Del resto, ancora oggi – scrive l’autore – «è impossibile convincere il critico cinematografico medio che nessuno più degli autori di clip è consapevole di cosa sia la contemporaneità, quali siano le forme con cui si esprime, quale il rapporto che esiste tra kitsch e cool, quale la ricetta per fare dei video il riflesso di entrambe queste tendenze; che nessun altro linguaggio è sintonizzato sull’attualità come quello del video musicale; impossibile ricordargli che un’intera generazione di spettatori, e di futuri cineasti, si è formata guardando MTV» (ivi, pp. 24-25).
Pacilio esplora, seziona, racconta e analizza i percorsi di un territorio vastissimo, a cominciare, nel primo capitolo, da quelle che sono state le evoluzioni stilistiche e narrative delle immagini videomusicali dagli anni Ottanta a oggi, illustrando brevemente, ma con efficacia e chiarezza espositiva notevoli come sia cambiata al contempo la figura stessa del videomaker. Evoluzioni inevitabilmente connesse fra di loro e fortemente legate ai cambiamenti radicali che in poco tempo hanno investito l’industria discografica e musicale, le modalità, i luoghi, i tempi e i mezzi di fruizione audiovisiva. E dunque, allora, dagli anni Ottanta in cui il videoclip si afferma soprattutto come strumento promozionale subordinato al cantante o al gruppo, quindi prevalentemente «era di iconic video» (ivi, p. 19), «decennio delle videostar» (ivi, p. 20), passando agli anni Novanta che diventano il «decennio dei videomaker. I registi impongono uno stile, ciascuno il proprio, e per questo vengono ricercati e scelti: viene richiesto loro uno sforzo creativo che prescinda dalla celebrazione del musicista icona e garantisca al video una riconoscibilità propria, specifica, peculiare» (ibidem).
È, questa decade, la «golden age del videoclip» (ivi, p. 22), quella di molte produzioni ad alto budget produttivo, l’epoca “felice” di MTV, una stagione di straordinaria vivacità per la videomusica dal punto di vista artistico. Poi, dagli anni Zero, MTV che diventa qualcos’altro, i budget di una volta che restano ormai un ricordo, internet con i suoi archivi infiniti, dal “massivo” YouTube al più “elitario” e qualitativamente superiore Vimeo: la possibilità di accedere in ogni momento, in luoghi diversi, a un campionario audiovisivo informe, frammentario. Con il progressivo declino dell’industria musicale, «è tutta la politica produttiva del videoclip che va lentamente, inesorabilmente, a trasformarsi. Se prima si produceva un promo con lo scopo primario di vendere i dischi, adesso la sua realizzazione risponde a un altro obiettivo principale: la viralità. Le visualizzazioni sono diventate l’indice non solo della popolarità dell’artista che viene cliccato, ma, stante il rapporto diretto con gli introiti pubblicitari, anche l’unità di misura dei profitti che ottiene» (ivi, p. 27).
L’epoca di YouTube è quella dei video e dei rifacimenti amatoriali degli utenti, ma è anche l’era che consente altresì, ai videomaker, di avere meno vincoli creativi, dando loro la possibilità di esplorare nuove soluzioni formali, di intercettare immaginari, assorbirli, rifletterli, mettendoli in scena, in un dialogo complesso ma fecondo con il nuovo reale, quello che Giulio Sangiorgio – con Ilaria Floreano e Claudio Bartolini alla direzione della collana Bietti “Heterotopia” – nella postfazione definisce «presunto reale» (ivi, p. 298), estendendo la riflessione al rapporto tra cinema contemporaneo e realtà, alle diverse declinazioni di questo rapporto ai tempi dei social media e delle connessioni permanenti. Un volume che nel secondo capitolo traccia 20 profili di registi e collettivi di autori emersi tra gli anni Novanta e gli anni Zero (con interviste a Joseph Kahn e Martin De Thurah): dai “maestri” Gondry, Sigismondi, Jennings e Spike Jonze a Patrick Daughters, DANIELS, CANADA, Romain Gavras (figlio di Costa-Gavras), Megaforce, Tom Kuntz, Nabil, AG Rojas, Keith Schofield, Young Replicant, Jonas & François ecc. Nel capitolo successivo, 100 video di 100 differenti regie (altri 80 nomi si aggiungono ai 20 precedenti), le opere tra le più significative del nuovo millennio nel campo del videoclip, secondo l’autore.
Un volume che colma un vuoto, dicevamo, ma che soprattutto apre in chi legge nuove zone di scoperta. Ampie, fertili. Ed è questo il suo l’aspetto più sorprendente.