Dalle ceneri
Alessandro Bottero
NeuroDiario personale di A. S.
15 settembre 204…
«È successo di nuovo. Stavo facendo la spesa, cercando di passare il più possibile inosservato, quando due ragazzi mi hanno bloccato nella corsia del megamarket. Mi hanno fissato. Poi uno mi ha chiesto se fossi proprio io. Diceva che somigliavo a uno che aveva visto su vecchi filmati nel webfantasma. Filmati dove si parlava di strani cartoni animati con robot, maghette, astronavi. Ho negato tutto. Le telecamere di sorveglianza stavano registrando, anche se quei due stupidi non se ne accorgevano, e non volevo passare ancora dei guai per colpa di due smarantz senza cervello che ravanavano tra i filmati di trent’anni fa. Domani cambierò megamarket. Troppo pericoloso».
Aldo smise di pensare agli eventi della giornata e la psicopenna si fermò. Non era sicuro fosse una buona idea scrivere queste cose, ma quando quel ragazzo gli aveva chiesto se fosse proprio lui Aldo “Harlock” Svenna, prima della paura aveva avvertito una punta di… orgoglio? piacere? soddisfazione? Non lo sapeva. Sapeva solo che si era sentito tornare indietro di quasi vent’anni, all’ultima volta in cui aveva parlato di manga e anime in pubblico, alla Animemegaconvention del 202…, prima del bando. Sembrava ieri…
31 ottobre 202…
Una città dell’Italia centrale. Una piazza. Una struttura che ospita stand di editori di fumetti, dvd, blu-ray, supporti per rivedere gli anime a casa tutte le volte che vuoi. E poi le persone. Migliaia. Cosplayer. Ragazzi e ragazze, uomini e donne che per un momento non solo si travestono, ma nella loro mente diventano qualcun altro. Per molti è solo un momento di gioia e divertimento. Per alcuni, pochi, un attimo di pura trascendenza. Di cambiamento. Di… evoluzione? È Animemegaconvention. È il raduno dei fedeli.
Aldo Svenna è uno degli ospiti della convention. Trent’anni. Ha un blog. Collaboratore free lance per alcune riviste di cinema e costume. È entrato nel mondo degli anime fan con la violenza del giovane leone che vuole sterminare i vecchi despoti e instaurare il proprio dominio. È feroce, pungente. Durante un incontro con il pubblico l’anno scorso ha fatto piangere Titti Giannetta, Regina del Cosplay, dicendole: «Titti, tesoro, non credi che sia ora di smettere di vestirti da Sailor Moon? Attorno ai fianchi ormai c’hai i satelliti».
160.000 like dopo la frase. Sguardi severi da parte degli organizzatori in pubblico, inviti a tornare l’anno dopo in privato. Perché Svenna fa pubblico. Svenna è un influencer. Svenna ha portato gli anime e i manga in prima serata. Non più il nerd divertente da tollerare (e da compatire alle spalle). Più l’adulto che ha una passione, e se gliela tocchi ti azzanna alla gola.
«Aldo, sei pronto per l’incontro?».
Roberto Terezzi, direttore della sezione eventi live dell’Animemegaconvention è nervoso. Quest’anno il numero di partecipanti alla manifestazione ha sfondato quota quattrocentomila. Ogni incontro è una lotta tra chi ha il posto prenotato e chi vuole entrare nelle sale. E nella cabina di regia, all’insaputa di ospiti e pubblico, c’è un’altra paura. Minacce. Minacce di morte. Fan esaltati hanno deciso che chi denigra i loro eroi non merita più di vivere. “Anime Kamikaze” li ha definiti qualcuno. Follia pura. Fan di Mazinga decisi a eliminare i seguaci di Heidi. Adoratori di Hokuto No Ken decisi a dimostrare una volta per tutte che la scuola delle sette stelle spazzerà via i fedeli di Dragonball.
E poi c’è una voce, circolata nel deep web, nel deep deep deep fan web: «Titti sarà vendicata. Morte ai profanatori di Sailor Moon».
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NeuroDiario personale di A. S.
16 settembre 204…
«Ricordo come fosse ieri. Ero la star. Un programma su Manga & Anime in prima serata tv. Dovevo partecipare a un dibattito/talk all’Animemegaconvention: La traversata nel deserto è finita. Gli Otaku hanno vinto? Sarebbe stato il culmine della manifestazione. Io, una vecchia gloria del fumetto popolare che si lamentava del fatto che ormai i fumetti fossero tutti giapponesi, e una regista-critica che mi aveva attaccato perché misogino e stronzo. Lo ero, ma chi le dava il diritto di attaccarmi? Li avrei ridicolizzati. E invece… invece successe. Mi salvai. Ma non fui mai più lo stesso».
* * *
«Pratt, Manara, Magnus, Jack Kirby… quelli sì che erano disegnatori. Non questi pupazzetti tutti uguali!».
Andrea della Chiava concluse il suo intervento con questo sbuffo rancoroso. Settantacinque anni, di cui oltre cinquanta passati a disegnare fumetti. Dalla gavetta dei primi tempi, fino alla notorietà da poco conquistata. E oggi avvertiva che la storia lo stava mettendo da parte. Non solo lui. Era tutta una generazione di autori, scrittori e disegnatori. C’era un cambio epocale. Non solo un trapasso da uno stile all’altro. Una cesura. Un cambio di… paradigma? L’ultima volta che era andato nella sede della casa editrice Bo…, con cui lavorava da anni e di cui era un nome di punta, era rimasto stizzito quando il giovane editor che lo seguiva gli aveva detto: «Maestro, forse dovrebbe provare a contaminare il suo segno con altre suggestioni. Bisogna cogliere cosa affascina i lettori. Ha mai visto un anime?».
Le anime, avrebbe voluto rispondere, sono quelle dei morti tuoi e di tuo nonno. Ma non ne sarebbe valsa la pena. Gli aveva consegnato le tavole e se n’era andato.
Gli organizzatori lo avevano chiamato per l’incontro clou della manifestazione. Difensore della vecchia guardia, della Chiava non era stupido. Anziano sì, stupido no. Sapeva che il copione era già scritto. Sarebbe stato il vecchio nonno rincoglionito che si lamenta. L’incarnazione del passato da compatire, ricordare con affetto, ma da rinchiudere prima che si pisciasse sotto per l’Alzheimer.
Già sapeva che avrebbe fatto una pessima figura. Non sapeva parlare in pubblico. S’irritava per la strafottenza, per la spocchia, per il pressapochismo. E quello Svenna era il Principe della Spocchia. Alla tv sbertucciava tutto quel che non profumasse di orientale. Non c’erano più i fumetti. C’erano i graphic novel – e, peggio, i graphic novel manga. E allora della Chiava che aveva fatto per anni? Imbrattato pagine e basta?
«Pratt? Magnus? Kirby? Ma per piacere… Avete mai visto un cosplay di Alan Ford? O del Sergente Kirk? Erano opere vecchie. Chiuse. Non hanno mai fatto nascere l’interazione tra lettore e opera. E l’animazione? O le fan fiction? Corto Maltese a Capitan Harlock je spiccia casa. È ora che qualcuno lo dica, forte e chiaro!».
Il padiglione a momenti veniva giù per gli applausi e le urla. Svenna manovrava la platea come un direttore d’orchestra. Le battute facili, gli ammiccamenti, il mettere alla berlina gli interlocutori, solleticando le pulsioni più intime di chi assisteva.
«Svenna, lo sa benissimo: alla radice delle opere che sostiene c’è un sessismo inestricabile, perché nascono dalla frustrazione di maschi che hanno paura dell’elemento femminile della società!».
C’è qualcosa di più irritante del modo sbagliato di presentare un problema vero? Lucia Tramesti era bravissima a farlo, pensò Svenna, ascoltandola replicare al suo intervento. Lo so benissimo che gran parte dei manga e degli anime sono merda. È la famosa legge di Sturgeon: il 90% di tutto è merda. Ma non me ne frega niente. La cosa importante è che è la mia merda, e non la devi toccare.
«Lucia, tesoro…».
Ecco, così. Dalle del tu, paternalista, fintamente affettuoso, irritante.
«…Io mi rendo conto che per te il sessismo è un problema molto serio. Anzi, direi che per te il sesso è un problema molto serio. Ma per chi invece problemi non ne ha, questi fumetti, questi cartoni animati piacciono come sono. Le donne hanno le tette grosse? Bene. Le astronavi sono simboli fallici? E allora? Ci sono allusioni, ammiccamenti, doppi sensi? E meno male! Basta con ipocrisie e censure. È arrivato il tempo in cui siamo diventati liberi di dire le cose come sono. I manga, gli anime, gli Otaku non sono più i cugini sporchi di cui vergognarsi. Ora la festa è nostra!».
La folla ululava. Come un baccanale. La Tramesti cercò di opporsi.
«Questa è la cosa più maschilista e sciovinista…».
Della Chiava si inserì nel discorso.
«…Si dovrebbe vergognare, lei è solo un pervertito che sputa sui maestri!».
A quel punto, tra la folla seduta si alzò una persona. Aveva un cappotto. Sembrava gonfio. Svenna lo vide. Le voci della Tramesti e di della Chiava si fecero fievoli, lontane. A distanza di anni non ricordava nemmeno cosa dicessero.
Invece quello che disse l’uomo dal pubblico gli arrivò chiarissimo alle orecchie. Scherzi del fato. Mani tese in avanti, polso su polso, dita contratte. Sguardo da pazzo.
«Basta con chi mi odia. Basta con chi ci odia! Kamehameha!».
E sbocciò. Intensa. Abbacinante. Mille soli in un punto. Sul palco tutti si alzarono, cercando di scappare. Svenna cadde all’indietro, finendo in una specie di sacca protettiva tra le casse che contenevano gli impianti elettrici. E poi…
Buio.
* * *
NeuroDiario personale di A. S.
28 ottobre 204…
«Il mio sinto-analista ha definitivamente stabilito che sono guarito, e che se mi ostino a sentirmi depresso è una mia scelta e quindi il governo ha il diritto di ritirare l’assistenza psiconeurale gratuita. Non mi stupisco. Ribaltare sul malato la colpa della sofferenza è il trucco più antico del mondo. E anche il più conveniente. Per me sei guarito. Se insisti a voler essere curato, paghi. Facile. Così non hanno sulla coscienza mezzo milione di morti».
* * *
Dopo il buio, se sei fortunato di solito arriva una luce. E questo significa molte cose. Quasi tutte positive. Significa che sei in grado di riaprire gli occhi. Significa che esiste ancora un mondo. Significa che il tuo cervello è ancora in grado di cogliere stimoli e rielaborarli in un insieme coerente di informazioni. Fondamentalmente, significa che sei vivo.
Aldo Svenna riemerse dall’abisso incredibilmente… nero in cui era caduto. Le sensazioni che provava gli davano alcune informazioni. Era sdraiato. Era sdraiato su qualcosa di cedevole. Cedevole e rialzato. C’erano suoni. Ronzii di macchinari. Voci concitate e lamenti.
«Dottore, si è risvegliato!».
«Chiamate il colonnello, svelti. E anche il prefetto!».
Due figure chine su di lui. Volti confusi. Svenna non riuscì a metterli a fuoco.
«Do… dove sono?».
«Ospedale militare di Firenze. Lei e gli altri superstiti».
«Su… perstiti? Cosa…?».
«Lo stiamo perdendo! Sviene!».
Ancora buio.
* * *
Tre mesi dopo l’Evento, come lo avevano definito i social media, Aldo Svenna ancora faticava a capire fino in fondo cosa fosse successo. Sembrava che qualcuno (Qualcuno? Il pazzo in platea! Fermatelo!) avesse attivato un conduttore di implosione molecolare rudimentale, assemblato nel suo scantinato con elementi acquistati nel mercato nero del deep web. Prima di recarsi alla convention aveva postato un video su MeTube, con data di rilascio virale dopo il fatto. Spiegava (Spiegava?! Come si fa a spiegare una cosa del genere?!) cosa stava per fare-aveva già fatto.
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MeTube. / User: AnimePerSempre. / Titolo: Morte a chi ci odia.
Audio tratto dal video: «Aldo Svenna, non dovrai più combattere da solo contro chi ci umilia e ci disprezza. Verrò da te questo pomeriggio e dimostrerò che siamo imbattibili, siamo invincibili. Nessuno può disprezzare gli anime perché noi siamo gli anime!».
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NeuroDiario personale di A. S.
30 Ottobre 204…
«L’apparecchio doveva generare un campo di implosione neurale, tale da far sperimentare a tutti le stesse emozioni e i sentimenti del più fanatico fan degli anime. Ma a causa di un assemblaggio sbagliato l’effetto fu molto diverso. L’ondata di energia si autoalimentò, assorbendo l’energia neurale di ogni cervello presente alla convention e creando un campo di implosione molecolare. L’onda d’urto alimentata dalla folla presente inglobò tutta la città e parte della provincia, con un risultato agghiacciante: 520.000 morti. Si salvarono solo nove persone tra cui lo scrivente, grazie a particolari e irripetibili condizioni. Nel mio caso furono i cavi elettrici che, entrando in risonanza quantica con l’onda, crearono una bolla protettiva. Dopo la carneficina iniziò il vero massacro. I social media trovarono subito i colpevoli: gli Anime Fan. Il video di AnimePerSempre divenne il più diffuso sulla rete, e in breve tempo il parlamento virtuale emanò le prime leggi contro i manga e gli anime. Nel giro di un anno iniziarono i primi roghi. Libri, dvd, blu-ray… tutti bruciati. Perquisizioni e sequestri di filmati sui pc privati, divieto assoluto di vendita e trasmissione di qualsiasi cosa che ricordasse anche solo lontanamente anime o manga. Oltre 500.000 morti non si potevano combattere. Persi il lavoro, persi i follower. Tutto. Però quei due ragazzi… Forse era un segno. Forse devo ritrovarli…».
* * *
Gianni e Lucia sono due ragazzi. Quindici, forse sedici anni. L’Evento per loro è solo un video virale sulla neurorete. Sanno solo che qualcosa è proibito. Che c’è qualcosa che non si può vedere, leggere, ascoltare. E che invece i loro amici di rete che vivono in posti diversi, lontano dal loro Paese, possono vedere. Qualcosa di strano. Chiamato “anime”. E anche un’altra cosa, che non si può leggere né vedere. Nelle neuroroom di chat si parla di cose di contrabbando. Di cose di carta. Fumetti. Ma non i fumetti che il governo distribuisce. Fumetti strani. In bianco e nero, con personaggi insoliti. Robot, pastorelle, scimmie guerriere su nuvole.
Per questo avevano provato a chiedere a quello strano vecchio. Perché una volta la madre di Lucia, vedendolo, aveva sibilato: «Che schifoso. È ancora vivo? È colpa sua. Era lui il capo dei fanatici degli anime».
Ma il vecchio aveva negato tutto. Dovevano ricominciare a cercare.
* * *
«Gianni, che ti ha detto Hiraki?».
Lucia inghiottì una capsula di cybomenta e aspettò la risposta dell’amico.
Gianni si appoggiò allo schienale della panchina. Era il posto più comodo per osservare cosa succedeva nella piazza interna del megamarket.
«Sai che non capisco molto bene il giapponese, e l’app di traduzione intersociale a volte va in palla. Ma mi pare abbia accennato a una serie nuova. Solo che il firewall nazionale ha oscurato il video quando ha cercato di mostrarlo nella parete virtuale».
Lucia parve delusa, ma anche rassegnata.
«Andrà sempre così, vero? Peccato. Sono davvero curiosissima. Chissà cosa sono questi anime di cui parlano…».
Gianni le carezzò la mano.
«Purtroppo credo proprio di sì. Però in giro non siamo gli unici ad aver voglia di saperne di più. Vedrai che prima o poi succederà qualcosa. Uno di Livorno ha detto che lo zio aveva salvato dal rogo una cassa di fumetti. Solo che non riesce più a contattarlo».
«Sarebbe bello… Gianni, aspetta, ma quello non è il vecchio dell’altra volta? È tornato? E viene da questa parte!».
Gianni guardò nella direzione indicata.
«Hai ragione. Strano. Chissà cosa vuole…».
* * *
Aldo Svenna si avvicinò ai due giovani cercatori. Erano spontanei, innocenti, liberi dalle paure e dai pregiudizi del passato. Sarebbe stato un cammino lungo e difficile ma forse, aiutando i giovani, sarebbe stato possibile riconquistare ciò che si era perduto.
Senza gli errori commessi in passato.