"Viaggi di nozze". Valeriana, Fosca e i nuovi mostri

Laura Da Prato
Carlo Verdone n. 12/2019

Se dovessimo cercare uno spartiacque, nella filmografia di Verdone, lo troveremmo sicuramente in una tra le sue opere più tragicamente ciniche e sopra le righe: Viaggi di nozze, approdato nelle sale italiane il 15 dicembre 1995. Fu il film di Natale dell’anno spodestando il cinepanettone Vacanze di Natale ’95 di Neri Parenti, triplicandone a lungo andare gli incassi. Record di spettatori e oltre 30 miliardi al botteghino nelle stesse settimane di Jumanji di Joe Johnston, Sabrina di Sydney Pollack, Casper di Brad Silberling, Pocahontas targato Disney, il primo Ace Ventura. L’acchiappanimali di Tom Shadyac e Seven di David Fincher: il cinema italiano tornava prepotentemente sulla cresta dell’onda con una satira feroce proprio sugli italiani, vestita sapientemente – in un certo senso, in maniera tradizionale – da commedia a episodi, a voler richiamare i primi film, Un sacco bello (1980) e Bianco, rosso e Verdone (1981) che erano già entrati nella narrazione e nell’immaginario collettivo nazionale con i loro personaggi stralunati e grotteschi, apparentemente immaturi. Ed ecco che il passaggio all’età matura delle maschere verdoniane arriva proprio in un periodo di cambiamenti per il nostro Paese, tra la politica e i mass media sempre più legati e presenti nella vita quotidiana, dopo le stragi, i grandi processi, il nuovo sentimento e le nuove mode europee. Un periodo di spaesamento per l’italiano – medio, diremmo oggi – e che lo mostra sempre più vuoto, con quel sentimento di “straniamento”, del sentirsi “strani” anche in mezzo ai propri simili.
Era il periodo in cui «nessuno c’ha più niente da dire, è già stato detto tutto», come tristemente afferma una giovanissima Claudia Gerini/Jessica in una (s)perduta sosta notturna, dove sui sedili posteriori dell’auto fa capolino anche una giovanissima Manuela Arcuri. È quindi terreno fertile per Verdone per indagare sulla “nuova” società e i suoi strani soggetti e l’espediente del film episodico è ancora una volta la scelta migliore per smorzare quelli che sarebbero sociologicamente dei grandi drammi esistenziali, tornando a dissezionare l’animo umano. A partire da uno dei cardini della cattolica società italica, il matrimonio: le coppie e i rispettivi viaggi di nozze sono il pretesto perfetto per mostrarci allo specchio, anche se all’apparenza deformati, perché i personaggi di questo film sembrano così lontani da Noi, ma incredibilmente, con il passare del tempo, (ci) hanno mostrato quanto invece Noi siamo divenuti così simili a questi “nuovi mostri”. Nessuna illusione, già la scena dei titoli di testa ci prepara all’immancabile tragedia: una meravigliosa torta nuziale viene delicatamente decorata, mentre in sottofondo si sente una marcia barocca; ma alla fine della preparazione ecco l’epilogo: una magnifica, incredibile, inaspettata esplosione.
Così ci ritroviamo in chiesa, anzi nelle chiese in cui si stanno officiando i matrimoni dei coatti romani Ivano e Jessica, del pignolo e mefistofelico Raniero con la timida Fosca e dei poveri, tragici, buoni Valeriana e Giovannino: già dall’inizio i sei personaggi sono svelati con le loro caratteristiche, i vizi e i tic, dal tamarro Ivano alla giovane e sgraziata Jessica che si mostrano in scena vuoti, privi di reali interessi, sempre alla ricerca di quel qualcosa in più, qualcosa di «più strano» che puntualmente finisce per non soddisfarli; alla timorosa Fosca (soggiogata?) sposa del terribile Raniero, e i due ricordano da vicino la coppia Magda e Furio di Bianco, rosso e Verdone. Potrebbe sembrare che gli unici elementi positivi siano Valeriana (nomen omen) e Giovannino, ma su di loro si abbatte una sciagura dopo l’altra, proprio a partire dalla cerimonia e dal logorroico padre Diego che sembra averli sequestrati in una chiesa la cui temperatura pare quella di un forno. Cosa non da poco, qui Verdone interpreta tutti e tre i mariti (e lo stesso padre Diego) e riesce così ad attualizzare i propri modelli di riferimento spingendo sull’acceleratore del grottesco, talvolta della tragedia.
Così le lune di miele si trasformano in calvari o, addirittura, in graduali discese verso gli inferi. Raniero è colui che incarna maggiormente questo senso di oppressione e malvagità: un uomo arido e calcolatore, medico puntiglioso all’inverosimile, maniaco del controllo, un workaholic che si mostra sempre disponibile a rispondere ai pazienti anche nei momenti meno adatti: prima del fatidico «sì», prima della prima notte di nozze, appena dopo la dipartita della (seconda) moglie. Questa, la sciagurata Fosca, gelida e statuaria, presenta già nell’incipit un senso di inadeguatezza e malcelata sofferenza che la condurrà, complice la scelta del partner, alla morte: dalla visita alla ex moglie – morta suicida – al cimitero, con annessa scelta del loculo (memento mori), al viaggio in treno, con il malessere che la conduce in ospedale, con la comprensibile sofferenza per la prima notte di nozze, a seguito della quale decide di togliersi la vita (dal secondo piano dell’Hotel Danieli di Venezia – più romantico di così, si muore).
A colpi di rock&roll e metal è scandito il viaggio di Ivano e Jessica, che non hanno altro che la musica e il sesso di cui parlare, poco e male, mentre si avviano abbastanza tristemente verso la vita coniugale: in questo episodio Verdone si diverte a sciorinare la sua grande cultura musicale inserendo brani di Iggy Pop, dei Black Sabbath e dei fino ad allora sconosciuti Morphine (quasi) completamente decontestualizzati, tutti sottofondo a personaggi poco profondi, per nulla rock, che cercano di fare troppe cose strane troppe volte. E il loro epilogo è il più triste dei tre: proprio alla fine del viaggio non hanno più niente da dirsi. Chissà se lo hanno mai avuto.
La famiglia e i guai familiari ruotano attorno all’episodio di Valeriana e Giovannino, un povero cristo che non farebbe – al contrario di Raniero – del male a nessuno e viene travolto da una serie di disagi che riesce a superare grazie alla sua indole buona e all’amore di Valeriana, sebbene a completo discapto della sua honeymoon.
Viaggi di nozze è un film comico – si ride molto, nelle situazioni grottesche e surreali – ma anche tragico, con cui Verdone ha saputo intercettare almeno tre fenomeni che di lì a poco ci avrebbero travolti: l’invasione della/l’ossessione per la telefonia mobile, la crisi del modello di coppia tradizionale, la frantumazione del concetto di “matrimonio sacro”.

 

CAST & CREDITS

Regia: Carlo Verdone; soggetto: Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone; sceneggiatura: Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone; fotografia: Danilo Desideri; scenografia: Maurizio Marchitelli; costumi: Tatiana Romanoff; montaggio: Antonio Siciliano; musiche: Fabio Liberatori; interpreti: Carlo Verdone (Raniero Cotti Borroni, Giovanni De Berardi, Ivano, padre Diego), Claudia Gerini (Jessica), Cinzia Mascoli (Valeriana Picconi), Gloria Sirabella (Gloria Picconi), Edoardo Siravo (Stefano), Veronica Pivetti (Fosca), Paolo Conticini (agente), Manuela Arcuri (Mara), Luis Molteni (professor Alceo De Vitis); produzione: Vittorio Cecchi Gori e Rita Rusic per Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica; origine: Italia, 1995; durata: 106’; home video: dvd CG Entertainment, Blu-ray CG Entertainment; colonna sonora: inedita.

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