«La Confederazione Italiana»: Se la giovinezza è uno stato invincibile
Riccardo Paradisi
Il recensore ammette un poco di imbarazzo quando deve scrivere di un libro che avrebbe voluto firmare lui stesso. Accade raramente ma è il caso di Un’estate invincibile di Riccardo Paradisi (Bietti edizioni) e il motivo dell’accadere è da cercarsi soprattutto nella comune appartenenza generazionale.
Ancora non esiste un grande romanzo incentrato sui maschi italici nati negli anni ‘70 del ventesimo secolo, se esiste non ce ne siamo accorti. Paradisi ha però colmato il vuoto con un saggio che si legge come un romanzo in virtù dell’ispirata fusione di ricordi personali, cronaca degli ultimi decenni e incursioni, veri e propri segnavia, di numi tutelari fra i quali troviamo Jung, Castaneda, Heidegger, Jünger ed eroi prossimi nel tempo come Adriano Olivetti e il martire della “Germania segreta” Von Stauffenberg che osò attentare alla vita di Hitler. Son nomi che Paradisi evoca per indicare una cura a se stesso, ai coetanei, a tutti i preoccupati per le sorti future dell’Occidente e dei suoi abitanti. Parliamo di cura, perché la diagnosi del male presente e dei possibili futuri non manca nelle pagine del saggio.
Partiamo appunto dalla catastrofe generazionale. Paradisi cita il Wall Street Journal che annunciò la mancanza di scampo dalla crisi economica per i nati nei ‘70 in Italia; gente costretta a pagare il 50 % di tasse in più rispetto ai genitori, schiacciati dall’euro che ha raddoppiato i prezzi al consumo appena entrato in vigore. Era l’alba del nuovo millennio, i trentenni si affacciavano o tentavano l’impresa di affacciarsi ad un mondo del lavoro in eccesso di settore terziario. Per giunta la rivoluzione informatica, il superamento del confine fra mondo analogico e digitale, l’aumento esponenziale di informazioni e segnali. E poi i sismi geopolitici, le guerre più o meno apertamente guerreggiate con attori in campo non ancora facilmente inquadrabili.
Si era cresciuti nell’ottimismo degli anni ‘80, con ricordi vaghi e immagini in bianco e nero della violenza ideologica del decennio precedente. Ma era arrivata finalmente la tv a colori, i salari dei genitori aumentavano grazie alla spesa pubblica sconsiderata e al congelamento del mondo in due blocchi. Con effetto domino è poi crollato il Muro di Berlino, ci si è scannati nei Balcani, son cadute le Torri di New York e un certo Islam ha dichiarato guerra ad un Occidente esausto e nichilista.
Il paradosso è che la generazione dei nati nei ‘70, proletari dell’era dell’informazione, possono trovarsi in difficoltà nell’acquisto di strumenti (libri, viaggi, giornali, connessione alla Rete) utili per capire ciò che sta succedendo soprattutto alle loro vite. Eccola la vera “generazione perduta”, come scrisse appunto il Wall Street Journal; possiamo considerarci tali con più legittimità di un Hemingway e di un Fitzgerald A loro era ancora concessa qualche soluzione politica o qualche paradiso artificiale. Noi siamo sulla linea di rottura fra due epoche, poco visibili nel marasma di crolli e ricostruzioni. Né millennial né uomini del Novecento, siamo blade runners, in corsa sul filo del rasoio. Il capolavoro di Ridley Scott, ispirato dal romanzo di Philip K. Dick, viene opportunamente tirato in ballo da Paradisi, e con esso Fight club, Matrix, Un mercoledì da leoni; pellicole che mettono in scena situazioni limite, di attraversamento del meridiano zero, del porsi al di là del nichilismo.
Tale è infatti la situazione: la precarietà, il disorientamento sociale ed esistenziale appaiono in fine come facce di una stessa medaglia. La vittoria sul mostro bifronte non può che essere unica, non può che partire dall’interiorità.
Serbatoio di energie per la lotta è la giovinezza, anch’essa frontiera fra l’infanzia ancora in parte metafisica e il disincanto necessario nella maturità. Paradisi ci invita a vedere la giovinezza non come una mera fase anagrafica ma come un assoluto, un orizzonte di possibilità sempre presenti, sempre pronte a venir afferrate dall’atto maturo, dalla coscienza individualizzata.
Viviamo sì incarnati, un poco intrappolati nel relativo, nello spazio-tempo limitato, ma abbiamo il dono di intravedere un brandello di assoluto, di aggrapparci ad esso, forse di infrangere la barriera fra le due dimensioni. Allora la precarietà esistenziale, il disorientamento, possono trasvalutarsi e diventare armi; cifre specifiche della giovinezza, della vertigine estiva, sono sempre promesse di eventi e realizzazioni.
Tornare spesso alla spregiudicatezza degli anni giovanili sarà un’ottima cura contro le paralisi dell’arido vero, sarà un lavacro rituale, un pasto vitaminico per affrontare autunni e inverni rigidi, implacabilmente responsabilizzanti.
Perché il tornare alla giovinezza arricchiti dal bagaglio, dal raccolto di vittorie e delusioni dell’età matura, è sempre immagine del ritorno a casa, del ritorno all’Uno cantato da Novalis.
La generazione perduta può ritrovar se stessa e il senso della sua missione storica solo cercando, scavando, braccando in quel territorio sempre vergine e generosamente caotico che è la giovinezza dell’anima, la forza dello Spirito che soffia dove vuole.
(Luca Negri, «La Confederazione Italiana», 27 settembre 2016)