
Anni Novanta. Il cinema italiano di genere o quello che ne è rimasto sta vivendo la parabola discendente definitiva. I film dei Sergio Martino, Lamberto Bava, Enzo G. Castellari e Umberto Lenzi faticano a trovare spazio in sala e quando lo trovano si tratta quasi sempre di uscite “tecniche” per garantire migliori vendite televisive. I soldi sono pochi e le idee, manco a dirlo, ancora meno. In questo sistema incancrenito dallo strapotere del monopolio americano e da una tv interessata a smerciare ben altri tipi di prodotto a un pubblico sempre più distratto e passivo, Aldo Lado ha la bella idea di prodursi in proprio. «Mi ero rotto di lavorare per la Rai», ricorda «che mi obbligava a scendere a compromessi con cose che non mi andava di fare, e pensavo che con la produzione avrei fatto un sacco di quattrini»1. (Ri)nasce così la Futura Film: Lado rileva la ragione sociale di una società fondata negli anni Ottanta che non aveva mai operato e che fa amministrare alla moglie Silvana Battistella. Il primo film che Lado vuole produrre, però, non è uno dei suoi ma una commedia sofisticata con protagonisti Alessandro Haber e Maria Amelia Monti. Si intitola Stiamo attraversando un brutto periodo. La regia la firma un giovane esordiente, Rodolfo Roberti, che a sentire Lado «faceva il regista di una trasmissione radiofonica che mi piaceva molto». Il film è tratto da una commedia, Bhagwan… oh, Bhagwan di Riccardo Manao, che al produttore piace parecchio, anche se confessa: «Mi sono imbarcato nell’impresa perché ero assolutamente innamorato dell’arte comica di Maria Amelia Monti, un’attrice eccezionale». Fatto il film, un Lado più che soddisfatto fa il giro delle sette chiese per trovare un distributore: «Lo porto prima a uno che era stato un ex dipendente di Medusa e aveva distribuito Balla coi lupi (1990, ndr)» racconta «In precedenza gli avevo parlato del film e aveva riso tutto il tempo, quindi mi sentivo abbastanza sicuro. Invece lui mi dice: “Io mi sono divertito tanto con il tuo film, ma quando sono dietro questa scrivania ho delle responsabilità e distribuire un film italiano è un rischio”. Non ti dico la delusione». È quindi la volta del vecchio Cecchi Gori, Mario, che visiona il film in una saletta privata insieme alla nuora Rita Rusic. «Entrambi si divertirono tantissimo, ma all’improvviso entrò quell’imbecille del figlio, Vittorio, che disse: “Papà smettila di perdere tempo con Lado”. Mario, che ormai era vecchio e mezzo rincoglionito, mi disse: “Mi spiace”. A quel punto ho preso le pizze del film e le ho buttate nell’immondizia». Mossa coraggiosa, non c’è che dire, ma ci sono i debiti da onorare, soprattutto verso la Banca Nazionale del Lavoro che ha concesso un prestito.
Quindi, come sempre nel cinema italiano dell’epoca (non solo di genere), non resta altro che andare avanti a produrre per far fronte ai “buffi” del film precedente. L’occasione la offre un vecchio montatore Rai, Otello Colangeli – con il quale Lado sta finendo di assemblare la serie La stella nel parco – che è immanicato con il Ministero e fa avere al neo-produttore un Articolo 282 per un film ispirato al cannibale giapponese, Issei Sagawa, che aveva ucciso una sua compagna di studi nella Parigi dei primissimi anni Ottanta e poi se ne era cibato. Titolo provvisorio: Cari agli dei. Titolo definitivo: Rito d’amore, ritenuto alquanto più commerciale da Massimo Civilotti, che si appresta a distribuire il film con una nuova società, la Chance Film, esordiente nel 1989 con il cartone animato Quando soffia il vento di Jimmy Murakami. Civilotti offre un minimo garantito e la venditrice estera Adriana Chiesa fa un’ottima prevendita in Giappone, ma il guadagno vero è nei soldi del ministero: «Avevo ottenuto un Articolo 28, quindi ero coperto perché i soldi degli Articolo 28 erano a fondo perduto». Rito d’amore al cinema lo si vede poco, ma in quegli anni i film non sono fatti per essere visti.
Ancora meno si era visto un film prodotto dalla Futura poco prima, Scirocco. Quando infatti Lado stava già montando il progetto sul cannibale, forte dell’Articolo 28 andò a cercare qualche finanziamento anche all’estero: «Il film doveva essere una co-produzione con la Francia», ricorda Lado, «con la Films Jean Alexandre di Tony Molière, uno che aveva messo i soldi in La disubbidienza, ma quando gli spiegai l’idea di Rito d’amore mi disse che avrebbe preferito fare un film da ambientare in un paese esotico. Allora gli parlai di un soggetto che avevo scritto chiamato Amantide, che poi sarebbe diventato Scirocco. A Molière quella storia interessava molto e promise di mettere una parte del budget, ma poi non lo fece. Così tutti i costi gravarono sulla Futura Film, a parte un po’ di soldi messi da Egon von Fürstenberg perché facessi recitare il suo amante Joshua McDonald». Sia Scirocco che Rito d’amore, pur avendo ottenuto entrambi il nulla osta ministeriale (nel 1987 il primo e nel 1989 il secondo), in Italia rimangono del tutto invisibili. Anche le vendite di Adriana Chiesa non sono all’altezza delle aspettative.
Che fare allora? Un altro film, ovviamente. Lo spunto lo dà proprio la Chiesa, che ha in mente un affare facile facile e di sicuro successo. Visto che all’epoca un film violento ma semplice come L’ultimo treno della notte era andato parecchio bene all’estero, perché non farne una sorta di remake? Titolo: Venerdì nero o, come si legge sulla brochure, Dark Friday. I soldi questa volta sono ancora meno e spesi tutti di tasca propria (o meglio, prestati dalla banca). Le location sono ridotte al minimo (una villa in fondo alla Cassia, la cucina di un ristorante), con parecchi esterni nella campagna e sulla spiaggia vicino a Sabaudia e alla piazzetta dell’Eur, che era già stata teatro dell’omicidio di John Saxon in Tenebre di Dario Argento (1982).
Il cast è composto da giovanissimi alle prime armi, che sono stati e saranno più o meno impegnati in quel che rimane del cinema popolare di quegli anni: Paolo Calissano (Bugie rosse di Pierfrancesco Campanella [1994]), Robert Egon (Il fantasma di Sodoma di Lucio Fulci [1988]), Maria Grazia Di Corato (Vacanze di Natale ’90 di Enrico Oldoini [1990]), Zoe Scott (La chance di Lado [1994]) e Daniele Antonelli (Con gli occhi dell’assassino di Corrado Colombo [2001]). A Lado piace soprattutto la dark lady Silvia Cohen, «che era molto brava ma non ha mai decollato e non ho capito perché». La storia è più o meno quella di L’ultimo treno della notte, senza treno e senza troppa brutalità (per dirne una, le ragazze non subiscono violenza carnale e senza il movente dello stupro non si capisce bene quali siano le intenzioni degli aguzzini), perché si spera comunque in una vendita televisiva. Volendo si potrebbe tirare in ballo il delitto del Circeo3, ma è solo un pretesto suggerito dalla location in riva al mare. Due ragazze in libera uscita finiscono nelle grinfie di tre balordi, due uomini e una donna, che dopo averle segregate in una casa isolata le seviziano senza motivo apparente. Una fa una brutta fine e l’altra si salva solo perché in suo aiuto interviene il fidanzato, che ha girato a zonzo tutta la notte cercandola. La povertà di idee e situazioni è imbarazzante. Quando la ragazza muore i tre mentecatti si liberano del corpo abbandonandolo sul bagnasciuga di fronte alla casa. È così che il fidanzato dell’altra capisce dove sono nascosti i molestatori.
Si percepisce a pelle che a Lado di tornare sui “luoghi del delitto” di L’ultimo treno della notte non interessa più di tanto e la regia è quanto mai svogliata e tirata via. Il risultato è molto al di sotto degli standard ladiani. In Italia il film non lo vuole distribuire nessuno e delle facili vendite estere promesse dalla Chiesa non se ne realizza una. O almeno questo è quello che racconta Lado. Dark Friday sparisce semplicemente dalla faccia della Terra e nessuno sarà in grado di vederlo per parecchi anni. È il film maledetto di Lado, che non ha mai fatto mistero di considerarlo «un’enorme cazzata».
Finisce così nel 1993 l’avventura produttiva della Futura Film. Il regista torna a lavorare per la Rai e sua moglie tenta inutilmente di montare qualche progetto con la televisione. «Avevamo comprato i diritti di Calvello il bastardo», ricorda lui, «un romanzo scritto alla fine dell’Ottocento da Luigi Natoli e pubblicato da Sellerio. La sceneggiatura l’aveva scritta sempre quel Manao di Stiamo attraversando un brutto periodo, ma non siamo stati in grado di farcelo finanziare. Un altro progetto era tratto da L’obelisco nero di Erich Maria Remarque, sul quale avevo ottenuto un’opzione di diritti dalla vedova di Remarque in persona. Ero quasi riuscito a combinare coi tedeschi, ma poi la tv si è messa in mezzo e ha trasformato la sceneggiatura in qualcosa di annacquato che non aveva più senso. Portai così in Rai entrambi i copioni e un nuovo direttore mi accolse dicendo: “Queste due sceneggiature sono tra le cose più belle che abbia mai letto”. Poi, chiudendo la porta, disse: “Se vuole farle, però, deve contribuire alla campagna” di non so quale democristiano. Lo mandai a quel paese». C’è anche il tentativo di farsi finanziare un film da Aristide Massaccesi, che in quel periodo sta producendo a Salt Lake City Troll 2 di Claudio Fragasso. Lado e la moglie lo raggiungono negli Stati Uniti per proporgli il progetto di L’autobus della morte4, ma la trasferta si rivela solo una piacevole vacanza. Una delle ultime fatte insieme, perché Silvana Battistella viene a mancare all’improvviso mentre esce di casa con il marito, stroncata da un infarto fulminante. «Era il 1999», ricorda Lado, «e dopo la morte di Silvana mi trovai con un debito di 600 milioni con la Banca Nazionale del Lavoro. Ero disperato perché avevo ipotecato la casa in Sardegna e avuto l’avvallo dei miei figli, che sarebbero finiti in guai molto pesanti. Alla fine riuscii a racimolare solo 160 milioni. Mi presentai in banca e dissi al responsabile: “Se vuole ho questo, altro non riesco a trovare!”. Lui ci pensò su e poi fu comprensivo: “Va bene, le tolgo l’avvallo e l’ipoteca”, che era quello che mi interessava, “però dobbiamo far fallire la società”. A quel punto dissi: “E facciamola fallire”. Quando uscii dalla banca andai a prendere un caffè con il banchiere, che sapevo avere seguito le beghe finanziare della P.A.C. dei fratelli Bregni. Gli chiesi: “Ma avete fatto fallire anche i Bregni?”. Lui mi guardò perplesso e poi rispose: “No, poveri Bregni, loro avevano un debito troppo alto e così abbiamo fatto assorbire la loro library da Cecchi Gori, che tanto aveva con la banca un esposto ancora più grande, 350 miliardi se non ricordo male”».
Storie di un cinema che non esiste più.
Note
1 In cima ai progetti commissionati dalla Rai e indigesti a Lado c’è sicuramente Password. La tastiera muta (1990), tv movie ormai irreperibile. Secondo quanto dichiara Lado, «Me lo chiese Rai2 come episodio pilota per una serie. Relizzarono questo e, contemporaneamente, il pilot di I ragazzi del muretto: il mio si arenò, mentre l’altro fu sviluppato e nacque la fiction a puntate. Password era la storia di un uomo un po’ pazzo, che si credeva Verdi e io scelsi di fare interpretare a Flavio Bucci. Lo girai per campare, approfittando del fatto che in quel periodo avevo buoni rapporti con Giovanni Leto, funzionario della Rai. Lui era un patito dell’opera – nel 1982 aveva curato la miniserie Verdi di Renato Castellani – e assieme avevamo fatto Il prigioniero nel 1978. Quando mi propose questo progetto, accettai subito».
2 Dal 1965 al 1994, l’articolo 28 della Legge Cinema prevedeva che, per film ritenuti di particolare interesse artistico o culturale, le risorse pubbliche potessero coprire preventivamente fino al 30% dei costi di produzione a fondo perduto.
3 Con la definizione “delitto (o massacro) del Circeo” si fa riferimento al rapimento subìto dalle giovani Donatella Colasanti e Rosaria Lopez – quest’ultima anche assassinata – tra il 29 e 30 settembre 1975. Le due furono attirate da tre ragazzi (Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira) nella villa di famiglia di Ghira a San Felice Circeo e qui torturate.
4 Il trattamento originale di L’autobus della morte è contenuto in Lado A., I film che non vedrete mai, Edizioni Angera Films, Angera 2017, pp. 97-124.
CAST & CREDITS
Regia: Aldo Lado (come George B. Lewis); soggetto: Aldo Lado (come George B. Lewis); sceneggiatura: Aldo Lado (come George B. Lewis); fotografia: Gianfranco Transunto (come Frank Transunto); scenografia: Mario Garbuglia; costumi: Alberto Verso; montaggio: Mario Morra; musiche: Claudio Maioli; interpreti: Zoe Scott (Anne), Maria Grazia Di Corato (Mary, come Mary Dicorato), Paolo Calissano (G.), Robert Egon (Luke), Daniele Antonelli (Allen, come Dan Anton), Silvia Cohen (lady); produzione: Produzioni Atlas Consorziate; origine: Italia, Germania, 1993; durata: 86’; home video: vhs inedita, dvd inedito, Blu-ray inedito; colonna sonora: inedita.