro interessante parallelismo, in bilico tra realtà e leggenda, risiede nella figura del dio Crom, la divinità dei Cimmeri howardiani, il cui nome potrebbe farsi risalire all’antico culto irlandese di “Crom Cruach” (“Dio della Collina”), divinità sanguinaria rappresentata da un grande idolo d’oro al quale i Celti sacrificavano bambini per propiziarsi la fertilità delle messi. Nelle Antiche storie e fiabe irlandesi troviamo inoltre un altro eponimo, “Crom Déroil”, che la leggenda voleva fosse un druido con qualità di veggente e poteri semidivini.
Di esempi come questi se ne potrebbero citare a centinaia, utilizzando i nomi di luoghi e personaggi scelti da Howard per costruire l’Era Hyboriana, nella cui creazione letteraria fece confluire e, in pratica, compendiò tutte le sue letture, le sue conoscenze e anche le credenze storiche e mitologiche, creando uno sfondo plausibile e non alternativo a quello reale – e, quindi, proprio per questo così vivido e realisticamente verosimile.
Può forse sembrare un controsenso definire l’universo di Howard come un mondo non alternativo a quello reale (al contrario, ad esempio, di quello inventato e descritto da Tolkien, La Terra di Mezzo), ma ci sono buoni motivi per credere che Howard costruì effettivamente la sua Era Hyboriana sulla base di precise fonti storiche, e non solo sull’onda dell’immaginazione.
Diversi indizi, infatti, indurrebbero a pensare che l’autore texano si fosse ispirato per l’Era Hyboriana a credenze e concetti storici risalenti al V secolo a. C. È nelle cronache di quel periodo che si parla anche, per la prima volta, di quel favoloso regno del Nord chiamato Iperborea, situato nelle Terre Incognite, di cui si poteva solo favoleggiare. Quella, inoltre, fu l’epoca in cui i Cimmeri, secondo gli storici, sarebbero stati scacciati dalle rive del Mar Nero dagli Sciti (gli antenati dei Pitti), andando poi a insediarsi in Britannia, diventando così i primi Celti. Era quindi un’epoca che Howard trovava storicamente interessante e di cui subì il fascino, con tutta probabilità ispirandovisi direttamente per tratteggiare l’ambiente e l’epoca mitica dei suoi racconti. Del resto, anche il più volte citato de Camp, primo esperto e studioso di cose howardiane, notò come i nomi ripresi e trasferiti da Howard nell’Era Hyboriana fossero soprattutto quelli del periodo compreso tra il IV e il VI secolo a. C.
Anche uscendo dall’era di Conan e guardando al resto dell’opera howardiana troviamo chiare evidenze analoghe. Innanzitutto quel senso, quella presenza mai secondaria dell’antichità e del remoto che fa da sfondo a quasi tutte le sue storie (anche di ambientazione moderna), molti dei cui protagonisti sono immaginati e ritratti a partire dalle gesta degli eroi del passato irlandese. Pensiamo a Turlough O’Brien (che compare in racconti celebri, come L’uomo nero o Gli dei di Bal-Sagoth), che storicamente era un nipote di Brian Boru, morto nella leggendaria e sanguinosa battaglia di Clontarf, combattuta in Irlanda contro i nemici danesi (11). O a Cormac Mac Art (protagonista di storie perlopiù inedite in Italia), realmente vissuto nel III secolo dell’Era Cristiana, che fu uno dei supremi re d’Irlanda, fondatore, secondo la tradizione, della mitica fortezza di Temair. Anche un personaggio minore come Conn, che appare nel racconto Il crepuscolo del dio grigio, fu tratto da una leggenda irlandese: questi fu, infatti, un valoroso re d’Irlanda (spesso chiamato anche Conn “dalle Cento Battaglie”), dalla cui figura, secondo alcuni storici, sarebbe derivato il nome della regione del Connacht.
Se Howard utilizzò spesso nomi reali, “rielaborando” e a volte plasmandovi sopra cronache e personaggi leggendari, se ne appropriò però in un contesto personalissimo e del tutto originale. La letteratura fantasy, a ben vedere, si è formata nient’altro che dalle varie fonti mitopoetiche: l’epica e la fantasia tradizionale, il folklore, le saghe e le fiabe.
In conclusione, si potrebbe definire Robert E. Howard un “evemerista” della letteratura, che trasformò in rappresentazione fantastica i fatti storici portati sul piano della leggenda. Ma il suo rapporto con la storia e il mito fu molto più profondo e “intimo” di quanto emerso dai saggi e dalle biografie a lui dedicati, travalicando l’interesse della semplice lettura. È per questo che il suo stesso uso delle parole assume, nei momenti migliori, nello spazio di un racconto o nelle righe frammentarie di una poesia, il carattere di un mito universale.
- Cfr. Alex Voglino, Le radici della fantasia eroica, in Heroic Fantasy, a cura di Lin Carter, Fanucci, Roma 1979.
- Vladimir J. Propp, Le radici storiche dei racconti di magia, Newton&Compton, Milano 1992, p. 130.
- Per una lista, peraltro selettiva e senza pretese di completezza, dei volumi presenti nella biblioteca di R. E. H., cfr. Robert E. Howard’s Library, in The Dark Barbarian. The Writings of Robert E. Howard: a Critical Anthology, a cura di Don Herron, Greenwood Press, Westport 1984, pp. 183-200.
- Una significativa scelta dell’epistolario howardiano è stata pubblicata, dalla Necronomicon Press, in due fitti volumetti di Selected Letters nel 1989 e nel 1991, a cura di Glen Lord e S. T. Joshi.
- A Touch of Trivia, in The Last Celt: a Bio-Bibliography of Robert Ervin Howard, a cura di Glenn Lord, Berkley Publishing, 1977.
- Edward Lhuyd, le cui teorie Howard menziona in una lettera, era dell’idea che i primi abitanti della Britannia fossero stati i celti gaelici, mentre di tutt’altro avviso erano le tesi dello storico William Baxter, il quale vedeva nei “Briganti” i primi Britannici.
- Cfr. Selected Letters. 1931-1936, cit., p. 7.
- «Circa Atlantide, credo sia esistito qualcosa del genere, sebbene non faccia mie le teorie su una civiltà evoluta che vi abitava […]. Io penso che gli Atlanteani fossero semplicemente gli antenati dell’uomo di Cro-Magnon, i quali, per qualche ragione, sfuggirono al fato che distrusse il resto della tribù.» Selected Letters. 1923-1930, cit., p. 20.
- Per ulteriori notizie cfr. Francesco Bruni, La Cimmeria di Conan tra mito e leggenda, ne Il ritorno di Conan, «Yorick Speciale», n. 17bis, Reggio Emilia 1996.
- Lyon Sprague de Camp, I nomi Hyboriani, in Id., Lion Carter e Björn Nyberg, Conan il Barbaro, Mondadori, Milano 1980.
- Probabilmente pochi sanno che, ancor prima di Howard, questo personaggio storico fu sfruttato narrativamente anche dal grande scrittore vittoriano di ghost stories Sheridan Le Fanu, il cui romanzo The Fortunes of Colonel Turlogh O’ Brien fu serializzato nel 1846 a Dublino, a cura di James Mc Glasham. Cfr. Gary William Crawford, J. Sheridan Le Fanu: a Biobibliography, Greenwood Press, Westport 1995.