David Hume, «Contro Rousseau»
2018-04-23 10:59:20
Per le cure di Spartaco Pupo, studioso esperto del pensiero di David Hume (del quale ha curato anche l’edizione degli scritti politici Libertà e moderazione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016), esce in prima traduzione italiana moderna (dopo quella veneziana del 1767), con l’accattivante (e allusivo, come vedremo) titolo Contro Rousseau il resoconto, dato alle stampe a Londra nel 1766, di una curiosa vicenda che vide contrapposti il filosofo scozzese e il grande Ginevrino. La vicenda, riassunta da Pupo nel saggio introduttivo, è essenzialmente questa: Hume, dopo un soggiorno a Parigi nel corso del quale ha avuto modo di incontrare alcuni dei personaggi più in vista dell’Enciclopedismo francese, si lascia convincere a condurre con sé in Inghilterra Jean-Jacques Rousseau, desideroso di allontanarsi dalla Francia, Paese in cui pendeva sul suo capo un mandato di arresto. Il soggiorno londinese di Rousseau è, sulle prime, soddisfacente per entrambi, ma dopo la pubblicazione di una lettera anonima che lo sottoponeva a un’aspra satira (opera di Horace Walpole, ma che per qualche ragione Rousseau crederà scritta proprio da Hume), il rapporto tra i due si incrina; il Ginevrino scrive una lunga e insensata lettera di invettive contro Hume, il quale decide di rendere pubblica tutta la controversia. A seguito della vicenda, Rousseau abbandonerà l’Inghilterra, in uno stato mentale che Hume non esiterà a definire come quello di un «arrant madman» (un pazzo completo).
Sin qui i fatti: non granché rilevanti, si dirà, malgrado l’indubbio interesse di un contesto che vede, come co-protagonisti, attori del calibro di Adam Smith, Voltaire, D’Holbach tra gli altri. Senonché la vicenda è stata intepretata in molti casi (il più noto è forse quello del saggio di R. Zaretsky e J.T. Scott, The Philosophers’ Quarrel: Rousseau, Hume, and the Limits of Human Understanding, New Haven, Yale University Press, 2009) come una curiosa metafora degli opposti sistemi filosofici dei due grandi autori settecenteschi. Nella seconda parte della sua documentata introduzione, anche Pupo si cimenta su questo terreno, individuando due temi essenziali sui quali i due filosofi avanzarono soluzioni tra loro opposte: il tema del fondamento della società, in primis (pp. 34-45); e quello della «nazione» (pp. 45-55). Servendosi della ben nota dicotomia euristica «realismo politico» vs «utopismo», l’A. sembra concludere in favore della visione humeana, contro un Rousseau definito – non senza una punta di anacronismo – «collettivista» (p. 31); così come appare audace, sul piano storiografico, l’accostamento tra la filosofia di Rousseau e le teorie postcoloniali novecentesche (p. 47). Ne emerge, ad ogni modo, soprattutto una sintesi puntuale del pensiero dello Scozzese, in riferimento alla confutazione da parte di questi dell’idea contrattualista nel saggio del 1742 Of the Original Contract; e risultano particolarmente interessanti i richiami alla nozione humeana di «sympathy» come fondamento delle comunità nazionali (pp. 50-52).
Come sottolinea lo stesso Pupo nella Nota al testo (p. 70), il valore principale dell’operazione editoriale in oggetto consiste nel mettere a disposizione del lettore italiano, in una nuova traduzione condotta a partire dal testo originale, i documenti di questa disputa tra due personaggi d’eccezione; ma il saggio introduttivo e la Nota biografica hanno anch’essi l’indubbio merito di rendere accessibile a un pubblico potenzialmente vasto le grandi linee del pensiero di un autore ancora relativamente poco studiato, almeno in Italia, come David Hume.
(F. Proietti, «Il Pensiero Politico», settembre-dicembre 2017)