Isaac Asimov è il solo scrittore di fantascienza noto ben oltre il circuito dei fan del genere – una fama planetaria, legata al successo dei suoi cicli narrativi e forse ancor più a un’infaticabile attività di divulgatore in ogni campo del sapere. La difesa della ragione laica, del progresso e della democrazia, la visione ottimista delle macchine pensanti come sicure alleate dell’uomo, un fiducioso pacifismo fondato sull’idea della necessaria e inevitabile fusione dell’umanità in una Società Globale retta da un unico Governo Mondiale – questi elementi gli hanno fatto guadagnare anche il ruolo di bonario guru del pensiero ateo, razionalista e scientista di stampo illuminista. Seppur non infondata, quest’immagine è superficiale e limitata. Letta in controluce, la sua opera svela infatti equivoci e sorprendenti motivi mitopolitici legati a temi scabrosi come la manipolazione psichica, le influenze occulte operanti nella storia e soluzioni politiche (quali un governo mondiale e una tecnocrazia “illuminata”) dai risvolti totalitari. Asimov mostra l’interferenza di tre rilevanti miti moderni: l’Impero universale, la cospirazione millenaria e il Re del Mondo. In questa sede parleremo dell’ultimo e dei testi in cui affiora, cioè la trilogia di Foundation e il romanzo La fine dell’Eternità.
La prima spazia dal tramonto del Primo Impero Galattico all’Interregno che ne segue. Lo scienziato Hari Seldon scopre la psicostoria, «branca della matematica che studia le reazioni di un agglomerato umano a determinati stimoli sociali ed economici… Implicito in tutte queste definizioni il fatto che l’agglomerato umano in questione deve essere sufficientemente grande da consentire valide elaborazioni statistiche. […] Un ulteriore assunto è che la comunità esaminata deve essere, essa stessa, all’oscuro dell’analisi psicostorica affinché le sue reazioni siano assolutamente istintive» (1). Applicando la scoperta a triliardi di sudditi galattici, questo singolare scienziato-profeta pronostica il crollo dell’Impero e l’avvento di trenta millenni di oscurantismo e barbarie. Per ridurre a mille anni l’“età oscura” e favorire l’avvento di un nuovo Impero, studia un piano secolare (il Piano Seldon) che affida a due Fondazioni, nuclei del regime futuro.
La prima è una nutrita colonia di scienziati messi a redigere l’Enciclopedia Galattica, immensa Arca del sapere imperiale, il cui vero scopo è restituire unità politica alla Galassia in disgregazione. Popolo e capi devono ignorare i dettagli del Piano per seguirlo spontaneamente – manca perciò di studiosi di psicostoria, un piccolo gruppo dei quali compone invece la seconda colonia. Questa guida in segreto la storia galattica, anche grazie alla “mentalica”, disciplina che permette di leggere le menti, manipolarle o distruggerle – poteri quasi magici che, in termini pratici e simbolici, mostrano come questi “iniziati” siano i veri continuatori dell’opera di Seldon. È una comunità di studiosi soggetti a severa disciplina, dissimulati tra gli abitanti di un misterioso pianeta-rifugio, un’élite di “maghi” capaci, insomma, di manipolare la psiche individuale e collettiva, pianificando il corso della storia in vista di un remoto fine politico-messianico. È una setta segreta di tipo mistico-esoterico, una specie di Massoneria galattica.
Ne La fine dell’Eternità, invece, una sorta di limbo spazio-temporale (l’“Eternità”) ospita la comunità degli Eterni, tecnici e scienziati capaci di viaggiare nel tempo. Soggetti a un lungo e severo tirocinio, questi studiano per migliaia di anni il corso della storia, al fine di risparmiare alle varie civiltà terrestri catastrofi di ogni sorta; grazie a macchine del tempo, inviano in ogni epoca spie addestrate per studiare la società e reclutare a forza nuovi membri. Dai loro rapporti si valutano interventi “correttivi”, pianificati a mezzo di complessi elaboratori e attuati da altri agenti segreti. Anche l’Eternità pratica una sorta di psicostoria: si studia “psicomatematica” e si elaborano “profili psicologici” delle società osservate. Come nel caso precedente, una sovrastruttura mitico-religiosa lascia all’umanità solo vaghi indizi della loro esistenza (2). Eternità e Fondazioni sono accomunate dalla presenza di un’occulta, monastica tecnocrazia votata a un’arrogante missione filantropica che guida nei secoli i destini dell’umanità ignara, grazie a una scienza fantastica e segreta.
Veniamo ora al mito del Re del Mondo, che emerge alla fine dell’Ottocento negli scritti di due poligrafi francesi. Ne Les fils de Dieu (1873), lo studioso di miti indù Louis Jacolliot riporta il racconto di certi bramini sulla preistorica città di “Asgartha”, plurimillenaria sede del “Brahmatma”, capo supremo dei bramini d’India e manifestazione di Dio sulla Terra (3). Jacolliot pare ignoto ad Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, autore di scritti profetici e mistici che circolano nei gruppi esoterici fin de siècle. Ne La mission des Juifs questi aveva prefigurato l’avvento della “Sinarchia”, una teocrazia che avrebbe dovuto estendersi a tutto il mondo, sovrastare ogni Stato e perseguire un sincretismo universale sulla base dei valori giudaico-cristiani (4). Nel 1886 Saint-Yves scrive Mission de l’Inde en Europe. Mission de l’Europe en Asie (5), dedicato a un luogo occulto dell’Asia chiamato Agarttha, «dove una popolazione di milioni di persone è governata da un sovrano pontefice, il “Brahatmah” […]. Questo regno fu trasferito nel sottosuolo e celato agli abitanti della superficie all’inizio del Kali Yuga […]. L’Agarttha ha a lungo beneficiato di una tecnologia ben più avanzata della nostra, comprendente l’illuminazione a gas, la ferrovia e i viaggi in aereo. Il suo governo è quello ideale della “Sinarchia”, che le razze della superficie terrestre hanno perduto all’epoca dello scisma che pose fine all’Impero Universale nel IV millennio a. C. e che Mosé, Gesù e Saint-Yves hanno cercato di restaurare (era questo il tema della Mission des Juifs). Ora come allora l’Agarttha invia degli emissari nel mondo superiore, di cui ha una perfetta conoscenza. Non solo le più recenti scoperte dell’uomo moderno, ma tutta la sapienza delle diverse ere è custodita nelle sue biblioteche» (6).
Il mito, tuttavia, si diffonde a partire dal 1922, col racconto della fuga dalla Russia dei Soviet del polacco Ferdinand Ossendowsky, di enorme successo e più volte tradotto (7). Bestie, uomini e dèi è un western siberiano con spietati miliziani rossi, fiumi ghiacciati, bufere, capanne di fortuna e zattere di tronchi, tribù selvagge, fiere e banditi, che nei capitoli finali si muta in viaggio esotico ed esperienza mistica. Giunto in Mongolia, l’autore soggiorna tra genti diverse, visita templi e città, raccogliendo miti e leggende in cui «sente parlare di un regno sotterraneo di ottocento milioni di abitanti chiamato “Agharti”, della sua […] autorità spirituale, “Brahytma, il Re del Mondo” […] e di molte altre cose che avvalorano la tesi di Saint-Yves» (8). Ecco apparire per la prima volta il Re del Mondo, associato all’Agartha.
È un mito occidentale sotto spoglie asiatiche, dunque; d’ora in poi, tuttavia, la misteriosa Agartha si confonde con Shambala, la città sacra o regno paradisiaco del buddhismo tibetano, sede di sovrani spirituali posta su una montagna inaccessibile (9). Un esempio di tale commistione si trova nell’opera di Nicolai Roerich, pittore, esoterista, antropologo e filantropo russo emigrato negli Usa. Alla fine degli anni Venti, questi compie lunghi viaggi in Asia centrale, di cui narra in libri che ottengono una buona diffusione; in uno di essi accenna sia al popolo sotterraneo degli Agarthi sia alla città celeste di Shambala, vedendo però in quest’ultima la sede del Re del Mondo (10).
Un’elaborazione in chiave moderna del mito di Shambala/Agartha appare infine nel 1933 con Lost Horizon, romanzo dell’inglese James Hilton che narra di Shangri-La, luogo di beatitudine posto in una remota valle himalayana (11). Gli abitanti, provenienti da ogni parte d’Oriente e Occidente, vi sono giunti per caso o, come il protagonista, sono stati scelti per le loro qualità e cooptati anche a forza. Il clima unico della vallata, le virtù degli alimenti locali, la pratica di discipline psicofisiche e l’uso di speciali sostanze permettono loro di sviluppare una longevità e doti intellettuali straordinarie, applicate a coltivare ogni forma di sapere; al contempo, radunano tesori culturali di ogni epoca e Paese, per salvarli dalla prossima catastrofe mondiale e preparare il germe di una civiltà futura. La fonte ispiratrice di Shangri-La va probabilmente ricercata in alcuni passi nei quali Roerich esalta la regione himalayana come luogo elettivo di studio e saggezza per le singolari virtù terapeutiche e vitalizzanti e immagina un incontro culturale e spirituale di Oriente e Occidente, per superare i rischi di una catastrofe incombente e restaurare l’Età dell’Oro (12). Secondo Piero Di Vona, che su tale mito ha svolto una sagace ricerca, Lost Horizon «costituisce il modello esemplare del travisamento occidentale dell’idea [tradizionale e guénoniana] del centro supremo e del suo capo» (13). Anch’egli lo ritiene un mito di conio occidentale, cui attribuisce un’influenza rilevante nel XX secolo, emersa nei luoghi più vari e sorprendenti (14).
Da questo best seller Frank Capra derivò nel 1937 un film di successo. Asimov, avido lettore e spettatore, dovette restare colpito dal libro o dalla pellicola – ipotesi rafforzata da un passo di Hilton sulle ricerche svolte a Shangri-La: «Uno di essi […] faceva importanti ricerche di matematica; un altro stava coordinando Gibbon e Spengler entro una vasta sintesi di storia della civiltà europea» (15). Anche la Seconda Fondazione, infatti, conduce complessi studi di matematica e storia, e può ben dirsi che lo scrittore newyorchese si fosse ispirato a Gibbon e Spengler nel disegnare una vasta sintesi di storia futura. Se la Seconda Fondazione impersona il Centro segreto che custodisce la sapienza del mondo e ne guida la storia, la figura di Seldon, “iniziatore e legislatore” del ciclo a venire, richiama lo stesso Re del Mondo. Come la città himalayana, la Prima Fondazione sottrae il sapere universale a una prevista prossima decadenza, mentre la Seconda tiene segreta la propria esistenza, coltiva virtù particolari e sceglie i membri per cooptazione. La differenza con Shangri-La risiede nel ruolo attivo svolto dalle Fondazioni: non sono solo un rifugio degli ottimi e custodi del sapere ma parimenti agenzie occulte di un potere salvifico universale. C’è da supporre che Asimov conoscesse espressioni ben più esplicite del mito di un governo occulto mondiale: forse Roerich, se non pure Ossendowski. Se in Foundation è chiara la presenza del mito, nella missione degli Eterni trova massima espressione l’idea di un Centro Supremo che guida il mondo ma non ne fa parte (16).
Basettoni e occhialoni da icona pop celerebbero, dunque, ben altro che un bonario scrittore ateo, positivista e scientista: una figura ambigua che nutre ansie spengleriane per la fine della civiltà e produce fantasie millenariste su inquietanti élite tecnocratiche para-esoteriche e pseudo-religiose. Dottor Asimov o Mister Isaac?
- Isaac Asimov, Il ciclo delle Fondazioni, Mondadori, Milano 2005, p. 14. Il postulato della necessaria inconsapevolezza delle masse rispetto alla scienza che le studia implica la necessità da parte dello scienziato “psicostorico” di operare occultamente, secondo un “protocollo” che nega alla radice uno dei caratteri fondamentali della scienza moderna: la dimensione pubblica. Che un’idea simile sia stata partorita da un convinto assertore e divulgatore del valore supremo della scienza lascia invero molto perplessi.
- «“Come sai, i secoli sono al corrente dell’esistenza dell’Eternità […]. Hanno una vaga consapevolezza della nostra capacità di prevenire catastrofi che potrebbero essere fatali all’umanità.” […] “Ci sono cose, tuttavia” continuò Finge, “che non si devono sapere, e prima fra tutte la nostra facoltà di modificare il Reale quando è necessario. Infatti l’incertezza prodotta da tale conoscenza avrebbe effetti disastrosi» (Isaac Asimov, La fine dell’Eternità, Mondadori, Milano 1988, p. 58).
- Joscelyn Godwin, Il mito polare, Edizioni Mediterranee, Roma 2001, pp. 97-99.
- Egli sperava che il suo Sovrano fosse il Papa stesso. Il termine Sinarchia ha avuto fortuna ed è entrato nell’immaginario complottista, combinandosi con altre entità nel ruolo di supremo burattinaio occulto della Storia.
- Il libro è stato pubblicato di recente in Italia a cura di Gianfranco de Turris e con una documentata introduzione di Godwin. Cfr. Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, Il regno di Agarttha, Arkeios, Roma 2009.
- Joscelyn Godwin, Introduzione, in ivi, pp. 16-17. Alcuni studiosi (cfr., in particolare, Marco Baistrocchi, Agarttha: una manipolazione guénoniana?, in «Politica Romana», n. 2, 1995) vedono nell’opera di Saint-Yves un tentativo messo in atto da taluni ambienti cattolici per impedire la diffusione in Occidente di dottrine spirituali orientali alternative alle religioni abramitiche, creando una leggenda esoterica di sapore indù ma dai contenuti ebraico-cristiani.
- Cfr. Beasts, Men and Gods, Dutton, New York 1922 (tr. it.: Bestie, uomini e dèi, Edizioni Mediterranee, Roma 2000).
- Joscelyn Godwin, Introduzione, cit., p. 22. Accusato di plagio dal famoso esploratore Sven Hedin, Ossendowsky affermò d’ignorare del tutto il libro di Saint-Yves.
- Per Guénon, il Re del Mondo è identico al legislatore primordiale, figura propria a tutte le tradizioni spirituali che fissa le leggi di ogni ciclo cosmico-storico, presso il quale prima della fine dei tempi si ritireranno le forze spirituali, per custodire i semi da gettare all’inizio del ciclo successivo. Cfr. René Guénon, Il Re del mondo, Adelphi, Milano 1977 (apparso dapprima su «Atanòr», n. 12, dicembre 1924, poi in volume, a Parigi, nel 1927). Su questo libro controverso e sul mito di Agartha cfr. Marco Baistrocchi, op. cit.
- Cfr. Nikolaj Konstantinovič Roerich, Shambala. La risplendente, 2 voll., Amrita, Torino 1997 (sugli Agarthi cfr. vol. II, pp. 45-48; su Shambala e il Re del Mondo cfr. ivi, pp. 59-60). Su Roerich cfr. Joscelyn Godwin, Il mito polare, cit., pp. 120-126.
- James Hilton, Orizzonte perduto, Mondadori, Milano 1960. Shan-gri-La, nome di pura fantasia, è chiaramente modellata sulla Sham-ba-la del mito tibetano.
- Nikolaj Konstantinovič Roerich, op. cit., pp. 17-18.
- Piero Di Vona, Evola, Guénon, De Giorgio, ESI, Napoli 1993, p. 204.
- Dall’elusivo potere che abita Il Castello di Kafka a certe figure dei romanzi esoterici di Meyrink, dai rinascenti culti pagani descritti ne Il Serpente piumato di David Herbert Lawrence alla città nascosta di Hilton. Cfr. ivi, capp. 5 (Il Re del mondo mito del XX secolo) e 9 (Massoneria, sovversione mondiale, cattolicesimo). Secondo Di Vona perfino l’enciclica Quas Primas, con cui nel dicembre 1925 (a un anno dal libro di Guénon) Pio XI, per la prima volta nella storia del cristianesimo, definì solennemente la natura regale di Gesù e istituì la festa di Cristo Re, sarebbe la pronta risposta della Chiesa al diffondersi di questo mito nei primi anni Venti.
- James Hilton, op. cit., p. 182. È arcinoto che l’idea per il ciclo delle Fondazioni venne ad Asimov nel 1941, a seguito dell’appassionata lettura di Ascesa e declino dell’Impero Romano di Gibbon.
- Sembra ispirarsi a questo mito anche il romanzo di fantascienza, scritto nel 1952 dal prolifico Vargo Statten (alias John Russel Fearn), The G-bomb (tr. it.: Notte sul mondo, Libra Editore, Bologna 1979). Qui i pochi europei superstiti di una catastrofe globale, rifugiatisi sui monti himalayani, ridanno vita a un embrione di civiltà con l’aiuto di un saggio tibetano. Da notare anche che nel romanzo di Asimov Paria dei cieli (1950) la Terra, contaminata da millenni a seguito di una remota guerra nucleare, vede proprio nell’altopiano himalayano la sola area immune da radiazioni, nella quale s’insedia il palazzo del Governatore imperiale.