Lo Squalo ci parla. Guai, azzardi e colpi di genio di un grande classico
Lorenzo Insegnante
Lo Squalo ci parla, un libro racconta il film di Spielberg che ha cambiato il cinema.
Lorenzo Insegnante ci porta in mare con Spielberg, tra pinne che spuntano per soli quattro minuti, squali meccanici che affondano e le due note di Williams che bastano a farci tremare. Un libro che racconta come un lungometraggio nato dal caos, ispirato a Benchley e a veri attacchi nel New Jersey, abbia trasformato la paura in arte. Perché Lo squalo ha riscritto le regole del blockbuster e il mare, dopo Spielberg, non è più stato lo stesso
Ci sono due note, Mi e Fa, che valgono più di mille squali. John Williams le lancia a Spielberg, Spielberg le appiccica a una pinna di plastica che affonda al primo tuffo, e Lo Squalo diventa leggenda.
Ma prima di diventare leggenda, Lo squalo è stato un farraginoso bailamme. Lorenzo Insegnante, classe 1999, ce lo racconta in Lo Squalo ci parla. Guai, azzardi e colpi di genio di un grande classico, pubblicato da Bietti Edizioni nella collana Fotogrammi. Lorenzo, che a dodici anni recensiva film su un blog e ora scrive su TaxiDrivers, non si limita a ricostruire la trama: ti ci butta dentro, tra le acque agitate di Martha’s Vineyard, tra pinne che affondano, barche che traballano, e uno Spielberg ventisettenne che si sveglia sudato pensando che il sogno del cinema sia già finito.
Lo squalo che affonda (e Spielberg con lui)
E come succede con tutte le rivoluzioni, il dietro le quinte è stato un naufragio: lo squalo in poliuretano da una tonnellata e mezza affonda alla prima immersione, esplode alla seconda. Solo dopo mille tentativi, una valanga di soldi in più e un regista che si gioca tutto, la bestia comincia a muoversi come “una macchina perfetta”, come la descrive Matt Hooper (Richard Dreyfuss) con occhi pieni di fascino e terrore.
Poi ci si mettono onde, vento, giorni che diventano mesi. Spielberg confessa: «Pensavo che la mia carriera fosse finita. Sentivo voci… dicevano che non avrei mai più lavorato, nessuno aveva mai sforato di 100 giorni le riprese».
Eppure, da questo disastro è nato un miracolo.
Da un libro al blockbuster: lo squalo che non va via
Un film che parte da un romanzo di Peter Benchley, Jaws (“fauci”), ispirato agli attacchi di uno squalo nel New Jersey negli anni Venti. Spielberg prende quella storia e la smonta come un Lego, butta via le sottotrame inutili, ricostruisce i personaggi e punta dritto a ciò che conta davvero: la paura, il mare, l’ignoto.
Quella che Lo Squalo ci insegna, e che Insegnante riprende con leggerezza e precisione, è la “legge dello Squalo”: tutto può andare a rotoli, ma se ci metti abbastanza incoscienza (o fame), da quel caos può nascere un capolavoro. Da quel disastro nasce infatti il primo “blockbuster estivo”, trasformando il mare in un luogo dove ogni onda è un punto interrogativo.
Lo squalo compare per soli quattro minuti in tutto il film; eppure, non se ne va mai. È nelle urla dei bagnanti, nei barili che ballano sull’acqua, nei visi di Martin Brody, lo sceriffo che ha paura dell’acqua ma deve proteggere la sua isola; di Matt Hooper, l’esperto che studia ma non sa tutto; di Quint, il cacciatore di mostri che ha i fantasmi in cabina di pilotaggio; di Ellen Brody, che guarda l’orizzonte temendo di perdere chi ama.
Due note, un morso e la paura che diventa cinema
E poi ci sono quelle due note di John Williams che non sono solo musica: sono un presagio, un’inquietudine che ti si attacca alla pelle, due note che trasformano ogni onda in un brivido. Se oggi quella colonna sonora è un’icona, è perché sullo schermo non c’è una palma da cocco che cade, ma uno squalo bianco che morde.
Dopo Lo squalo, le spiagge si sono svuotate. Il cinema ha capito che la paura poteva diventare un affare, un’arte, un rito. E sì, ha alimentato la fobia degli squali, anche se le statistiche dicono che è più facile morire colpiti da una noce di cocco, entrare ad Harvard o sopravvivere oltre i 100 anni che finire in bocca a un pescecane. Ma il cinema, si sa, non copia la realtà: la reinventa, la amplifica, le dà un morso.
Come insegna Bertolucci: «I film scappano dal propro creatore!»
Perché Lo squalo non è solo un film sulla paura. È un film sulla nostra paura: del mare, dell’ignoto, della perdita, dell’inadeguatezza. Spielberg ce la lancia addosso come un secchio d’acqua gelata, e Insegnante ce la racconta con il calore di chi non ha paura di emozionarsi, con lo sguardo di chi sa che il cinema, quando è cinema, ti morde e non ti lascia più, per citare le parole che Bernardo Bertolucci pronunciò a proposito diUltimo Tango a Parigi:
“Il film scappa dalle mani del proprio creatore, ha una propria vita, un proprio percorso, all’insaputa di tutti, fino a raggiungere uno statuto di culto per gli spettatori”.
Il cinema è la barca più grande
Lo squalo è scappato dalle mani di Spielberg ed è diventato un mito. È quel cinema che riesce a essere popolare e profondo, popcorn e pensiero, terrore e poesia, come il monologo di Quint che vibra più di qualsiasi pinna che emerge dall’acqua.
Qui sta la forza del libro. Lorenzo Insegnante ci ricorda che in appena 86 pagine un libro può raccontare moltissimo, e può insegnarti a guardare il mare con occhi nuovi, ad ascoltare le onde con un orecchio diverso, a capire che ogni tanto ci vuole coraggio per mollare gli ormeggi anche quando il mare promette tempesta.
Come dice Brody, quando il predatore spunta davvero tra le onde: “You’re gonna need a bigger boat”.
E il cinema è quella barca più grande che ci serve per attraversare le paure, le onde della vita e, ogni tanto, riderci sopra. Mentre le due note di Williams, puntuali, tornano a morderti le caviglie ogni volta che metti piede in acqua.
Paolo Nizza ©skytg24 7 luglio 2025