Sarah Morton (Charlotte Rampling), scrittrice inglese di romanzi gialli, soggiorna per qualche settimana in Provenza, nella villa del suo editore. L’arrivo improvviso di Julie (Ludivine Sagnier), figlia dell’editore, turba la sua tranquillità. La ragazza, bella e spregiudicata, suscita in lei prima sentimenti di animosità e gelosia, poi di curiosità, ispirandole un nuovo romanzo. Il rapporto tra le due donne, divenuto stretto fino alla complicità, porterà la protagonista ad aiutare la ragazza a coprire un delitto. Tornata a Londra dal suo editore e incassato il prevedibile rifiuto della sua nuova storia, la scrittrice annuncia di averla già pubblicata con un’altra casa editrice. Il film si chiude con l’arrivo nell’ufficio della figlia dell’editore: si chiama Julia, dimostra di non conoscere Sarah e ha una fisionomia parzialmente diversa da quella di Julie.
È l’immagine chiave del film – quella dello specchio nella camera di Sarah che ne riflette un altro sulla parete opposta, inscrivendo la figura della scrittrice in una doppia cornice – a segnalare la messa in abisso: il romanzo che Sarah pubblicherà, Swimming Pool, la vede protagonista; la scrittrice è dunque dentro la sua storia, quella di una matura autrice che, affascinata dalla ragazza piombatale in casa, ne fa la sua provocante musa, saccheggiandone la vita. Se quanto vediamo è frutto dell’immaginazione della romanziera, la realtà ha ceduto il passo alla finzione fin dall’istante in cui, installato il computer, la Morton fissa un soprammobile a forma di uovo (simbolo letterale della creazione) e comincia a scrivere: da quel momento il film slitta nella dimensione letteraria.
Nel romanzo Sarah fa i conti con insoddisfazioni e digiuno sessuale, con la sua frustrazione di donna che, come le dirà Julie, «scrive delle porcherie e non le fa mai». Perché Julie è Sarah, più giovane e disinibita, che fa prorompere le sue fantasie esistenziali, sessuali, omicide. Compresa quella su John, l’editore, che nella costruzione dell’intreccio è un elemento chiave: più di un indizio suggerisce una passione inespressa nei suoi confronti, così come l’ipotesi che la scrittrice accetti il soggiorno solo per la possibilità che l’uomo venga a farle visita. Se quanto vediamo accadere nella casa è pura fiction – se dunque attribuiamo a Julie il ruolo di alter ego della narratrice (la libido di Sarah alla luce del sole) – allora anche i riferimenti che la giovane fa al padre sono frutto dell’invenzione della Morton, rivelandosi, quelle parole, proiezioni di suoi intimi desideri e fantasie («Così lei sarebbe l’ultima conquista di papà», dice Julie non appena conosce la donna). La decisione finale di pubblicare il romanzo Swimming Pool per la concorrenza è la vendetta dell’autrice nei confronti dell’indifferente John, l’unico tradimento consumabile nei confronti dell’uomo, il solo modo per colpirlo al portafogli, evidente sostituto del cuore.
Come il protagonista di Nella casa (2012) – molto vicino a Swimming Pool tematicamente, concettualmente e strutturalmente (se il professore Germain Germain di quel film è Humbert Humbert, Julie è, naturalmente, Lolita) – Sarah, di fronte all’incapacità di viversi appieno nella realtà, ricorre alla finzione e ne sfrutta le possibilità in chiave artistica; il suo libro, abbattendone i blocchi emotivi, la spinge in ambiti prima inaccessibili. Se la vita non ha realizzato i suoi sogni, riversa i sogni nel suo romanzo. Ozon mette in scena, quindi, il work in progress su un work in progress, e, in parallelo, un percorso di graduale autocoscienza connesso alla riflessione sul potere assoluto, dello scrittore, di governare i piani della narrazione e, mescolandoli, renderne incerti i confini: il film – non mutando mai registro visivo, trattando le parti reali come quelle di fantasia – risulta disseminato di tracce contraddittorie (l’immagine finale che sovrappone Julie e Julia, ad esempio) che rendono impossibile avvalorare una ricostruzione univoca e incontestabile del plot. Nel gioco ambiguo di riflessi la swimming pool del titolo è lo schermo in cui si rifrange il racconto, lo specchio (d’acqua) simbolico che attrae e restituisce le immagini mentali della scrittrice: per questo, all’inizio, tolta la copertura della piscina, si scopre in superficie un tappeto di foglie secche che vengono rimosse.
All’interno di questo teatro mentale Julie è un personaggio quasi caricaturale, di sensualità esasperata, un artefatto evidente: evoca una maniera, rimanda allo stereotipo della ninfetta. Così Franck – l’avvenente barista che Sarah non manca di notare all’inizio – viene catapultato nella trama del suo romanzo con un’apparizione fantasmatica, non a caso collegata a un atto masturbatorio a bordo piscina. La riflessione sulla creazione artistica diventa vertiginosa coinvolgendo, infine, lo stesso Ozon alle prese con il film (lo sguardo della macchina da presa scivola sulla madida pelle di Julie come le dita della Morton sulla tastiera), la sua immaginazione al lavoro e il confronto con le sue creature – Sarah/Rampling e Julie/ Sagnier – che il francese manipola e domina a suo piacimento (la vicenda è ambientata vicino a Lacoste, villaggio sovrastato dal castello del marchese de Sade, come non si manca di sottolineare).
Il film rivitalizza, poi, alcuni riferimenti chiave della formazione cinematografica del regista. All’inizio, il rispetto rigoroso delle apparenze nella rappresentazione tendenzialmente oggettiva della quotidianità della protagonista – che ne fa trapelare carattere e manie, voglie e idiosincrasie – rimanda a Eric Rohmer. Non meno forti le suggestioni bergmaniane: nella “trilogia del silenzio” e in Persona (1966) le azioni si svolgono in un breve arco temporale e in uno spazio delimitato. Sono film costellati da riferimenti al tema dell’opera letteraria, alla violazione di lettere private e diari segreti, a intimità rapacemente carpite, a giochi di immedesimazione e a sovrapposizioni di identità. Quando Julie parla di un’esperienza amorosa adolescenziale (come fa Alma con Elisabet in Persona – due donne in una casa di vacanza), la macchina da presa si sofferma sul volto di Sarah in ascolto perché, in tutta evidenza, è lei che sta raccontando quell’esperienza, è suo quel ricordo (a tal proposito: non è un caso che le donne, nella versione originale, parlino in inglese, la lingua in cui il romanzo è scritto).
Esplicito fin dal titolo, infine, il riferimento a La piscina (1969) di Jacques Deray, cui rimandano ambientazione, personaggi, trama gialla, utilizzo iconico del corpo attoriale.