Giovinezza, istruzioni per l'uso (al di là dell'età)

Riccardo Paradisi & Stenio Solinas
2016-07-14 11:00:37
Giovinezza, istruzioni per l'uso (al di là dell'età)

“Il futuro è soltanto un ciarlatano alla corte di Cronos” ha scritto Vladimir Nabokov in Ada, superbo e complicato romanzo. Storia di un amore-ardore incestuoso due cugini che scoprono di essere fratello e sorella – è in realtà una meditazione sul tempo che non passa, l’istante che lo accoglie e insieme lo annulla, la giovinezza come status e non condizione anagrafica. Si invecchia restando giovani, si muore avendo sempre la stessa età di quando la vita si aprì davanti a noi e illudendoci ci sorrise, sorridendoci ci illuse. Restare fedeli alle illusioni è l’unico senso per un’esistenza che altrimenti non ne avrebbe.

Il bello di certi libri è di metterci in pace con noi stessi. La quotidianità è crudele e ogni giorno davanti allo specchio misuriamo disarmati la nostra decadenza fisica. Poi però qualcuno più bravo di noi mette su carta quello che oscuramente avevamo sempre pensato, dà forma chiara a quanto confusamente messo insieme, ci fa sentire meno soli, fratelli sconosciuti e separati di una stessa visione del mondo, dove il tempo è un accidente e la giovinezza è la sostanza, uno stato di tensione, una vocazione o, se si vuole, un mestiere, così come altri scelgono quello della guerra o degli affari…

Saggio che è anche memoir, reportage, mini trattato filosofico e antropologico, Un’estate invincibile di Riccardo Paradisi (Bietti) rientra in questa schiera di libri prima evocata. Il titolo è una citazione da Albert Camus che per esteso dice così: “Nelle profondità dell’inverno ho imparato, alla fine, che dentro di me c’è un’estate invincibile”. Perché poi la giovinezza, che del libro è il sottotitolo in forma di tema, altro non è che un sole mai offuscato, un’invincibile estate, appunto.

 

***

 

Siamo un Paese vecchio popolato di finti giovani, uno strano miscuglio dove il giovanilismo d’accatto e il bullismo senile si tengono stretti, sorreggendosi a vicenda, il vizio sottobraccio al crimine… La retorica del primo è messa al servizio di un ipotetico repulisti politico, economico, sociale che altro non è se non il periodico regolamento di conti con cui ogni generazione cerca il proprio posto al sole. Il cinismo del secondo garantisce le regole di una cooptazione e/o spartizione dove la gestione del potere resta l’unico orizzonte possibile, senza un’idea, un progetto, un destino che la innervi, la proietti e la riscatti. Dietro al “chiodo” che il presidente del Consiglio Matteo Renzi inalbera nelle sue libere uscite da quarantenne in carriera, si intravede la papalina e il pizzetto ingrigito del suo sessantenne genitore, due facce di un’identica medaglia, il ritratto di Dorian Gray, più glamorous, nel suo scimmiottamento inglese, del gattopardesco e sudista principe di Salina… Modernizzare, fare, “rottamare” sono gli idoli e le parole d’ordine che concorrono a disegnare, assieme al trionfalismo sulla nostra grandezza e unicità, il conformismo di una nazione in coma la cui massima ambizione politica è essere scambiata per un albergo di charme, un popolo di camerieri al servizio della bellezza… Come ha scritto Claudio Giunta nell’esilarante pamphlet #Essere Matteo Renzi (il Mulino), “la solita idea dell’Italia come polo internazionale del lusso: le città d’arte più l’outlet a Barberino Val di Pesa, più le Tod’s (…). È un modello di sviluppo che sarebbe asfittico per Mykonos: per un paese con sessanta milioni di abitanti, a parte essere irrealistico, è quasi insultante”. E ancora: “La meglio gioventù è uscito nel 2003. Renzi è andato al governo dieci anni dopo. È il tempo dell’incubazione, per l’uovo del serpente. Senza La meglio gioventù Renzi non esisterebbe. Un Paese che prende sul serio La meglio gioventù, col tizio che viene via dalla Norvegia per andare a spalare fango alla Biblioteca di Nazionale di Firenze, e come premio mette incinta una terrorista un paese così è pronto per Matteo Renzi.

Di La meglio gioventù (che pure aveva un suo merito nel raccontare in modo non manicheo «il rosso e il nero» degli anni Settanta del secolo scorso che, per età, Giunta non ha vissuto…), in Un’estate invincibile non v’è traccia, e non è un caso. Sono altri i film di cui il suo autore si serve per raccontare un’estetica e un’etica della giovinezza, da Un mercoledì da leoni di John Milius a Gran Torino di Clint Eastwood, dai Quattrocento colpi di Truffaut aLa voglia matta di Salce, al Settimo sigillo e al Posto delle fragole di Bergman a C’era una volta in America di Leone. Tutti insieme compongono l’arazzo di una condizione metafisica e non biologica che è poi il rifiuto del tradimento di se stessi, l’intensità della durata rispetto allo scorrere del tempo, la fedeltà alle amicizie e la consapevolezza che spesso l’azione è più importante delle parole, il ridicolo che colpisce chi non vuole fare i conti con “la linea d’ombra” che ci attende, l’ansia di libertà e il rifiuto dell’ortopedia dell’anima di cui ogni sistema è portatore.

Quarantenne, e quindi coetaneo del nostro premier (nessuno è perfetto), Paradisi ne è specularmente l’antitesi e nulla gli è più estraneo di quella sgangherata ammirazione per i vincenti comunque ce l’hanno fatta- che insieme con l’ottimismo lusingatorio siamo ripartititi, siamo i migliori- e il culto infantile per una modernità confusa con i gadget della tecnica (Twitter e Iphone, Facebook e Ipad) caratterizzano la sua visione politica.

 

***

 

Invecchiando, si sa, si diventa prolissi (per quanto, la logorrea renziana) e quindi è tempo di stringere. Non vorrei però che nella foga polemico-politica avessi dato un’idea riduttiva diUn’estate invincibile. Che non è un pamphlet sull’attualità, ma una meditazione sulla vita e sulla morte, sullo Streben, lo stato di tensione faustiano e il Genus di Mefistofele, il godimento dell’attimo. È anche una cavalcata, filosofico-letteraria, Heidegger e Novalis, il carattere che è destino, il mito raccontato da Eliade, il sogno junghiano di “un daimon ardente che talvolta mi rende maledettamente difficile mantenere la coscienza di essere mortale”… Ci sono pagine esemplari sulla giovinezza nel mondo antico, “nutrimento degli stessi dei”, e sul totalitarismo novecentesco che imprigionerà la gioventù nelle gabbie d’acciaio dell’ideologia; sul mondo della tecnica e il nichilismo come “azzeramento pratico di ogni punto d’appoggio esistenziale”; c’è spazio per una meditazione sul linguaggio come dimora dell’essere e sulla trama esistenziale “tessuta dal destino e dalla propria vocazione”; sul kairòs come tempo vero, “che non si riduce alla sua successione nello spazio finito, ma che la precede e la conduce (…) lì dove vecchiaia e morte sono solo illusioni della dimenticanza”. Un libro bellissimo, di un postmoderno ribelle senza età, lui sì, forever young.

 

(Stenio Solinas, «il Giornale», 14 luglio 2016)

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