In oltre trent’anni di vita editoriale, sul personaggio creato da Tiziano Sclavi, con il vitale apporto grafico di Claudio Villa e Angelo Stano, è stato scritto e pubblicato tutto e il contrario di tutto. Parrebbe un’impresa titanica e sovrumana districarsi in una babele fatta di centinaia di albi usciti nella serie mensile e nelle collane parallele – incensati e dannati nei decenni su migliaia e migliaia di pagine di saggistica, cartacea ed elettronica – distillando il tutto in un solo articolo. Meglio allora inventarsi una sorta di bussola, di astrolabio, di sestante… uno strumento adatto per affrontare quell’oceano schiumante di carta e dati. Ecco, dunque, un rapido e personalissimo prontuario alfabetico alla scoperta dell’Indagatore dell’Incubo. Nelle cinquantotto voci che lo compongono non troverete tutto «Dylan Dog». Ne troverete però il cuore nero, l’animo autentico. Lo spirito del 1986.
A
Alieno. Dimentichiamoci Spielberg e Lucas! La serie di «Dylan Dog» presenta a più riprese l’extraterrestre, ma difficilmente il lettore incontrerà un genuino abitante di altri mondi. Gli alieni affrontati da Dylan (a partire dal n. 9, gioiello narrativo di Sclavi & Roi) sorprendono sempre per essere “alieni sbagliati”: animali terrestri, incubi, frammenti dell’immaginario collettivo. Il giornalista Stefano Priarone, in forza a «La Stampa», scrive che in certe storie di Sclavi «appaiono presenze quasi messianiche: sono gli UFO, esseri fragili, indifesi e poetici, portatori di speranza. Sono storie ricche di un insolito misticismo. È strano come in un autore fortemente ateo (che ha una notevole avversione verso Dio e i preti, come ha più volte affermato) sia presente una notevole sensibilità religiosa».
Alcool. Anche se nelle prime storie Dylan si concede qualche birra e qualche goccio di whisky, gli autori, con il procedere della serie, decidono di cucirgli addosso un passato da alcolista e renderlo astemio. Interessante espediente narrativo: i liquori diventano per lui quella che è la kryptonite per Superman. Far bere l’Indagatore dell’Incubo significa farlo precipitare indietro nei suoi anni peggiori, quando la bottiglia era la sua migliore amica e la sua peggiore nemica. Con il trentennale del 2016, la nuova curatela della testata ha deciso di reintrodurre parzialmente questo demone liquido nella sua vita.
Amore. Da non confondere con il sesso, anche se per Dylan Dog l’amore arriva spesso insieme o dopo di esso. Bello e dannato, con le fattezze da attore inglese (non stiamo parlando di Benny Hill o Marty Feldman!), Dylan attira le ragazze come il miele gli orsi. Spesso sono le sue clienti, quasi sempre giovani e carine, a diventare le fidanzate di un mese. La coltre del suo letto, una trapunta a boccioli di rosa (o così pare), venne ideata da Dall’Agnol. L’amore è sempre sincero, per Dylan, ma dura poco. Sovviene la noia, magari qualche ceffone. E, di frequente, la dipartita dell’amata. La sua più sentita love story è forse quella narrata nel n. 74, Il lungo addio, un soggetto di Mauro Marcheselli per la sceneggiatura di Tiziano Sclavi e i disegni di Carlo Ambrosini. Qui l’amore si nutre di ricordi, di nostalgia, di morte.
B
Blob. Se il mostro ha spesso fattezze (anche se non attitudini) “ordinarie”, nella serie troviamo anche il mostro senza una forma ben definita, celebrato da decenni nella cinematografia e nella letteratura di genere. Il film fantascientifico The Blob (Yeaworth, 1958) e i romanzi horror Phantoms (Koontz, 1983) e It (King, 1986) sono i riferimenti più immediati per gli autori dell’Indagatore dell’Incubo. In «Dylan Dog» il blob non è però un mostro senza cervello, puramente istintivo, o il male assoluto: alle sue gelatinose spalle si apre una storia di sofferenza e umanità negata. Esemplare, nella collana mensile, il classico Dal profondo, scritto da Sclavi e Alfredo Castelli (creatore di «Martin Mystère») per i disegni di Claudio Roi.
Bloch, Ispettore. Si tratta di uno dei più preziosi alleati di Dylan Dog (almeno fino alla “rivoluzione” del trentennale, quando viene letteralmente spedito in pensione). Cinico e anzianotto ispettore di Scotland Yard, ha le robuste fattezze dell’attore inglese Robert Morley (1908-1992) e il cognome dello scrittore thriller Robert Bloch (1917-1994). Bloch considera Dylan una sorta di “figlio adottivo” un po’ scapestrato, e chiude un occhio o due sulle sue irregolarità, quando hanno a che fare con crimini cruenti su cui indagano anche le forze dell’ordine. Dylan, infatti, è stato un poliziotto e mantiene una scadutissima tessera da agente, che usa illegittimamente per intrufolarsi sul luogo del delitto di turno. Bloch lo manda volentieri avanti, perché non sopporta la vista del sangue (è uno dei maggiori consumatori di antiemetici del Regno Unito).
C
Casa stregata. Un canone dell’horror di tutti i tempi non poteva non trovar… casa in una serie stregata come quella di «Dylan Dog». Nelle pagine di Sclavi e dei suoi continuatori, tuttavia, anche la magione degli spettri ha una marcia in più. Prova ne è il n. 30, La casa infestata, dove tutte le suggestioni del genere sono frullate insieme. Nessun riferimento letterario o cinematografico viene lasciato fuori – da Henry James a Shirley Jackson, da Poltergeist a Ghostbusters.
Cinema. Non tanto la letteratura horror, quanto piuttosto il cinema è la principale fonte d’ispirazione per l’operazione «Dylan Dog». Fin dal 1986, i riferimenti cinematografici vengono orgogliosamente “sbandierati” dai curatori, nelle rubriche e negli editoriali. Lo splatter (dove abbondano spargimenti di sangue e interiora) la fa da padrone – Hooper, Carpenter, Craven, Cronenberg, Romero, Savini, eccetera –, ma non vengono certo disdegnati i primordi dell’orrore in bianco e nero, con una chiara predilezione per l’espressionismo tedesco di Murnau e Lang. Presenti, variamente declinati, tutti i grandi Universal Monsters, ovvero i mostri che per tre decenni (anni Trenta, Quaranta e Cinquanta) fecero la fortuna dell’omonima casa di produzione americana: Dracula, Frankenstein, la Mummia, la Iena, l’Uomo Invisibile, la Creatura della Laguna Nera, l’Uomo Lupo e via dicendo. Quasi osannati, ben prima del rilancio operato da Quentin Tarantino, i cineasti italiani del settore: Dario Argento (soprattutto), Lamberto Bava, Lucio Fulci, Michele Soavi, eccetera.
Citazioni. Uno dei marchi di fabbrica stilistico-narrativi della collana è stato fin dall’inizio quella della citazione. Citazioni cinematografiche in sovrabbondanza, ma pure letterarie, fumettistiche, musicali, televisive, politico-sociali, storiche, culturali in senso lato… «Dylan Dog» deve parte del suo enorme successo, che ha reso il suo protagonista un’icona pop degli anni Ottanta e Novanta, all’arte post-moderna della citazione, per cui niente, del passato, si getta via; tutto si ricicla con ingegno, viene fatto rinascere a nuova vita. Nei primi anni, questo gusto – talvolta vizio – della citazione era esposto a mo’ di medaglia al valore nella rubrica della posta; i lettori erano invitati a partecipare a una sorta di quiz per corrispondenza, e chi indovinava la citazione più difficile aveva il piacere di veder pubblicato sull’albo il proprio nome e stralci della sua lettera.
Clarinetto. Dylan suona il clarinetto per rilassarsi e riorganizzare il cervello, mentre nella sua casa-studio londinese cogita su un caso. Suona solo Il trillo del diavolo (!) di Giuseppe Tartini, compositore istriano del Settecento. La custodia di questo strumento, imbottita di carica esplosiva, è protagonista del n. 1 della collana e del breve reboot del trentennale.
Craven Road. Con l’assistente e amico Groucho, Dylan abita a Londra, al 7 di Craven Road. Un campanello che urla annuncia il visitatore o il cliente. All’interno l’ospite è accolto da tutta una serie di orrorifici parafernalia: mostri del cinema, misteriosi feticci, sarcofagi dell’Antico Egitto e così via. Anche se il nome della via potrebbe sembrare inventato, Craven Road è una strada realmente esistente, a Paddington, dalle parti di Hyde Park. Da qualche tempo, al 7 ha sede un Cafè Dylan Dog; alle pareti del locale sono appese riproduzioni delle tavole della serie italiana.
D
Demonio. Nella serie, il diavolo può avere connotati tradizionali: evocazione e apparizione tra le fiamme, forcone, corna, coda e ali da pipistrello, eccetera. Ma molto più spesso è un demone sottile, burocratico, noioso, banale, ripetitivo – o, al contrario, affascinante, sensuale, erotico. Il tipo di demone fumettistico portato alle estreme conseguenze, nell’editoria americana, dalla linea Vertigo della DC (la “casa” di Superman e Batman) e da grandi sceneggiatori come Neil Gaiman, Alan Moore, Garth Ennis…
Disney, Walt. Mago dell’animazione, co-creatore (insieme a Ub Iwerks) di «Mickey Mouse», è uno dei più grandi manager nell’ambito dell’intrattenimento cinematografico e (di riflesso) fumettistico. Celeberrimi i suoi parchi a tema. Seppe rischiare per inseguire i suoi sogni: dopo il flop economico di Fantasia, le banche gli avevano preparato il capestro e gli ci volle oltre un decennio per risollevarsi, grazie a Disneyland, al merchandising delle sue creazioni e ai film degli anni Cinquanta. Fin dall’inizio, l’arte di questo grande americano ha ispirato gli autori di «Dylan Dog», che hanno voluto proporre al lettore, in forma di parodia distorta, l’aspetto macabro dell’animale antropomorfo d’impronta disneyana (esemplari le storie L’isola misteriosa e I conigli rosa uccidono, entrambe del 1988). Intervistato da Umberto Eco nel 1998, Tiziano Sclavi dichiarò: «Ho visto Biancaneve e i sette nani da bambino. Ero in casa da solo e sono scappato fuori per strada a cercare i miei amici, che mi stessero vicino perché avevo paura… Odio Walt Disney sopra ogni altra cosa».
Dylan Dog. Dal 1986, il protagonista indiscusso delle varie serie a lui intitolate, ma pure un nuovo genere di personaggio del fumetto “popolare” italiano e caso editoriale. Prima di «Dylan Dog», raramente si era visto un fumetto seriale (pubblicato in grandi tirature e destinato alle edicole) così curato, studiato, limato dal punto di vista dei testi e dei disegni… «Alan Ford» di Magnus & Bunker, «Ken Parker», «Martin Mystère», «Topolino» di Romano Scarpa, qualcosa nell’anteguerra… forse. Ai tempi si diceva che «Dylan Dog» era, in un albo a basso prezzo e in bianco e nero, un vero e proprio fumetto “d’autore”, pronto a rivaleggiare con quelli pubblicati a puntate sulle riviste “contenitore” a colori, come «L’Eternauta», «Comic Art» e «Orient Express», oggi del tutto scomparse, divorate dalle crisi a matrioska. «Dylan Dog» portò le ragazze al fumetto e nelle fumetterie, diventò il testimonial di numerose campagne sociali – come Droga Out, contro le tossicodipendenze –, permise a tanti piccoli editori di farsi conoscere grazie al merchandising collegato oppure alla saggistica, consentì alla Bonelli d’investire in altre produzioni, grazie ai guadagni. Nel 1995, in un’intervista, Sclavi dichiarò: «Dylan Dog rappresenta tutto quello che vorrei essere io: ha coraggio, è spericolato, si getta nelle avventure, difende i deboli. In fondo, è come se difendesse anche me, che sono debole e insicuro. È il mio scudo». Dylan non è solo lo scudo, ma è anche l’alter ego di Sclavi – almeno per quanto riguarda l’abbigliamento. La “divisa” del personaggio (jeans, giacca nera, camicia rossa e “clarks” con lacci rossi) era l’abito preferito da Sclavi negli anni Ottanta – possiamo dirlo per testimonianza diretta. Per il suo fumetto di maggior successo usò semplicemente il nome generico che utilizzava per tutti i suoi personaggi protagonisti in fase di lavorazione, ispirandosi al poeta gallese Dylan Thomas.
E
Epidemia. Un sottogenere della letteratura fantascientifica e fanta-horror molto apprezzato è sicuramente quello che mette in campo un’epidemia a livello globale, che lascia sulla Terra una manciata di sopravvissuti dediti più che altro a scannarsi fra loro. In un futuro alternativo, un invecchiato Dylan combatte contro l’epidemia zombie che ha devastato il Mondo. Altri morbi si manifestano nella serie: epidemie di follia collettiva e omicida talvolta scatenate dai media (la televisione, la pubblicità…), dal Sistema (virus sfuggiti a laboratori governativi, esperimenti biologici sulle masse…) o da fonti paranormali e diaboliche.
Everett, Rupert. Noto attore britannico che ha lavorato negli anni con registi italiani come Rosi e Montaldo. Il suo volto, così come appariva nel film Another Country (Kanievska, 1984), colpì Tiziano Sclavi. Lo sceneggiatore, che stava preparando per la Bonelli la serie horror di «Dylan Dog», diede indicazione ai disegnatori Claudio Villa e Angelo Stano di usare l’affascinante inglese (allora venticinquenne) come modello grafico per il personaggio in fieri. Everett avrebbe interpretato una sorta di “specchio italiano” di Dylan Dog, recitando il ruolo di protagonista nel film Dellamorte Dellamore (Soavi, 1994), tratto dall’omonimo romanzo di Sclavi.
F
Fantasma. La narrativa horror non è tale senza uno spettro che si rispetti. «Dylan Dog», narrativa a fumetti, non fa eccezione. Ma i suoi non sono i soliti spettri, le solite anime in pena di defunti insoddisfatti. Talvolta sono apparizioni provenienti da altri tempi, oppure sono persone non ancora morte. Qualcosa del genere ritroveremo anni dopo nella saga di Eymerich, una serie di romanzi storico-fantascientifici scritta da Valerio Evangelisti.
Futuro. Squarci sull’avvenire si aprono a più riprese nelle collane di «Dylan Dog». Esiste anche un “futuro parallelo”, dove un anzianotto Dylan combatte contro un’umanità quasi del tutto trasformatasi in una “disumanità” di morti viventi. Il futuro che aspetta Dylan e chi vive nel suo universo non è mai positivo. Distopia, ucronia… mai utopia. Londra si trasforma in una città che sembra prelevata dal romanzo di Philip K. Dick La svastica sul sole.
G
Galeone. Fin dall’inizio della sua avventura, Dylan costruisce un modellino di galeone spagnolo secentesco, un natante in miniatura che più volte verrà distrutto e ricominciato. Una nave che è il simbolo oggettivo dell’epoca in cui forse l’Indagatore dell’Incubo nacque per la prima volta, per poi reincarnarsi, un legno galleggiante che è anche la metafora di una vita in continuo divenire, in bilico fra nascita e morte.
Giuda ballerino! Esclamazione preferita da Dylan, fa riferimento alla “danza” che eseguì Giuda l’Iscariota, scalciando in fin di vita appeso all’albero a cui s’impiccò per la vergogna.
Golem. Il mistico difensore del Ghetto di Praga appare fin dall’inizio nella saga di «Dylan Dog». Mentre quello “storico” (leggende ebraiche, letteratura classica, eccetera) è fatto di argilla, e nei fumetti potrebbe forse somigliare all’Uomo Sabbia nemico dell’Uomo Ragno, quello ideato da Sclavi è inizialmente una citazione del robot venuto dal futuro nel film Terminator. Intorno a lui ruota tutto un mondo yiddish (con riferimenti alla Hollywood ebraica) e germanico (a partire dalle auto) davvero bizzarro.
Groucho. Sosia del capobanda dei Fratelli Marx, è l’inseparabile spalla, amico, collaboratore, assistente e consolatore di Dylan Dog. Misteriose le sue origini (come quelle del suo capo): forse è un attore che prima si guadagnava da vivere imitando il celebre mattatore delle comiche americane. Potrebbe essere anche una spia, messo da qualcuno accanto a Dylan per controllarlo. Il suo marchio di fabbrica sono le battute; la novità rispetto al modello hollywoodiano è che il Groucho inventato da Sclavi si esprime unicamente con motti di spirito, gag, storielle e barzellette. Groucho è la “spalla comica” portata alle estreme conseguenze; una “spalla tragica”, talvolta, tanto è disumano l’incedere della sua buffa logorrea. Nel futuro alternativo, che appare in certe collane parallele al mensile, diventa un famelico zombie.
H
Horror. Il genere letterario-fumettistico in cui è stato inquadrato «Dylan Dog». La serie è la prima dichiaratamente horror della Sergio Bonelli Editore. Bonelli figlio e padre avevano una grande passione per l’horror, che usarono a piene mani in «Tex», «Zagor» e «Mister No». A cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, il grande successo di «Dylan Dog» scatenò una vera e propria moda dell’horror fumettistico (un revival, a dire il vero, se pensiamo a certi “neri” degli anni Sessanta e Settanta, come «Satanik» di Max Bunker), con il lancio di numerose testate (anche di buona qualità, inutile negarlo, come quelle targate ACME). Certa stampa, come il settimanale «L’Espresso», montò un inutile pandemonio moralistico contro i presunti danni per i giovani di questa horror wave, finendo per essere ridicolizzata.
HPL. Dylan Dog incontra Howard Phillips Lovecraft nel n. 18 del mensile, intitolato Cagliostro. Sclavi “usa” HPL come metafora del lato oscuro dell’America. Il cosiddetto “Solitario di Providence” non poteva non attrarre l’Indagatore dell’Incubo, europeo londinese a suo modo “conservatore” – con il suo rifiuto del moderno, la critica costante alla filosofia socio-economica del melting pot, il sentirsi più vicino a un gentleman britannico del XVIII secolo che a un borghese yankee del XX. Per poi non parlare della letteratura fatta di mostri blasfemi e bizzarri, presenze extraterrestri ed entità venute dagli albori dell’Universo.
I
Indagatore dell’Incubo. Uno degli appellativi di Dylan Dog, così come Martin Mystère è “il Detective dell’Impossibile”, Tex “Aquila della Notte” e Zagor “lo Spirito con la Scure” – tanto per rimanere in ambito bonelliano.
Incubo. In «Dylan Dog» l’incubo prende spesso vita, diventa solido e reale. L’aggancio cinematografico è ai film della serie USA Nightmare on Elm Street, lanciata negli anni Ottanta. Si tratta di un processo narrativo portato alle estreme conseguenze da quegli autori inglesi e americani che negli anni Novanta rivoluzionarono il panorama fumettistico americano con le collane della DC/Vertigo, dove i protagonisti erano spesso personificazioni di paure, elementi, sensazioni e sogni.
Inferni. Nella serie appare a più riprese l’Inferno – o, meglio, gli Inferni. Non si tratta (o, almeno, non del tutto) di quello “classico” o dantesco, con le fiamme, le ghiacciaie eterne, i laghi di liquami e gli oceani di lava ribollente. È piuttosto un Inferno kafkiano, allucinante, burocratico, fatto di uffici, mostruosi e deformi capiufficio, mezzemaniche e segretarie, faldoni, timbri, macchine per scrivere e ordini di servizio. Inferni dove, più che il dolore e l’angoscia, regna la Noia.
J
Jekyll & Hyde. Il tema del doppio malvagio (o della parte malvagia dell’animo umano) ha il suo campione letterario nel capolavoro horror-psicologico pubblicato nel 1886 da Robert Louis Stevenson. Numerose le storie di «Dylan Dog» che hanno per protagonisti killer sdoppiati oppure alter ego malvagi.
Johnny Freak. Protagonista di una delle avventure più toccanti dell’intera serie (n. 81), è uno sfortunato ragazzino usato dai genitori come “serbatoio d’organi” per il fratello. Si tratta di un freak nel senso letterale del termine: un “fenomeno da baraccone”, anche se non è esibito in pubblico. Johnny ritorna più volte nella collana, trasfigurato e trasformato, fino a diventare il “figlio” stesso di Dylan Dog.
K
Killer. Il killer, in «Dylan Dog», è sempre seriale. Uccide le sue vittime come un operaio assembla motori alla catena di montaggio. A differenza del poliziesco, dove il serial killer è sempre un pazzo, ma umano, i pluriomicidi affrontati da Dylan vanno sempre oltre – e sotto – l’umanità. Si tratta di veri e propri mostri, demoni, reincarnazioni. Il loro movente esce dalla dimensione psichiatrico-forense e si aggira nelle zone inesplorate della magia, del fantastico e dell’infernale.
L
Licantropo. Mostro classico delle leggende e dei miti popolari europei, della cinematografia in bianco e nero e del fumetto americano del dopoguerra, viene adottato da «Dylan Dog» fin dagli albori della collana, mischiando abilmente le carte e i generi. Nel n. 3, Le notti della luna piena, compare il primo lupo mannaro: ambientazione germanica, con molti rimandi al Frankenstein Junior di Mel Brooks.
Londra. La prima sede non americana di un protagonista del fumetto bonelliano. Dopo Dylan Dog, detective dell’occulto londinese, sarebbero nati in Bonelli altri personaggi del Vecchio Mondo, finanche italiani. La Londra dell’Indagatore dell’Incubo è una metropoli-calamita, “attivata” da lui stesso: gli orrori tendono a verificarsi nelle sue strade, nei palazzi, nelle case, negli uffici, negli ospedali, nelle fogne, in metropolitana, negli scorci turistici, nei musei, nei sobborghi, nelle stazioni di polizia. È una città dove tutto può succedere, dove la topografia si discosta spesso – ma non troppo – da quella reale, come nello pseudo-Massachusetts lovecraftiano.
M
Morgana. Grande amore di Dylan, appare a più riprese, a partire dal n. 1, quasi sempre collegata a Xabaras, (forse) suo marito, nemesi e (forse) vero padre dell’Indagatore dell’Incubo. Più avanti nella collana, nel n. 100, con un colpo da maestro edipico, Sclavi svela che Morgana sarebbe la madre di Dylan.
Morte, La. Personaggio chiave della serie e personificazione stessa della morte. Viene spesso introdotta da didascalie in rima che rimandano alle danze macabre degli albori letterari e degli affreschi medievali. Appare seguendo l’iconografia classica oppure travestendosi da famose Morti cinematografiche, come quella scacchista de Il settimo sigillo di Bergman. In altri ambiti fumettistici, potrebbe essere collegata alla Death creata da Neil Gaiman per la saga di Sandman pubblicata negli USA dalla DC/Vertigo. Dylan pare essere l’unico vivente capace di dialogare con la Morte, che ne ritarda continuamente la dipartita, generando il sospetto che il Nostro sia immortale, eterno… Riguardo alla morte (non al personaggio, ma alla fine naturale del nostro percorso terreno), Sclavi ha dichiarato: «È un evento come la vita. Non so che relazione esista fra le due. So però di non credere in un aldilà. Per questo, spero fortemente che la vita sia migliore o migliorabile».
Musica. Dylan Dog ne ascolta molta: classica, pop, rock, jazz, blues, metal… Parlando della scena italiana, Sclavi disse, in un’intervista: «Guccini e De André sono tra i maggiori poeti del Novecento. Non li conosco personalmente, ma sono tra i miei amici più cari. Mi hanno dato tanto, non solo per il lavoro, ma per la mia vita».
N
Numeri. Non ci riferiamo al 666, il Numero della Bestia dell’Apocalisse che nella serie di «Dylan Dog» viene evocato decine di volte (a partire dalla targa della sua auto!). Stiamo parlando invece dei numeri “tecnici”, dei dati crudi della collana. A tutto il 2019, «Dylan Dog» – considerando sia il mensile, sia le serie parallele e gli speciali – ha al suo attivo ben oltre cinquecentocinquanta titoli diversi. Le tavole (o pagine) pubblicate sono più di sessantacinquemila: per realizzarle ci hanno lavorato quasi novanta sceneggiatori (gli autori dei testi) e centoquaranta disegnatori diversi. I copertinisti (i disegnatori delle copertine) ammontano a quarantacinque, i letteristi (gli “artigiani” che si occupano di scrivere a mano i testi nei balloon e nelle didascalie) hanno superato i venti e i coloristi (che si sono occupati delle storie a colori) sfiorano le sessanta unità. Se il diavolo sta nei particolari, per «Dylan Dog» il successo risiede anche in tali cifre. Per questi dati occorre ringraziare il critico fumettistico di lungo corso Saverio Ceri, che dagli anni Ottanta aggiorna costantemente il suo database del fumetto bonelliano, il più accurato e completo esistente.
O
Oscurità. Se la morte ha nella saga di «Dylan Dog» un suo corrispettivo reale, anche il buio ha la propria personificazione: è Mana Cerace, una sorta di serial killer paranormale. Il terrore di tutti i bambini, il Buio, diventa qualcosa di concreto e uccide gli adulti inglobandoli nel nero assoluto.
P
Pistola. Come tutti gli eroi dell’avventura che si rispettino, anche Dylan possiede – seppur riluttante – una letale pistola, che si fa lanciare al momento opportuno da Groucho. Si tratta di una rivoltella italiana della Prima guerra mondiale, una Bodeo.
Politicamente corretto. La “correttezza politica” di «Dylan Dog» non emerge subito nelle varie serie. Tiziano Sclavi stesso era tutto fuorché politicamente corretto, alle origini. Una volta disse, à la André Breton: «Milano, la città dove vivo, non è mai stata così brutta. La gente manca di solidarietà, di gentilezza. Forse è un tratto tipico di tutte le metropoli. Se fossi un dittatore fucilerei tutti coloro che non sono gentili». Agli inizi, Dylan Dog beveva, non si faceva tanti scrupoli a uccidere il mostro di turno, era un anti-eroe, sì, ma un anti-eroe vincente, cambiava ragazze (che avevano sempre un fisico da fotomodelle) come gli uomini normali cambiano i calzini. Poi fu messo in riga, ancor di più con l’avvento del nuovo millennio e il trentennale del 2016. Meno vorticare di donne, femmine di ogni “etnia”, anche mature e in carne, mostri più difficili da definire “mostri”, mai più tutto bene o tutto male, quasi abolito l’uso della pistola, attenzione estrema alle fasce deboli e disagiate, eccetera. Soprattutto con gli ultimi curatori, le batoste che Dylan prende sono più di quelle che infligge. Lo spirito del 1986 pare allontanarsi sempre di più…
Q
Quinto senso e mezzo. Le origini vere di Dylan Dog (i suoi genitori, l’epoca e le modalità della sua nascita, eccetera) sono in qualche modo paranormali, come le avventure in cui è immerso. Così, il suo creatore gli ha donato una sorta di “superpotere” psichico – una grande capacità d’intuire dove si annida il difetto, il male, la mela marcia, qual è la via giusta da imboccare… Si tratta di qualcosa a metà strada fra il “sesto senso” femminile e – per restare nel cosmo fumettistico – il “senso di ragno” di Spider-Man.
R
Romero, George. Nato nel 1940 e morto nel 2017, il regista horror statunitense è uno dei maggiori punti di riferimento cinematografici per la collana – non fosse altro che per gli zombie protagonisti del n. 1, creature direttamente ispirate alla fortunata produzione di tale cineasta, ottimo artigiano della cinepresa. Di lui Sclavi ha detto: «Non è un grande regista, ma è uno dei pochissimi geni, nella storia, che ha creato un nuovo mito, i morti viventi (come Stevenson con Jekyll e Hyde, o Mary Shelley con Frankenstein)».
S
Safarà. Si tratta di una bottega dalla collocazione extra-dimensionale che talvolta appare a Londra ed è frequentata, fra gli altri, da Dylan Dog. Potrebbe ricordare idealmente la cabina telefonica del Dr. Who, più grande dentro che fuori, oppure il fantomatico binario 9¾ nella stazione di King’s Cross nella saga di Harry Potter, o anche la rivendita “Cose Preziose” dell’omonimo romanzo di Stephen King. In quel negozietto vengono cedute chincaglierie, ninnoli e misteriosi oggetti di provenienza ultraterrena, tutti estremamente pericolosi, come i desideri esauditi dal Genio della lampada. Il negoziante è un essere alieno (non nel senso fantascientifico del termine) di nome Hamlin, parodia del vecchio antiquario furbastro sempre intento a fregarsi le mani (e a fregare il prossimo).
Sclavi, Tiziano. È il creatore di Dylan Dog. Giornalista, scrittore, romanziere, curatore di riviste e sceneggiatore di fumetti di lungo corso, attivo, poco più che ventenne, fin dalla prima metà degli anni Settanta. Fra le sue opere (serie e personaggi a fumetti) occorre ricordare «Silas Finn», «Altai & Johnson», «Archivio Zero», «Cavallino Michele», «John va nel West», «Sam Peck», «Agente Allen» e «Vita da cani»; poi, approdato nella scuderia Bonelli, «Kerry il Trapper» e le sue collaborazioni a «Zagor», «Ken Parker», «Martin Mystère» e «Mister No». L’Indagatore dell’Incubo viene considerato il suo capolavoro, e forse è vero. Nel 2019 è uscita per Feltrinelli Comics l’opera Le voci dell’acqua, il suo primo fumetto non bonelliano dopo trent’anni.
Scotland Yard. Rappresenta la faccia “legale” e “logica” delle indagini sui crimini di sangue nelle quali si trova coinvolto l’Indagatore dell’Incubo. La polizia indaga su violenti fatti paranormali come fossero banalissime stragi o normalissimi omicidi seriali. Dylan, spalleggiato dall’Ispettore Bloch, dipana la matassa per vie traverse, seguendo logiche sovrannaturali. La polizia, alla fine, su input governativo, mette tutto a tacere. Per l’uomo comune gli accadimenti restano fatti di cronaca e non pagine di grimori. Se Bloch è quello che comanda “di più”, Scotland Yard è infestata anche da una sorta di folletto ottuso, l’agente Jenkins, che prende tutto alla lettera e non capisce battute e metafore, mandando in bestia Bloch. Anche lui, con il nuovo corso del 2016, viene pensionato. I vecchi vengono sostituiti da nuovi personaggi, meno amichevoli nei confronti di Dylan.
Sergio Bonelli Editore. La casa editrice di «Dylan Dog», solida dinastia familiare del fumetto popolare italiano, seriale e da edicola. Fondata negli anni Quaranta da Gianluigi Bonelli (il mitico creatore di «Tex»), continuata per decenni dal figlio, il grande Sergio Bonelli (che aveva ideato «Zagor» e «Mister No» e fu il grande artefice del rilancio, uscendo dai canoni western delle origini), è oggi portata avanti da Davide Bonelli, figlio di Sergio. Con il rampollo (e i suoi collaboratori) assistiamo a una maggiore attenzione al marketing e al merchandising, oltre che all’espansione delle pubblicazioni verso librerie e fumetterie.
Splatter. «Dylan Dog» è un fumetto horror con forti venature splatter. Si tratta di un termine onomatopeico anglosassone che evoca tutto ciò che schizza, spruzza e gocciola: il sangue, ovviamente. Il sostantivo viene usato in ambito cinematografico per definire quel filone di film del terrore dove niente viene negato alla telecamera (e allo spettatore): squartamenti, dissanguamenti, sbudellamenti, mutilazioni, putrefazioni, efferatezze di ogni genere. Il primo film splatter della storia risale al 1963: si tratta di Blood Feast di Herschell Gordon Lewis, regista americano che lavorò ininterrottamente dal 1961 al 2016, quando spirò quasi novantenne (senza spargimenti di sangue). Fondamentale, in Italia, per capire il fenomeno, la Guida al cinema splatter dei fratelli Castoldi (Arnaud, 1993).
Stano, Angelo. Se Sclavi è il creatore di Dylan e del suo universo (per via della preponderanza, nel fumetto italiano ed europeo, dello sceneggiatore sul disegnatore), la realizzazione grafica si deve non solo a Claudio Villa, ma soprattutto all’artista della matita & china Angelo Stano, che ha inaugurato la collana, realizzato i numeri chiave della serie (il 25, il 100…) e firmato tutte le copertine per oltre venticinque anni.
Strega. Nella saga, la fattucchiera è diversa da quella dell’iconografia favolistica – con cappello a cono, scopa volante, scarpe con le fibbie e calderone fumante. Può essere una donna bella e ammaliante, come nell’episodio-capolavoro Cagliostro, oppure un’anziana signora, apparentemente innocua, come una vecchia zia o una simpatica nonna. Un esempio è il personaggio ricorrente di Madame Trelkovski, sensitiva londinese originaria dell’Europa dell’Est. Il cognome e le attitudini rimandano sia al character che appare nel film L’inquilino del terzo piano di Polanski, sia a Madame Blavatsky, occultista russa fondatrice della Società Teosofica.
T
Televisione. «Dylan Dog» nasce ben prima della diffusione di Internet; dunque, la critica contro i mezzi di comunicazione di massa, che rischiano di creare inconsapevoli zombie, si appunta soprattutto, nei primi anni della collana, verso la televisione. La TV è vista essenzialmente come uno strumento di manipolazione del popolo, in particolar modo nel caso delle reti private: pubblicità invadenti e addirittura subliminali, trasmissioni di livello talmente basso che sembrano pensate per minorati mentali o programmi diabolici studiati appositamente per far impazzire i telespettatori. Dylan, nella casa di Craven Road, non ha il televisore. Intervistato da Umberto Eco, negli anni Novanta Sclavi si espresse in termini davvero poco lusinghieri nei confronti del “piccolo schermo”: «Ciò che rende virtuale l’orrore non sono i film o i fumetti, ma i programmi televisivi come Carramba che sorpresa!, Stranamore e tutte le altre trasmissioni di questo genere. I ragazzi che hanno tirato sassi dal cavalcavia non s’ispiravano a “Dylan Dog”, ma a programmi di questo tipo! Io credo che quei ragazzi pensassero di diventare gli ospiti d’onore di una trasmissione televisiva e che la vittima poi li avrebbe raggiunti in studio per un abbraccio finale».
Thriller. L’approccio iniziale di molti dei casi affrontati da Dylan non è paranormale o soprannaturale, ma essenzialmente “giallo”, poliziesco, procedurale. Non per niente, da giovane, il Nostro è stato nella polizia e mantiene forti agganci con Scotland Yard. Quando però il crimine travalica ogni logica – per modalità di esecuzione, efferatezza o dimensioni –, l’Indagatore dell’Incubo prende il posto dei normali detective, che non hanno gli strumenti adatti ad affrontare mostri extra-dimensionali, fantasmi, morti viventi, fenomeni paranormali e demoni di ogni sorta.
U
Uomo invisibile. Un altro degli Universal Monsters pescato dal cinema nel cosmo letterario di H. G. Wells. In «Dylan Dog», con la storia fondamentale Memorie dall’invisibile, questo particolare “mostro” si trasforma in metafora dell’incomunicabilità e della solitudine umana. Come ha scritto il critico fumettistico piemontese Stefano Priarone, «si diventa invisibili se nessuno crede a noi».
V
Valdemar. Il protagonista del racconto di Edgar Allan Poe Testimonianza sul caso del signor Valdemar (1845) introduce nella collana le tematiche dell’ipnosi e della mesmerizzazione. Il sogno – l’incubo, nella fattispecie – è quello di riuscire a ottenere l’immortalità del corpo tramite espedienti psichiatrici.
Vampiro. Come tutti i mostri “classici”, anche quello folkloristico reso universale da Bram Stoker alla fine dell’Ottocento subisce una trasformazione in «Dylan Dog». Il vampiro è un essere apparentemente normale, e non è detto che soffra la luce del Sole o tema l’aglio. Si tratta piuttosto di un parassita dell’uomo, come una zanzara o una zecca, che si accontenta di furti nelle banche del sangue degli ospedali o di rari omicidi. Vampiro, inoltre, può essere anche il Sistema, la Politica, l’Establishment. Tra l’altro, un bel vampiro fumettistico “anomalo” lo troviamo già nella serie bonelliana «Martin Mystère», in una storia del 1983 scritta da Alfredo Castelli.
Volkswagen. L’auto con cui Dylan scorrazza per inseguire incubi e mostri è una Volkswagen Maggiolino, bianca e cabriolet con la capote nera. Era, nella realtà, la prima macchina guidata dal giovane Tiziano Sclavi. L’immatricolazione, che non ha niente a che fare con le regolari targhe britanniche, è DYD 666, dove le lettere sono la sigla del suo nome e il numero è quello dell’apocalittica Bestia.
Vonnegut, Kurt. Scrittore americano di narrativa fantascientifica, raffinata e imprevedibile, ma poco… scientifica. Nel 1945 fu testimone del catastrofico bombardamento alleato di Dresda. Sclavi lo considera uno dei massimi scrittori in assoluto: «Quando ho letto Mattatoio n. 5 ho creduto a un certo punto di essere Vonnegut. Non lo ero, d’accordo, ma in quel momento avevo annullato la distanza tra letteratura e vita. E tutto il santo giorno stavo chiuso in casa a ripetermi: “Io sono Vonnegut”. La letteratura, la grande letteratura, è soprattutto delirio».
Villa, Claudio. Nato nel 1959, è uno dei maggiori disegnatori del fumetto popolare e seriale italiano, in particolare bonelliano. Per la collana ha contribuito a creare graficamente il protagonista – insieme ad Angelo Stano. Memorabili le prime copertine della serie, da lui magistralmente realizzate. Claudio Villa è da decenni il copertinista e il portabandiera grafico di «Tex», anche se, visto il suo innato perfezionismo, poche e sempre più lontane nel tempo sono le storie da lui firmate.
W
Wells, H. G. Uno dei personaggi “di contorno” più importanti dell’intera vita editoriale di «Dylan Dog», stralunato inventore inglese, identico, nell’aspetto fisico e nel volto, al pluripremiato attore David Niven. Siccome i suoi marchingegni hanno il più delle volte natura fantascientifica, per il nome del personaggio Sclavi ha usato quello di uno dei precursori della SF moderna, il britannico H. G. Wells, autore di capolavori come La guerra dei mondi, La macchina del tempo, L’uomo invisibile e L’Isola del Dr. Moreau. Sclavi considera Wells uno dei suoi numi ispiratori e numerose sono le storie della collana influenzate dalla sua letteratura.
X
Xabaras. Il primo nemico di Dylan Dog. Anzi, il Nemico per antonomasia; per restare in ambito bonelliano, può essere paragonato al Mefisto di «Tex» o all’Hellingen di «Zagor». Scienziato folle, capace di far risorgere i morti grazie a un siero di sua invenzione, appare numerose volte, specialmente nei numeri-chiave. Il suo nome è l’anagramma di uno degli appellativi del Diavolo. Da non trascurare gli aspetti psicologici e psichiatrici di questa figura: di Dylan, oltre che essere la nemesi, è anche padre (Morgana, a lui collegata, sarebbe sua madre). Xabaras e Morgana avrebbero generato il futuro Indagatore dell’Incubo in un lontano passato… ma, come tutto quel che riguarda le sue vere origini, il fatto non è certo.
Y
Yankees. Gli americani sembrano rappresentare, da un punto di vista politico e socio-culturale, tutto quello che Dylan Dog e il suo creatore non sono. Da qui anche la decisione, per la prima volta in Bonelli, di non ambientare nel Nuovo Mondo il nocciolo delle avventure dell’Indagatore dell’Incubo. Nello spettacolare n. 18 della serie, Dylan s’imbarca in un viaggio – forse un trip, per usare una terminologia da turismo psichedelico – in un’America che è la parodia di se stessa e dei suoi miti pop, costruiti in appena due secoli di storia: la santificazione dei presidenti, la musica, il cinema, il fumetto…
Z
Zombie. Sono i più temibili e i primi nemici di Dylan Dog (fin dal n. 1), ai quali è più affezionato, forse perché anche lui è misteriosamente tornato in vita (metempsicosi?) dopo una altrettanto misteriosa morte. In un futuro probabile (raccontato in alcuni speciali), con una Terra infestata dagli zombie, Dylan dovrà lottare contro la fine dell’umanità e della sua esistenza. Per i morti viventi Sclavi e i suoi epigoni s’ispirano a tutta la cinematografia sul tema, in particolare all’opera di Romero.