Cieli di Spagna
Carlomanno AdinolfiBanyoles, 15 febbraio 1939
Il pilota tedesco percorse a grandi passi la strada che portava al lago di Banyoles. Al suo incedere quasi marziale i passanti si allontanavano di corsa, come a voler evitare di incrociare il suo cammino. Altri lo guardavano torvo, ma solo da lontano. Da quelle parti erano tutti ferventi repubblicani, ma la Catalogna ormai era in mano ai nazionalisti da quando, appena dieci giorni prima, Girona era caduta. Nessuno sarebbe finito nei guai per aver alzato le mani su un ufficiale tedesco. Soprattutto su un ufficiale tedesco che si era presentato atterrando spavaldo in piena città con un Messerschmitt ornato da un teschio pirata. E comunque l’aria aristocratica e quasi magnetica dell’alta figura chiusa nella divisa della Luftwaffe, con la lunga cicatrice che gli solcava il volto dandogli un tocco ancor più guerriero, spegneva subito ogni ardore rissoso nelle teste calde, spaventate molto più dallo sguardo fermo, calmo e deciso del soldato che dalla sua Luger in piena vista nella fondina o dai mitragliatori MG del suo aereo.
Senza un minimo di esitazione, il pilota entrò nel locale che si affacciava sul lago. Si girò intorno osservando l’oste, che faceva finta di asciugare bicchieri già asciutti, e gli altri avventori, che con occhi bassi sui loro cicchetti ascoltavano la bellissima voce femminile diffusa da un vecchio grammofono che cantava Le Temps de Cerises. In pochi secondi individuò l’uomo che stava cercando: era seduto sul terrazzo esterno e guardava fisso verso il lago. Era piuttosto basso e tarchiato, con un ampio ventre e due baffi a manubrio perfettamente curati. Ma ciò che rendeva assolutamente impossibile non notarlo era il volto sfigurato che lo faceva somigliare a un porco. Eppure, nonostante quello, era tutto tranne che buffo o sgradevole. Anzi, pareva quasi sovrumano.
Il pilota si diresse sicuro al suo tavolo e gli si sedette di fronte.
«Ciao, Marco» disse sorridendo. Marco non sembrò affatto sorpreso. Aveva visto il Messerschmitt arrivare e lo aveva riconosciuto subito. Continuò ad ascoltare la musica soave e a guardare la distesa delle calme acque del lago, come se stesse perdendosi oltre il tempo, verso un passato che ricordava con nostalgia. Dopo qualche istante, però, incrociò gli occhi del pilota e gli sorrise cordialmente.
«Ciao, Harlock».
Teruel, 15 febbraio 1938
Lo scontro era imminente. Le brigate internazionali erano giunte in soccorso dei repubblicani che avevano strappato la città ai nazionalisti, sperando così di bloccare l’avanzata verso Valencia che avrebbe tagliato in due il fronte anti-franchista. A nord, i nazionalisti tenevano ancora salde le posizioni e avanzavano, decisi a riconquistare la città, aiutati dalla temibile Legione Condor degli aviatori della Luftwaffe.
Gli aerei della squadriglia Malraux riuscivano ad avere la meglio su molti Heinkel He 51 grazie alla bravura dei loro piloti, ma potevano poco contro i Messerschmitt. Nella squadriglia dei nuovi caccia, fiore all’occhiello dell’aviazione tedesca, spiccava un aereo su cui, all’interno del cerchio nero, simbolo della Legione che contrassegnava la fusoliera degli aerei tedeschi, campeggiava un macabro teschio pirata, affiancato dalle cifre 999. Phantom F. Harlock II colpiva aerei su aerei: ne sceglieva uno, lo inquadrava nel suo infallibile mirino Revi C12D, sparava e lo abbatteva, mentre evitava con abilità infallibile i proiettili che gli aerei francesi e spagnoli gli sparavano contro.
Dopo aver abbattuto l’ennesimo NiD-52, Harlock tornò in formazione per avanzare con gli altri verso la città e dare supporto aereo all’avanzata dell’esercito, quando improvvisamente il velivolo alla sua destra fu colpito da una raffica e iniziò a precipitare, seguito da una scia di fumo scuro. Non fece in tempo a girarsi per vedere chi avesse sparato che anche l’aereo alle sue spalle fece la stessa fine, seguito da un altro della formazione.
Fu l’istinto a salvarlo: fece una rapida virata e si abbassò di quota in picchiata, risalendo con un ampio giro per poter inquadrare chi diavolo avesse sparato. Non c’era nessuno. Poi, quando un altro Messerschmitt fu abbattuto, lo vide: era un vecchio Dewoitine D372 tutto dipinto di rosso, che giocava a nascondino sparendo dentro le nubi per poi apparire all’improvviso e sparare.
Harlock rimase subito colpito. Diamine, che pilota! Volava con una maestria unica, che gli permetteva di azzerare completamente il divario tecnico tra il nuovissimo caccia tedesco e quel vecchio modello francese. Finalmente un avversario degno. Sorrise e puntò dritto su di lui.
Marco lo vide subito e si preparò a rientrare nelle nubi che lo avrebbero nascosto.
«Oh, ecco di ritorno il crucco. Però è bravino; senza quella manovra improvvisa, avrei abbattuto anche lui».
Riportò il Dewoitine all’interno del banco di nubi, pronto a uscire di nuovo, per giocare al gatto col topo con il Messerschmitt, ma all’improvviso alcuni proiettili gli colpirono la fusoliera e altri lo sfiorarono di pochi centimetri.
«Maledizione! Ma dove cavolo sei?».
Poi lo vide: il Messerschmitt si era gettato a sua volta nel banco di nubi e si era messo a inseguirlo.
«Come diavolo fa a vedermi qua in mezzo?».
Harlock lo seguiva attraverso il mirino C12D.
I miei occhi non sbagliano mai e vedono ovunque, pensò, riferendosi al prezioso congegno ottico.
Sentendosi braccato, Marco uscì dal banco. Harlock rimase stupito: con quella manovra l’aereo francese si sarebbe esposto più facilmente. Eppure, conscio della bravura del suo avversario, restò all’erta. Il Dewoitine iniziò a volare appena sopra le nuvole, come fosse un idrovolante a pelo d’acqua. Harlock lo inquadrò: se avesse sparato lo avrebbe colpito, era un tiro apparentemente sicuro. Eppure, non fece fuoco.
«Se sparo ora, lui farà una manovra di evasione repentina e mi farà sprecare pallottole, sperando che io finisca le munizioni».
In effetti, notò, non gliene erano rimaste molte.
«Avanti! Che aspetti, crucco, sparami!».
Ma Harlock non sparò e anzi, puntando sul netto divario di velocità tra i due velivoli, continuò ad avvicinarsi.
«Eh, sei più furbo di quanto pensassi, crucco. Ma col cavolo che mi freghi».
Marco scese in picchiata a tutta velocità, come se volesse schiantarsi al suolo. Harlock lo seguì, ma ovviamente in quella manovra non poteva aprire il fuoco con sicurezza. Improvvisamente l’aereo francese fece una virata quasi impossibile, si riportò in alto per poi compiere un giro completo e trovarsi alle spalle del Messerschmitt.
«Un rientro avvitato!». Harlock rimase di stucco. Poi sorrise. Che avversario!
«Ora sei mio, crucco!».
Marco inquadrò il Messerschmitt e fece fuoco. Ma quello che vide fu incredibile. L’aereo tedesco fece infatti lo stesso rientro avvitato che aveva eseguito lui, portandosi alle sue spalle, pronto a sparare.
«Merda!».
Marco virò subito per portarsi fuori dalla linea di tiro. Ma l’aereo non era al passo con la sua bravura. Era un vecchio modello, usato e poco manutenuto. Il motore, improvvisamente, iniziò a sbuffare e balbettare.
«Eh no! Proprio ora, no! E dai!».
Già competere con un Messerschmitt su un aereo che aveva poco più della metà della sua velocità massima era arduo. Con un motore bizzoso diventava impossibile. Si girò per controllare dove fosse il suo avversario e lo vide in coda, in posizione perfetta per colpirlo a botta sicura.
«Perché non spara? Cosa pensa che ormai possa fare con questo rottame?».
Quello che vide lo lasciò di stucco. Il Messerschmitt gli si affiancò e il pilota gli fece chiaramente gesto di seguirlo. Marco seguì sbigottito l’aereo tedesco che planava verso i monti che circondavano Teruel. Lo seguì facendo attenzione a non compiere mosse che potessero farlo precipitare inesorabilmente. Quindi atterrò su un’altura erbosa dietro all’aereo col teschio.
Il pilota tedesco scese dall’aereo e si diresse verso Marco, che nonostante la mole uscì dall’abitacolo e si lanciò a terra con grande agilità.
«Allora, vuoi finirla a cazzotti?».
Harlock restò per un attimo a occhi sgranati, tanto per la frase quanto per l’aspetto porcino del suo avversario.
«Cos’è, non hai mai visto un porco volante?».
A quel punto Harlock rise fragorosamente.
«Un guascone imprevedibile e spaccone come te dev’essere italiano. No, non voglio finirla a cazzotti. Semplicemente non sarebbe stato giusto abbatterti, visto che avrei potuto colpirti solo grazie all’avaria del tuo motore. Sei un asso; complimenti, davvero. Non ho mai avuto un avversario simile. E volevo fare in modo che il mondo non perdesse un pilota del tuo calibro solo per i capricci di un vecchio motore. Il mio nome è Phantom F. Harlock II. Con chi ho avuto il piacere di duellare?».
«Mi chiamo Marco» rispose, stringendo la mano che il tedesco gli tendeva. «E comunque anche tu non sei male come pilota, crucco. Non vedevo volare in questo modo dai tempi delle scorribande dei pirati sull’Adriatico. E complimenti anche per la cavalleria, non me lo sarei mai aspettato».
«Guarda caso i miei antenati erano pirati e cavalieri».
«Uomini d’altri tempi».
«Siamo tutti nati nel secolo sbagliato. Eppure, è in questo che dobbiamo lottare. Devo lasciarti ora, la mia battaglia non è ancora finita. Spero di rivederti. In duello, o magari in pace, da amici».
Harlock strinse ancora la mano di Marco, prima di rimettersi il casco di cuoio da pilota e rinfilarsi nell’abitacolo del caccia, pronto a tornare verso la battaglia di Teruel.
Banyoles, 15 febbraio 1939
Marco versò del vino in un bicchiere e lo porse ad Harlock.
«Se non sbaglio è passato un anno dal nostro duello».
«Un anno oggi» rispose il tedesco, facendo roteare delicatamente il vino all’interno del bicchiere, prima di portarlo con eleganza alla bocca. Marco fece altrettanto, dimostrando di saper essere raffinato come uomini di altri tempi, proprio come Harlock, nonostante la sua figura potesse far credere il contrario.
«Sei venuto a salutarmi?».
«Sono venuto a dirti che non sei al sicuro. Se ti prendono i franchisti passi i guai: visto che sei ricercato anche in Italia, non si farebbero troppi scrupoli a farti fuori. E poi ti cercano anche i russi».
«Già, figli di puttana sovietici. Ne hanno ammazzati più loro di voi, di miei amici».
Marco si appoggiò stancamente allo schienale, guardando verso l’alto.
«Perché combattiamo questa guerra, Harlock?».
«Io combatto per il mio popolo e per la mia nazione. Sei tu, piuttosto, che sembri aver scordato per cosa combatti».
«Credevo di combattere per la libertà. Nazione, Stato, popolo… li ho sempre considerati solo sponsor triviali. Ho sempre amato soltanto i giorni liberi e sregolati, l’immensità del cielo sconfinato come unico orizzonte, simbolo della vita che avrei voluto vivere. Il nuovo governo italiano mi dava l’impressione di voler mettere un freno a questa libertà senza limiti. E, quando l’ho visto dilagare in Europa, ho creduto fosse necessario combattere. Ma qui ho visto che in nome della libertà stanno creando un mostro ancor peggiore, un incubo che potrebbe mettere fine a tutti i sogni. E ora, per essere libero, non so più né dove andare né per cosa combattere. Mi sento sconfitto, Harlock. E un po’ me ne vergogno».
«L’unica cosa di cui vergognarsi sarebbe arrendersi. La voce sommessa di questo cielo infinito ti invoca a vivere senza catene. È il tuo sogno, trovare infine la tua unica signora: la libertà. E finché continuerai a vivere per esso, a combattere per esso, niente nella tua vita sarà stato fatto invano».
Marco rimase qualche attimo in silenzio. Quindi rovesciò indietro la testa, scoppiando a ridere fragorosamente. Harlock lo guardò un po’ curioso e un po’ interdetto.
«Cos’è che ti fa tanto ridere?».
«Io e te. Stessi sogni. Solo che tu li insegui con il tuo ideale incrollabile, la tua disciplina ferrea, il tuo onore inscalfibile. Mentre io li inseguo con il rifiuto di ogni ideale, l’assenza di ogni freno e la ricerca della pura ebrezza della vita. Siamo due opposti complementari. E il destino ci ha messi l’uno contro l’altro proprio qui, ora».
«Abbiamo già avuto la nostra tenzone. Nessuno ha vinto ed entrambi ne siamo usciti soddisfatti. Ora, però, io devo continuare la mia guerra. E tu inseguire il tuo sogno. Ma non qui».
Harlock estrasse dal taschino della giacca da pilota dei fogli di carta e li appoggiò sul tavolo davanti a Marco, che lo guardò con un grande punto interrogativo stampato sul muso porcino.
«Sono documenti falsi. Copriti quel brutto muso, cerca di passare inosservato, e potrai andare in Francia. Sono sicuro che lì Malraux potrà darti una mano, dato che anche lui è tornato in Francia».
Marco lo guardò a lungo, fissandolo in quegli occhi che sembravano appartenere a un essere arcano, ancestrale, davvero di un altro secolo.
«Potrò mai ringraziarti?».
«Quando questa guerra sarà finita, vieni a trovarmi a Heiligenstadt. Lì potremo volare insieme, di nuovo, senza catene e senza dover niente a nessuno. Addio, Marco».
Harlock si alzò e si diresse verso l’uscita, dove un gruppetto di persone si era riunito con cattive intenzioni, subito placate dal solo sguardo del pilota. Harlock esitò un momento sulla soglia e, senza voltarsi, chiese ad alta voce: «Hai già deciso come continuare a inseguire il tuo sogno?».
Marco sorrise, osservò ancora una volta la calma distesa del lago mentre la voce femminile dal grammofono terminava la canzone, parlando di ricordi serbati nel cuore.
«Be’, dovrò stare calmo ancora per un po’. Ma c’è una scommessa che qualcuno aspetta ancora di sapere come andrà a finire. Ho tutta l’intenzione di farglielo scoprire».